EDITORIALE

Quale è il processo e quali le modalità attraverso cui ci creiamo un’opinione, ci facciamo un parere, ne strutturiamo il convincimento e giungiamo a quella che, se non è proprio una certezza, è però un’idea che ci guida nel paragone con la realtà, gli altri e la vita? Sì, perché, in fondo in fondo, ci accarezza l’idea che mostrarsi sempre vagamente scettici, un po’ “dietrologi” e, in definitiva, privi di certezze incrollabili, sia sintomo di intelligenza, di flessibilità, magari addirittura di inclusione; salvo poi avere un bisogno quasi fisico e una sete inestinguibile di… certezza, appunto. 

A distanza di un anno, siamo ancora immersi in tempi che hanno fatto del dubbio non solo il metro di giudizio e di confronto con la realtà, ma che ci hanno resi tutti un po’ più insicuri e diffidenti, un po’ più incerti e tendenzialmente sempre meno capaci di certezze. E ciò è ancor più paradossale se pensiamo che mai, nella storia, il singolo individuo è stato così ricco di strumenti di informazione e di conoscenza: mai i dati, le notizie, le idee sono stati di così facile accesso e a portata di mano. Eppure le sicurezze diminuiscono, le evidenze traballano e parlare di verità sembra complicato, se non poco politically correct.

Esiste un livello in cui la disinformazione e la parzialità della conoscenza divengono verità sinceramente credute, capaci, diffondendosi, di connettere nel web sostenitori che prima difficilmente sarebbero venuti in contatto, ed in grado di essere cassa di risonanza di paure, illusioni, complottismi. Ne è un esempio, negli ultimi anni, la tesi del “terrapiattismo”, teoria che certo fa sorridere per la sua strampalata pseudo scientificità, ma che è un fenomeno di internet, interessante nel suo sviluppo. Le false credenze sono esistite anche prima, ma non hanno mai avuto un tale palcoscenico ed una platea mediatica così ampia.

 

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Ma sussiste anche un livello di informazione intenzionalmente falsa, che ha il preciso intento di distorcere la realtà, di modificare la credenza, creando un effetto emotivo virale, e di persuadere a scelte ben identificate per raggiungere determinati scopi e perseguire specifici obiettivi sociali ed interessi economici, commerciali o politici. 

In episodi come le elezioni americane, sia quelle del 2016, che quelle appena concluse, o come la Brexit, le fake news hanno assunto un’importanza funzionale all’interno della comunicazione e della creazione del consenso.

La partita si gioca quindi su due piani di realtà: quello reale e quello social, che fa passare in secondo piano la fonte, la sua autorevolezza ed autenticità a favore della diffusione, della capacità di creare clamore e conseguente assenso e seguito.

Anche il rincorrersi delle notizie e delle ultime ore sull’emergenza che stiamo vivendo, le anticipazioni che si confondono con le previsioni, costituiscono una trama fitta di incertezze che, immediatamente, fomentano timori e fragilità, ma che, a lungo termine, rischiano di erodere, come termiti, il senso e la nostra percezione di ciò che è certo, sicuro, fondante. 

Quale è la sicurezza che vogliamo, che cerchiamo, o quella di cui abbiamo effettivamente bisogno? Quella economica, sanitaria, emotiva, sociale? E dove sta la nostra certezza? Nel passato, che ci garantisce, nella tradizione, o nel futuro, in qualcosa che ancora non è definito e per questo definibile?

Non si tratta solo di capire o ri–comprendere la dinamica del formarsi della certezza in noi e nelle persone e relazioni che da noi dipendono, ma quale ne sia la sua natura, come si alimenti e sopravviva tra le intemperie della vita, che ci attendono e ci sorprendono.

Abbiamo necessità anche di definire quale sia la nostra certezza presente o quella a cui aspiriamo: l’immagine che ne abbiamo, se essa sia salda e inossidabile o sia vivente, se richiede cura, attesa e nutrimento. Abbiamo forse anche il bisogno di trovarne una metafora, che ci aiuti a capire se (aggiungerei: la nostra certezza) assomigli più alle fondamenta di una casa ben costruita, magari sulla roccia, o se sia come le radici di una pianta che connettono alla profondità della terra e saldamente rinvigoriscono, o se invece sia come una rete di nodi e legami che, pur tendendosi, regge e sostiene.

Come a dire che la domanda di quella certezza, che tutti vorrebbero e vogliono, non è un puro esercizio intellettuale o una sorta di panacea spirituale o pratica ideale che, esercitata ogni tanto, ci concede, innalzandoci al di sopra della confusa e complessa realtà, un po’ di sollievo dalle difficoltà.  Essa ha a che fare con la carne ed il sangue del nostro esistere, sostanzia la quotidianità del vivere quotidiano e la possibilità di pensare ed ipotizzare la nuova giornata di domani, che acquisti e conquisti senso, che contribuisca ad abitare il mondo in un modo giusto e pieno, che renda sensato lavorare, impegnarsi e spendersi, e che spinga a non chiudersi ed abbandonarsi a sempre nuove forme di solitudine, ma metta al centro la condivisione che vince l’estraneità.

Interrogarsi, in questo numero della nostra rivista, sul presente e sul suo contenuto di certezza, personale e collettiva, mette il dito sulla ferita esistenziale e morale del nostro essere e del nostro relazionarci, sulle evidenze che impregnano il nostro modo di stare dentro le circostanze. 

Forse, riscoprire e ripartire dalle certezze, poche e vere, aiuterà ad affrontare questo nostro tempo frammentato, così desideroso di eternità, e a rimetterci in cammino.

SOMMARIO

CARITÀ

A SERVIZIO DELLA VITA LUNGO UN FILO: CUORE DI MAGLIA R. Ribbene

MUSICA

“LE POCHE COSE CHE CONTANO”. Don Luigi Verdi e Simone Cristicchi (prima parte) R. Barone

ARTE

RICORDO DI GABRIELLA a cura della Redazione

CINEMA

SOUL S.Giorgi

PUNTO MISSIONE

IL SERVIZIO CIVILE UNIVERSALE. Uno strumento per il bene comune

VITA DEL MOVIMENTO

ASSEMBLEA GENERALE

ULTIMA PAGINA L. Tomasini