abitare - Back home by Iwona Podlasińska

EDITORIALE – ALLA RICERCA DI UNO SPAZIO ABITABILE

La nostra vita è fatta di spazi, di distanze da ridurre o da tenere, di vuoti da colmare o da non toccare e lasciare intatti. Ciascuno di noi si muove in determinati spazi di vita, di studio, lavoro e svago: spazi e contesti che spesso diamo per scontati, che abbiamo cercato, talora conquistato, e dentro cui ci percepiamo e ci costruiamo. Sono gli spazi fisici, di azione e di relazione. Qualcuno è alla ricerca di nuovi spazi e qualcun altro è strenuamente impegnato a difendere i propri.

Pochi concetti hanno un così ricco utilizzo linguistico e metaforico per esprimere quel che la persona è, al punto che potremmo dire che la persona stessa è fatta di spazi reali, immaginari, psicologici, interiori ed esteriori: nel linguaggio, anche quotidiano, sovrabbondano i riferimenti al rapporto che instauriamo con i luoghi e la spazialità (essere introversi/estroversi, terra terra, in un vicolo cieco, avere un porto sicuro o mettere in piazza…). E uno spazio esce dal suo anonimato se è abitato, assume senso e pregnanza se diviene dimora, non è più un generico e impersonale luogo qualunque, ma è chiamato casa, Creato, patria.

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Abitare significa occupare uno spazio, assumere delle abitudini, colonizzare un certo luogo, dargli forma e contenuto, produrre o adottare consuetudini, che si formano dalle nostre interazioni con l’ambiente e gli spazi che ci circondano: mediante loro noi abitiamo il mondo. Si innesca così uno stretto legame tra luoghi, corpi e costumi la cui intersezione dà vita all’identità stessa, che definisce lo spazio.

Nelle espressioni più alte del Novecento ha trovato voce il senso del “non avere un luogo”, dell’essere sradicati, esuli, della perdita dell’identità, così Pirandello che mostra la dissoluzione dell’io, schiacciato e soffocato dalle consuetudini che lo imprigionano, così la poesia di Ungaretti che descrive la condizione umana come quella di un nomade, perduto, senza più storia e origini, muto e annichilito dal suo dolore, frammentato dal relativismo e lacerato dalla guerra, che mette il fratello contro il fratello.

Qual è la nostra patria? Dove è la terra delle nostre radici, da cui estraiamo i succhi da trasformare in linfa vitale, di cui ci nutriamo? Veniamo da un secolo in cui l’idea e l’ideologia di patria, nutrita da estremismi politici, hanno generato le più grandi tragedie della storia umana; ora con quale significato di nazione, terra, patria ci affacciamo al futuro? Nell’Europa dei nuovi muri sembra sempre più asfittico lo spazio di una condivisione, ci si nasconde e trincera dietro la difesa di un’identità che pare inadeguata al cambiamento dei tempi, agli equilibri (se vi sono) e ai nuovi contesti.

Nel concetto dell’abitare, nell’immagine della dimora si costruisce l’identità personale e collettiva, si alimenta il senso di appartenenza. Questo punto di vista ci appare, in tutta la sua drammatica e contrastante evidenza, nei fatti di cronaca che ci stanno mostrando, in questi mesi, la perdita della casa da parte di migliaia di persone per il terremoto e la tragedia infinita dei profughi in fuga, disperati e privi di tutto. In entrambe le situazioni, vediamo persone in cerca di un punto da cui ricreare uno spazio proprio, una vita ed un’identità.

E non è forse anche la nostra Europa un po’ terremotata e un po’ esule, che si scopre divisa e contrapposta, alla ricerca di quella casa comune che tanto è stata sognata e descritta e, in questi anni, così complessa da costruire?

