I tesori che abbiamo perso e che rischiamo di perdere a causa del terrorismo
(di Massimo Gelmini)
Risale al gennao scorso la conferma dell’annientamento del monastero di S. Elijah, il più antico dei siti monastici cristiani in Iraq, per mano dei fondamentalisti dello Stato Islamico, che nel corso del 2015 hanno anche saccheggiato e raso al suolo le antiche città assire di Nimrud e Khorsabad e polverizzato il Tempio di Bel, monumento simbolo dell’antica città archeologica di Palmira, in Siria. Nel corso dell’ultimo anno abbiamo perso, a causa delle devastazioni e della furia iconoclasta dei terroristi, interi capitoli della nostra storia comune e alcuni capolavori tra i più rappresentativi dei luogh dove è nata e cresciuta la civiltà. Monumenti sopravvissuti per milleni sono scomparsi violentemente in poche ore con azioni spesso sistematiche e deliberate
Un termine nuovo per una pratica antica
L’accezione “pulizia culturale” è entrata in uso di recente per defi nire una pratica in realtà piuttosto datata: la deliberata e sistematica distruzione di un gruppo nazionale, etnico o di una minoranza religiosa e del suo patrimonio culturale, con l’intento di eliminare non solo le persone, ma con esse anche la prova evidente della loro esistenza.
La storia non è priva di episodi di questo genere, basti ricordare il saccheggio di Cartagine operato dalle truppe Romane. In tempi meno lontani vengono alla memoria la distruzione del ponte di Mostar ad opera dei croati e la demolizione che i talebani fecero dei Buddha di Bamiyan, in Afghanistan.
Le Nazioni Unite individuano nella “pulizia culturale” un fattore di rischio specifi co e un indicatore tipico di possibili genocidi, crimini contro l’umanità e crimini di guerra (Framework of Analysis for atrocity crimes. A tool for prevention, 2014). Ma oltre ad essere un presagio di atrocità imminenti, la distruzione intenzionale di monumenti e opere d’arte è già di per sé un crimine, oggi ampiamente commesso nonostante da tempo sia stato bandito dai trattati internazionali.
La mappa dei siti a rischio
Il problema della distruzione del patrimonio culturale — che si aggiunge alle gravissime perdite umane — è noto, ma diffi cilmente trova spazio e interesse se alla notizia non è associato l’elemento visuale che solo è in grado di catturare l’attenzione pubblica (come sanno bene gli jihadisti del Califfato). Per sensibilizzare e promuovere un impegno collettivo in difesa delle vestigia della storia e dell’arte, l’organizzazione non governativa statunitense Antiquities Coalition ha elaborato e messo in rete una mappa interattiva nella quale sono rappresentati i luoghi che sono stati oggetto di devastazione o che si trovano attualmente sotto la minaccia di gruppi estremisti, in particolare entro i confi ni dei Paesi membri della Lega Araba.
Osservando la mappa, che illustra quanto è stato perduto e quanto rischia di scomparire del patrimonio culturale in Medio Oriente e in Nord Africa, colpiscono l’avanzata distruttiva di Daesh (Isis, Isil o Is) e l’intensa attività di una molteplicità di gruppi terroristici e organizzazioni fondamentaliste che agiscono nel mondo arabo. Daesh sa come attirare l’attenzione delle prime pagine dei giornali occidentali, ma il fenomeno è in realtà molto più vasto e coinvolge anche altri attori meno noti (come le affi liazioni di Al Qaeda nella Penisola Araba e nel Maghreb islamico, Ansar Al Sharia in Libia e Jabhat Al Nusra in Siria). Sulla mappa sono stati inseriti e sovrapposti più livelli di informazione, a cominciare dall’individuazione delle aree
che si trovano sotto diretto controllo di gruppi terroristici o sotto una possibile minaccia di conquista, per illustrare poi i siti intenzionalmente attaccati, danneggiati o annientati a partire dal gennaio 2011, quando iniziò la destabilizzazione della regione con la cosiddetta “Primavera araba”, fi no ad oggi (sono esclusi gli effetti dei cosiddetti danni collaterali in caso di confl itto). Non manca l’indicazione dei siti mondiali classifi cati patrimonio dell’Unesco e di un elenco di musei archeologici o dedicati in modo specifi co a storia e religione, ritenuti potenzialmente a rischio.
Più di 10.000 anni di storia, un patrimonio fondamentale di culture e religioni che sono all’origine della nostra civiltà e a fondamento della nostra società sono conservati in questi luoghi (il numero dei siti esplorabili sulla mappa nei 22 Paesi esaminati è circa 700, 230 dei quali colpiti, distrutti o danneggiati), che pure rappresentano solo una minima parte dei siti archeologici presenti nell’area (da 3 a 5 milioni secondo una stima dell’Università di Oxford) molti dei quali non sono stati resi noti pubblicamente, anche per non esporli a ulteriori rischi.
Una lunga lista di perdite
Iraq e Siria sono i due Paesi dove maggiormente si concentrano le segnalazioni.
