Incontro con Giacomo Poretti (a cura di Cristina Pietta)
Il 27 ottobre 2015 Giacomo Poretti ha incontrato i ragazzi della Scuola Madonna della Neve di Adro. Ha parlato di celebrità e determinazione, di povertà e desiderio, di comicità e di gratitudine, nella consapevolezza che poter dialogare con i giovani e raccontar loro un pezzo di storia è un privilegio e una responsabilità. Riportiamo qualche stralcio del suo lungo dialogo con i ragazzi.

Giacomo racconta…
Sono contento e ringrazio costantemente Qualcuno che sta più in alto di me perché mi concede questa possibilità, questa opportunità e questo privilegio. Essere una persona famosa è una responsabilità e un’esperienza ricchissima. Mi rendo conto dell’affetto che i ragazzi hanno nei nostri confronti!
Vorrei allora parlare della celebrità che ci colpisce tantissimo: Aldo, Giovanni ed io abbiamo avuto la fortuna, grazie a Dio, di essere famosi, di essere conosciuti in tutta Italia 20 anni fa, quando molti di voi non c’erano ancora.
La comicità oggi è un po’ diversa da quando abbiamo cominciato. Negli anni ‘80 i nostri riferimenti erano ciò che si vedeva a Milano. Allora Milano era davvero la capitale d’Italia dello spettacolo! C’era un fermento di cabaret… C’era il Teatro Ciak, che adesso non c’è più ed è un pezzo di storia dello spettacolo della nostra nazione. Era un cinema e con 5 mila lire tu vedevi un film e subito dopo c’era uno spettacolo di cabaret, che era una forma particolarissima di spettacolo che stava nascendo.
Gli anni ‘90 sono stati per noi anni di creatività irripetibile e non è solo fortuna (nella vita può accadere un colpo di fortuna, ma la fortuna non capita quasi mai), ma frutto del lavoro e della determinazione e soprattutto di una cosa che appartiene a me, a Giovanni e Aldo, che è la passione, il desiderio di fare il teatro, di giocare quella cosa meravigliosa che è fare teatro.
È stata questa determinazione, che vuol dire anche andare incontro a frustrazioni e umiliazioni, che ci ha condotto fin qui: l’anno prossimo festeggeremo i 25 anni di attività e ci divertiremo a raccontare le difficoltà dell’inizio. Anche noi abbiamo dovuto passare attraverso la fatica di non essere capiti ed apprezzati.
Nel 1990 moriva la televisione degli sketch con Totò, Fabrizi (maestri assoluti) e nasceva una forma di spettacolo che prevedeva uno show–man, una persona da sola con un microfono che faceva battute a raffica. Quando ci siamo presentati noi tre con un repertorio assolutamente “classico” (direbbe qualcuno), gli autori dicevano: «Voi non c’entrate niente, dovevate nascere 80 anni fa. Non avete futuro». Poi, un po’ grazie alla determinazione, alla passione, ad un po’ di inconsapevolezza (e Aldo ne possiede tanta), alla fortuna di incontrare persone che riconobbero in noi una follia creativa che per loro era necessaria, è stato possibile creare i nostri spettacoli.
Nella vita è importante trovare, sia per sposarsi, sia per fare un trio comico, qualcuno che ti capisca. Se non c’è nessuno che ti capisce, rimani lì da solo.
Ad ognuno il suo talento
Il bello del nostro lavoro non è tanto nel fare fotografie o l’autografo (in quello riconosciamo l’affetto), ma il bello è che vivi una condizione psicologica interiore talmente particolare quando sei sul palcoscenico, che sei veramente toccato dalla grazia. Lì comprendi che il senso della vita è racchiuso in un gioco, nel divertimento. A noi comici capita la fortuna meravigliosa di essere affannati tutta la giornata a fare cose molto faticose, pratiche, tutte necessarie, ma quando accade il momento di dimenticarti e di entrare nella finzione del gioco, ti sembra di ritornare ragazzino come quando andavi all’asilo o alla scuola elementare. La creatività è meravigliosa! Bisogna, però, lasciar spazio dentro di noi a questa cosa, dare la possibilità che accada. Cerchiamo di lasciarci andare e di ascoltare la nostra voglia di pazzia, di creatività, di anormalità nel senso buono del termine.
Il creativo è un centimetro più avanti degli altri. La creatività a volte dà fastidio perché rompe gli schemi, mette a disagio. La creatività c’è sempre, bisogna ascoltarla, tirarla fuori. A volte sembra che diventare celebre sia l’unica strada per essere importanti nella vita.
È un grosso equivoco: sappiate che chiunque è importante tanto quanto Giacomo, Aldo, Giovanni, indipendentemente da quello che ha fatto e fa. Indipendentemente dal risultato che uno ottiene nella vita, l’importante è che realizzi quello che ha dentro. Ognuno di voi, ragazzi, sia che vinca un Oscar o che faccia un lavoro d’ufficio, l’importante è che tiri fuori il proprio talento.
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La povertà ci ha ancorato
Con Giovanni e Aldo condivido un’estrazione sociale che ci ha salvato e ci salva continuamente. Tutti e tre abbiamo avuto famiglie povere, ma questo non ci ha impedito di conservare ricordi tra i più belli e i più preziosi della nostra vita. Credo che lo sappiate che la felicità non dipende dal fatto che ci siano o non ci siano tanti soldi nella propria famiglia. Io ricordo il clima che i miei genitori creavano quando io e mia sorella eravamo bambini e lo ritengo un tesoro inestimabile. Ci hanno voluto bene per tutta la vita, hanno creato un clima meraviglioso. Ci hanno insegnato che le cose hanno un valore, che bisogna conquistarle. L’aspetto della povertà è un dato indelebile e ci ha consentito di apprezzare le cose e la fatica per averle.