Abitare è sinonimo di rimanere, stare, essere in un luogo, ma deriva anche dal verbo avere, come a dire che per rimanere si deve avere un posto nel mondo, soggiornarvi, riempire i suoi spazi, appropriarsi dei luoghi, realizzando e vivendo situazioni e affetti. Ciò che rende abitabile è il poter costruire, che significa il poter immaginare e progettare lo spazio e il tempo della giornata e della vita. Ed è forse qui il punto più critico della nostra epoca, che colpisce, pur in modo diverso, tutte le fasce di età: l’essersi, in qualche modo, accontentati, aver deciso, forse neppure troppo coscientemente, che per vivere, è sufficiente mantenere una certa condizione, detenere e difendere un certo status, conservare una certa quantità di cose, una certa quantità di spazio, di denaro, di sicurezza. L’essere passati dall’avere una visione, a preservare il presente, dal desiderio di cambiare tutto a quello di non cambiare, se possibile, proprio niente. Così vediamo troppi adulti rinunciatari o impegnati in una posizione di difesa e conservazione, e molti giovani che paiono incapaci di iniziative, altrettanto occupati a conservare privilegi, mai conquistati e perciò considerati ovvi e scontati.

Chiedersi che cosa renda umano e abitabile un luogo costringe a riflettere e valutare quali siano gli spazi e le regole del nostro abitare, soprattutto quelli nuovi, detti virtuali, ma resi reali da un web che sta entrando velocemente all’interno della quotidianità e progressivamente occupa porzioni consistenti di realtà e di vita, in una continua contaminazione e reciproca influenza tra mondo reale e ambiente in rete, a cui ormai ci riferiamo istintivamente come ad un luogo reale di incontro, relazione economica, sociale e politica. I social media ci permettono di interagire in modo sincronico e istantaneo, costruendo la nostra esperienza dialogica quotidiana. L’utente, pertanto, svolge una duplice funzione sia di fruitore, sia di mezzo per veicolare notizie, giudizi, legami. Egli è, infatti, al centro della realtà del web ed è il pilastro su cui ruotano la comunicazione e la relazione digitale. L’interconnessione tra più utenti sta dando vita ad una società digitale in continuo mutamento che sta cambiando la realtà personale e il nostro modo di crearla, alimentarla, conservarla.

Se lo spazio ha bisogno di essere umanizzato per divenire dimora, la strada è quella paziente, antica e lenta dell’aver cura, a partire da sé, quella dell’iniziare a percepire se stessi come il luogo da rendere agibile, abitabile ed accogliente. E forse le parole all’inizio della nostra storia e della nostra salvezza, che ci accingiamo a celebrare — «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» — risuoneranno ancora un po’ più vere.

 

SOMMARIO

«E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI» P. A. M. Sicari ocd

TEMA: ABITARE. La casa per l’uomo: ospite, abitante, “abitato”

IL CIELO IN UNA STANZA. Abitare la vita, sulle orme del Figlio P. F. Silvestri ocd

L’UOMO ovvero L’ABITANTE ABITATO S. Petrosino

SMART CITY = LA CITTÀ INTELLIGENTE L. Sighel

IL QUINTO CERCHIO. LO STRANIERO: OSPITE O NEMICO? M. Dotti

ATTUALITÀ

LA VITA È UNA MERAVIGLIA! Intervista a Bebe Vio a cura di C. Pietta e M. Polito

RIMANERE UNITI A CRISTO M. Nasca

RIDARE FORMA AL SACRO: JOSEPH RATZINGER E IL DESTINO D’EUROPA. Intervista a Elio Guerriero a cura di M. Dotti

UNA GUERRA DIMENTICATA. Yemen, l’altra voragine umanitaria di cui non parla (quasi) nessuno M. Gelmini

UNA “LODE DI GLORIA” PER IL CARMELO. La canonizzazione di Elisabetta della Trinità e l’attualità del suo carisma P. R. Gambalunga ocd

SCHERZA CON I FANTI… P. A. Cazzago ocd

PAROLA DI DIO

CARITÀ

PREGARE NEL MONDO… ALLA CURTEA CULORILOR A. Formenti

MUSICA

BOB DYLAN. LA MUSICA COME POETICA DELLA REALTÀ R. Barone

ARTE

I BORGHI SICILIANI ESEMPIO DI RESILIENZA A DIMENSIONE D’UOMO R. Ribbene

CINEMA

IL RICCIO S.Giorgi

LETTURE

IMPARARE AD ABITARE IL MONDO Recensione di G. D’Addelfio

MIENMIUAIF, UOMOVIVO, POMPELMO ROSA G. Signorin

PUNTO MISSIONE

ESTATE AL LAVORO Francesco e Francesca, Alessia

VITA DEL MOVIMENTO

ASSEMBLEA GENERALE

STATI UNITI

ULTIMA PAGINA L. Tomasini