EDITORIALE – AMICIZIA: AMORE “SUPERFLUO”

«L’amicizia è — ma non in senso peggiorativo — il meno naturale degli affetti naturali, il meno istintivo, organico, biologico, gregario e indispensabile». Da questa decisa affermazione Clive Staples Lewis, nel suo testo I quattro amori, prende avvio per approfondire quella dimensione dell’animo umano che tocca così da vicino la nostra vita, i nostri desideri e il modo in cui immaginiamo il tempo e lo spazio attorno a noi. La sua analisi si riconnette ad una lunga tradizione del mondo antico, che fu appassionato cultore dell’amicizia tanto da dedicarvi studi, riflessioni, trattati, e tenta di individuarne i caratteri peculiari che la distinguono dagli altri legami affettivi: affetto, eros e carità. Se l’affetto e l’eros hanno una significativa sostanza istintiva e meno controllabile, che tocca il senso di sopravvivenza e di generazione dell’essere umano, la relazione amicale ha una natura maggiormente razionale, legata alla volontà, ad una preferenza consapevole, come scrive Lewis «i nostri nervi c’entrano ben poco, in questo sentimento non c’è nulla di tenebroso: nulla che faccia accelerare il polso, o arrossire, o sbiancare», anzi uno dei caratteri è l’elettività, la capacità dell’individuo di osservare, riconoscere e discernere l’affinità con un’altra persona.

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L’amicizia nasce dalla scoperta di idee, interessi, gusti comuni che altri non condividono, che fino a quel momento ciascuno considera un proprio esclusivo tesoro, e nell’incontro con l’altro, si apre alla condivisione, consente partecipazione reciproca, promette complicità e adesione a prospettive e scelte comuni.

Altro carattere dell’amicizia, messo in rilievo dallo scrittore irlandese, è la mancanza di gelosia: l’amicizia si manifesta, per sua natura, come apertura e coinvolgimento degli altri, ha quindi una attitudine generativa.

Tutti desideriamo poter contare sull’amicizia, che spesso è definita “vera”, sottolineatura consueta e non banale, che ne evidenzia la rarità e la complessità. Il connetterla, anche nel linguaggio comune, all’idea di verità svela quanto nel cercare, confidare, affidarsi alla figura dell’amico, sia profondo il bisogno di autenticità: agognare un porto sicuro, uno spazio di dialogo, di confronto, di sfogo, in cui spogliarsi di difese e attenzioni, in cui assaggiare una libertà più compiuta.

L’amicizia è quindi rispecchiamento, una sorta di raddoppiamento dell’io, pur nella diversità, una “unità morale”, (come la definiva Karol Wojtyla in Amore e Responsabilità) il campo d’azione della volontà, distinguendola dall’unione nata dalla simpatia, che invece è esperienza emotivo–affettiva che capita ed in cui la persona è sostanzialmente passiva e che ha necessità di fondarsi nella convinzione e nella volontà del legame.

Perciò «bisogna trasformare la simpatia in amicizia e completare l’amicizia con la simpatia» riconoscendo e riscoprendo nei nostri tempi, ormai apparentemente così lontani dai due autori qui sopra citati, la benevolenza, parola uscita dal nostro vocabolario, ma che è la radice che può trasformare il seme della simpatia nella pianta dell’amicizia. I legami amicali richiedono quindi riflessione e tempo, come a dire che vi è educazione all’amicizia e nell’amicizia, che si nutre di profondità.

In questo numero rimettiamo al centro del pensiero e dell’azione questo legame, così dichiarato e poco coltivato, banalizzato ed abusato. Approfondirne la natura e le sue caratteristiche ci pare un’occasione e, forse, un’emergenza in tempi e contesti in cui è in atto un paradosso: mai vi è stata una più grande possibilità di contatto e comunicazione tra gli individui, annullando tempi e spazi, mai la parola “condivisione” è stata così al centro dello scambio tra persone, eppure avvertiamo una dilagante e crescente conflittualità nelle relazioni e la mancanza di legami liberi, profondi e solidali.

Scegliere, coltivare e curare l’amicizia è impresa tanto desiderabile quanto ardua, il lavoro di una vita, perché coinvolge l’integralità della persona.

Forse per questo, sempre Lewis, così la descrive: «Questa è la regalità dell’amicizia: in essa ci incontriamo come sovrani di Stati indipendenti, fuori del nostro Paese, sul terreno neutrale, svincolati dal nostro contesto… Da ciò deriva il carattere squisitamente arbitrario e l’irresponsabilità di questo affetto. Non ho il dovere di essere amico verso nessuno, e nessuno ha il dovere di esserlo nei miei confronti… L’amicizia è superflua, come la filosofia, l’arte, l’universo (Dio infatti non aveva bisogno di crearlo)» e ne coglie una “vicinanza per somiglianza” con lo stesso paradiso.

E Joseph Ratzinger ci guida: «È questa una caratteristica dei santi: coltivano l’amicizia, perché essa è una delle manifestazioni più nobili del cuore umano e ha in sé qualche cosa di divino, come Tommaso stesso ha spiegato in alcune Quaestiones della sua Summa in cui scrive: “la carità è l’amicizia dell’uomo con Dio principalmente, e con gli esseri che a Lui appartengono».

 

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