
EDITORIALE – PAURA E SPERANZA
In un articolo del 1946 (Né vittime, né carnefici) Albert Camus, saggista e premio Nobel per la letteratura 1957, afferma che il XX secolo è il secolo della paura: «Nel mondo in cui viviamo ciò che colpisce è anzitutto che la maggior parte degli esseri umani (esclusi i credenti d’ogni sorta) sono privi di futuro. Senza una proiezione del futuro, senza una promessa di maturazione e progresso, non esiste una vita che abbia valore. Vivere contro un muro, è una vita da cani. Eppure gli uomini della mia generazione e quelli che entrano oggi nelle fabbriche e nelle università sono vissuti e vivono sempre più da cani».
Chissà che ne direbbe Camus dell’inizio di questo XXI secolo: i toni e i contenuti di questa sua pagina di 70 anni fa calzano a pennello con i tempi che stiamo vivendo, svelandosi a dir poco profetici, soprattutto nel passaggio in cui dichiara che gli uomini hanno davanti un avvenire bloccato, che la fiducia dell’uomo nell’altro uomo è svanita, perché il lungo dialogo tra essi è stato interrotto, e che un uomo che non si può convincere è un uomo che fa paura.
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Esiste un’industria che lavora sulla paura, non solo i media, che, pare, si siano dati negli ultimi anni più la mission di mantenere alta la tensione, piuttosto che quella di narrare gli eventi e fornire spiegazioni. In questi ultimi mesi siamo passati dalla paura del terrorismo, alla paura degli incendi, da quella della siccità e del riscaldamento globale a quella dei vaccini e dei terremoti: la paura domina, interessa, dilaga e pare essere la materia prima (il metro di giudizio) della nostra esistenza personale e collettiva, delle relazioni ed interazioni che riusciamo a stabilire; la paura è una sorta di paradigma, di chiave di lettura della realtà e del mondo interiore, a tal punto che se una persona sostenesse di non aver paura di nulla, l’affermazione ci sembrerebbe assurda, ingenua, fuori luogo e illogica.
La paura si infiltra, rende tutto incerto, muta le nostre certezze in dubbio ed esitazione, svuota la fiducia reciproca e in sé stessi, avvinghia e blocca l’agire.
«La paura ha un odore…» affermava Giorgio Gaber in un famoso monologo ad essa dedicato, denunciando quanto essa si nutra delle nostre insicurezze, dei nostri pregiudizi e sospetti, offuscando la nostra capacità di osservare la realtà e la verità, minando le relazioni ed impedendoci di costruirle.
E i nostri sono tempi in cui la paura è diventata fisica, percepibile, palpabile: crescono timori e fobie personali e sociali, spesso alimentate da un grande mercato della paura, in cui mai come in passato si ricercano, si comprano e si vendono garanzie e assicurazioni, mentre accanitamente si cercano di stanare violazioni, trasgressioni e responsabilità (perché c’è sempre un colpevole!), anche se poi sembrano sempre più gli impuniti di quelli che pagano veramente.
Ma cosa ci può veramente garantire e che cosa è possibile opporre alle paure che ci assediano da ogni contrafforte della fortezza in cui — ci hanno detto — è bene e giusto rifugiarsi? Dobbiamo aspettarci un futuro nel quale difendersi, a diversi livelli, sarà la priorità personale e collettiva?
E pensare che il nostro secolo si è aperto sotto i migliori auspici: la fine dello scontro delle ideologie, la connessione planetaria, un nuovo ordine in cui pace, prosperità, ecologia e democrazia sarebbero stati obiettivi comuni e in cui le nuove tecnologie avrebbero giocato un ruolo fondamentale, se non prioritario. E invece scopriamo tristemente che la rete non ci garantisce ed è solo e semplicemente uno strumento, potente, ma uno strumento, e come tale va trattato ed usato e che l’uomo ha sempre, di più, bisogno di salvezza, di dignità e di relazione, perché disperazione, umiliazione e solitudine sembrano talvolta avere il sopravvento.
Nel cristianesimo il contrario della paura non è il coraggio dell’eroe, ma la speranza, quella tenace incoercibile forza che si fonda sulla certezza e che è sempre pronta a ripartire, alzare il capo e ricostruire, che non si dà per vinta o abbattuta, ma è capace di visione e di futuro. Non a caso la virtù teologale della speranza guida la fede e la carità operosa, le quali sarebbero svuotate senza di essa, prive del significato profondo del loro essere: cosa sarebbe la fede se non coltivasse la speranza della salvezza, e cosa farebbe la carità lasciata sola contro il male del mondo?
Georges Bernanos ricordava: «La speranza è un rischio da correre, anzi è il rischio dei rischi». Ed è proprio nella capacità di poter/voler rischiare sulla speranza che passa la possibilità di una vita più umana, degna e feconda.
SOMMARIO
LA PAROLA DI DIO NEL VOLTO DELL’ALTRO P. A. M. Sicari ocd
PAURA: EMOZIONE PRIMARIA Intervista al dott. Federico Ratti a cura di M. Polito e M. Parolini
DIFENDETE LA PAURA NELLE STORIE! L. Sighel
LA PAURA, LA SPERANZA E QUESGLI STRANI INTRECCI DELLA VITA UMANA A. Musio
L’ALTRO: INFERNO O DESTINO? M. Dotti
SPERARE PER TUTTI? EDUCARE LA LIBERTÀ: IL FONDAMENTO DELLA SPERANZA A. Bellingreri
ATTUALITÀ
VENEZUELA: UNA CRISI SENZA VIA D’USCITA. IL DISASTRO DI UN PAESE CHE AVEVA UN SOGNO M. Gelmini
VI RACCONTO IL MIO VENEZUELA. Intervista a P. Daniel Rodríguez Bracho a cura di P. P. De Carli ocd
IL SEGRETO CARMELITANO DELLA FELICITÀ M. Nasca
CIAO CHARLIE
PAROLA DI DIO
CARITÀ
IL TESORO RITROVATO R. Ribbene
MUSICA
ORTODOSSIA. GIOVANNI LINDO FERRETTI. CRONACA DI UN RITORNO A. Bonera
ARTE
CINEMA
ARRIVAL S.Giorgi
PUNTO MISSIONE
CASA ACCOGLIENZA MADELEINE DELBRÊL
VITA DEL MOVIMENTO
LA VERITÀ DEL “MIO” AMORE
SETTIMANA COMUNITARIA
MIRA QUE TE MIRA
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