Gli inizi
Noi siamo arrivati al successo a 40 anni perciò era un po’ inaspettato. Siamo stati ovviamente ben felici perché quando uno ottiene successo si tranquillizza e crea ancora di più. All’inizio della carriera un comico o un artista ha un sentimento che lo attanaglia. Detto in parole povere “se la fa sotto” e quanto, voi non ne avete idea. È un lavoro quello che fai e il giudizio del pubblico è immediato.
Mi ricordo uno degli spettacoli che ho fatto in un luogo grande come questo e c’erano 5 persone in sala. Io dovevo parlare e loro mi guardavano… in quei momenti ti passa tutta la vita davanti… Faccio veramente schifo? Penso dei testi brutti? Torno in ospedale (allora facevo l’infermiere)? È terribile: l’ansia che vivi è molto alta. Quando capisci che funziona, invece, entri in uno stato d’animo talmente bello, talmente beato, che tutto quello che hai dentro può venire fuori. È questa la cosa estremamente positiva. Siamo rimasti come allora, anche se la vita è cambiata.
Il teatro, in cui rientra a pieno diritto anche la comicità, ti permette di sperimentare, se hai voglia e ne hai le capacità, tanti diversi personaggi, perché non sono autobiografici, anche se in ciascuno c’è qualcosa di te. Come diceva un intenditore di teatro «dentro di noi ci sono tutti i personaggi della storia del teatro, gli assassini, i santi, i simpatici, gli antipatici…».
La capacità di interpretare
Abbiamo bisogno di ridere! Abbiamo bisogno di tutto, della comicità, ma soprattutto di riflettere, di pensare per avere un orientamento su ciò che accade.
Mi capita spesso di incontrare ragazzi e sento che quest’età è entusiasmante perché si comincia a mettere qualche mattoncino del futuro. Comincia anche qualche incertezza: dove vado? Cosa faccio? Se sbaglio? Vorrei fare quello, ma i miei genitori vorrebbero… È un’età in cui sei dentro un sacco di pressioni: i genitori, gli amici, i professori…
I ragazzi di oggi dovrebbero iscriversi tutti a facoltà di filosofia o di teologia e vi spiego il perché. Siamo tutti bravissimi a fare gli ingegneri, a parlare l’inglese con ossessione. La tecnica certo è importantissima. Secondo me, però, stiamo perdendo un po’ la capacità di interpretare i processi. È importante comprendere quello che facciamo, il senso della vita.
Se uno si occupa di filosofia alla fin fine si occupa di equilibrio, di armonia. Il compito della nostra testa è di tirar via gli orpelli inutili per arrivare all’essenziale delle cose. Ed è questo che fa anche il comico.
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 17, NUMERO 1, Marzo 2016

Nasce il 26 aprile 1956 a Villa Cortese (MI), nel legnanese, in una famiglia di operai. Da piccolo, frequentando l’oratorio della sua cittadina, si appassiona al teatro. Tra gli 8 e gli 11 anni comincia a recitare, cercando senza successo di entrare nella compagnia I Legnanesi. Abbandona gli studi da geometra per andare a lavorare in fabbrica come metalmeccanico, poi a 18 anni entra in ospedale come infermiere diventando anche caposala. Nel frattempo si dedica al cabaret e alla contestazione politica, impegnandosi attivamente con Democrazia Proletaria.
Lavora per 11 anni come infermiere, durante i quali, nel 1983 si diploma alla scuola di Teatro di Busto Arsizio. Il suo esordio a teatro avviene interpretando Francesco Sforza ne Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni, mentre grande successo ha il personaggio autoironico dell’alto e slanciato ufficiale Sarelli in Questa sera… di Luigi Pirandello. Divenuto caposala del reparto neurologia dell’ospedale di Legnano (MI), nel tempo libero fa l’attore comico insieme alla fidanzata Marina Massironi, con cui nel 1984 forma il duo cabarettistico Hansel e Strüdel.
Nel 1985, e per qualche anno ancora, ha esperienze come capovillaggio in Sardegna presso il Palmasera Village Resort di Cala Gonone, insieme a Marina Massironi e ad Aldo e Giovanni, che all’epoca formavano un duo chiamato “La Carovana”.
Dopo aver partecipato a diverse produzioni televisive (tra cui Star 90, i telefilm Professione vacanze con Jerry Calà e Don Tonino con Andrea Roncato, Gigi Sammarchi e Manuel De Peppe), nel 1989 scrive lo spettacolo Non Parole, ma Oggetti Contundenti, la cui regia sarà affidata a Giovanni Storti. Nel 1991, convinto da Giovanni, debutta insieme ad Aldo Baglio ed allo stesso Storti al Caffè Teatro di Verghera di Samarate, in provincia di Varese, con Galline Vecchie Fan Buon Brothers. Da quel momento in poi inizia la storia del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo.
Da anni è impegnato nel Centro culturale «San Fedele» di Milano, dove organizza, insieme alla moglie, incontri culturali e spirituali. Inoltre dal gennaio 2009 cura una rubrica, dal titolo Scusate il disagio, su Popoli, mensile dell’ordine dei Gesuiti.