Nel gennaio scorso si è avuta la conferma attraverso immagini satellitari che, in seguito all’arrivo dell’Isis, avvenuto nell’estate del 2014, non è rimasto più nulla del primo monastero cristiano in Iraq, St. Elijah a Mosul. Risale allo stesso periodo l’attacco che si concluse con l’esplosione della Tomba di Giona, un prezioso luogo di culto caro alle tre fedi monoteiste. Nel febbraio 2015 il mondo intero si è indignato di fronte al video propagandistico nel quale gli jihadisti abbattevano brutalmente le opere custodite nel museo Ninawa di Mosul, il secondo museo dell’Iraq per dimensione. Anche se — si è saputo più tardi — molte delle statue distrutte erano riproduzioni di gesso, almeno due importanti reperti originali, un toro alato e il Dio di Rozhan, sono andati distrutti e molto altro materiale sottratto o danneggiato. Altre immagini famigerate ci hanno mostrato gli stessi terroristi demolire le sculture più famose di Ninive, le imponenti statue dei Lamassu (tori alati dalla testa antropomorfa) posti a sorveglianza delle porte dell’antica città mesopotamica che per più di due millenni avevano protetto. A marzo 2015 sono stati spianati con un bulldozer i resti dell’antica città assira di Nimrud, oggi nell’Iraq settentrionale. In Siria — dopo cinque anni di guerra civile — le ferite al patrimonio artistico non si contano, basti pensare alla devastazione subita da alcune tra le più signifi cative moschee dell’architettura musulmana, come la grande moschea Umayyad di Aleppo (dove la tradizione vuole si conservino le spoglie del profeta Zaccaria), il cui millenario minareto non è sopravvissuto agli scontri tra ribelli e forze governative nel 2013; analoga sorte è capitata alla moschea Omari di Daraa, la più antica del mondo, ma non per questo risparmiata dai bombardamenti. Anche in Siria è stato catastrofi con l’avvento dell’Isis, di cui si ricordano la demolizione dei leoni di Hadatu, un sito archeologico nel governatorato di Aleppo, e la distruzione mediante cariche esplosive di più di 50 mausolei storici, anche all’interno dell’area archeologica di Palmira dove nel 2015 sono stati polverizzati monumenti simbolo come il tempio di Bel (I sec. d.C.) e l’arco trionfale (III sec. d.C.), dopo la decapitazione del direttore, l’archeologo ultra-ottantenne Khaled al Asaad. Attualmente bande di terroristi e di contrabbandieri starebbero saccheggiando alcuni siti della provincia di Quneitra nell’estremo sud della Siria (area sotto il controllo di oppositori del regime di Assad), ricchi di chiese e strutture funerarie di età bizantina e islamica.
In Libia e Tunisia, gran parte degli attacchi è avvenuta prima della diffusione dell’Isis. Per mano di estremisti salafi ti, a partire dalla “Primavera araba” nel 2011 e con maggiore intensità dopo la caduta di Gheddafi nel 2012, sono caduti in Libia molti luoghi di culto della comunità islamica sufi , tra cui santuari storici, moschee e tombe. In Yemen, dove a causa della guerra è più complicato distinguere gli effetti del terrorismo da quelli attribuibili a danni collaterali, una chiesa cattolica ad Aden, nel sud del Paese, è stata distrutta in un attacco di uomini mascherati nel settembre 2015. In precedenza, nel mese di febbraio, gli affiliati Qaedisti di Ansar Al Sharia saccheggiavano e profanavano la tomba del santo sufi Sufyan Bin Abdullah nella provincia di Lahij, dopo aver demolito il monumento antico 800 anni.
Non solo atti di barbarie
La devastazione di opere d’arte non è solo un crimine culturale. È anche una minaccia contro l’umanità. È un
problema per la sicurezza, se si considera che spesso questi gruppi traggono risorse dal furto e dal commercio illegale di reperti, il cosiddetto racket culturale, ovvero il traffico di antichità gestito dal crimine organizzato, che si stima essere un vero e proprio affare di svariati miliardi di dollari. Si sospetta addirittura che questi predatori si stiano organizzando per intraprendere scavi archeologici illegali su scala industriale per alimentare il mercato nero mondiale e dotarsi di una fonte di finanziamento considerevole, con la complicità di traffi canti d’arte e archeologi senza scrupoli che risiedono anche in quell’occidente contro il quale gli islamisti scagliano la loro ideologia omicida.
Così, mentre infarciscono la loro propaganda di delirio anti-occidentale e citazioni coraniche, dicendosi portatori di un mandato di purificazione e condannando alla cancellazione opere pre-islamiche che ritengono sacrileghe ed eretiche per la propria teologia, i terroristi in realtà sembrano disposti a lasciare queste stesse opere integre per esportarle e trarne un beneficio economico. Probabilmente perché sono disposti a distruggere semplicemente ciò che non possono vendere, dimostrando in definitiva una totale disconnessione con la storia, un estremo disprezzo per il passato, una piena estraneità alla cultura da cui si è sviluppata la civiltà, alla quale si rifi utano di appartenere.
Per usare le parole del Ministro degli Esteri giordano Nasser Judeh, costoro agiscono «spaventati dalla storia, perché la storia li ha delegittimati». Poter esplorare una mappa online e scoprire quanto del patrimonio culturale e architettonico rischia di scomparire per sempre dà visibilità al prezioso lavoro di catalogazione e tutela di chi sta cercando di scongiurare ulteriori perdite. Rifl ettere su quanto è andato irrimediabilmente perduto serve a tener viva la memoria storica collettiva e fornisce una ragione in più per sostenere che la lotta contro il terrorismo non sarà mai effi cace se non agirà sul piano culturale, se non si faranno sforzi per educare le giovani generazioni a riconoscere e salvaguardare la propria identità storica, culturale e religiosa.
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 17, NUMERO 1, Marzo 2016