La verità che sorprende

(di Stefania Giorgi)

Intorno al fenomeno della maternità surrogata stanno lentamente emergendo posizioni contrarie anche tra le fila dei più lontani dal panorama cattolico, con qualche ingenuo atteggiamento di sorpresa per il conseguente ostracismo sociale che di solito ne deriva verso chi “osa“ difendere la vita e la dignità dell’essere umano.

Quale legge?

Nel gennaio scorso, la Corte di Strasburgo si è pronunciata su un caso italiano di “utero in affitto”: in sintesi, i giudici hanno affermato che era stato legittimo, da parte dello Stato, sottrarre un bambino concepito tramite questa pratica alla coppia che lo aveva “commissionato”. Il giorno dopo questa sentenza, a suo modo storica, larga parte del mondo cattolico ha celebrato con favore questo episodio parlando di “passo avanti clamoroso”. In effetti, sarà molto più difficile aggirare il divieto italiano di gestazione surrogata, avendo confermato il diritto dello Stato di non “premiare” le coppie che ricorrano a simili “servizi” in Paesi in cui sono legali, concedendo poi loro di adottare il bambino così concepito (anche se singoli giudici continuano a “inventare” motivazioni giuridiche per farlo). Inoltre viene fissato un principio: il riconoscimento della genitorialità è automatico solo se passa da un legame biologico. Sembra una banalità, ma in questi ultimi anni è una di quelle verità che è stata spesso messa in discussione.

Il fatto è però che, anche questa volta, non si è trattato di un pronunciamento definitivo, o che possa effettivamente gettare le basi per qualcosa di oggettivamente vincolante per gli Stati membri.  Non c’è insomma da cantare vittoria.

Purtroppo le istituzioni europee, e mondiali, sembrano voler fare di tutto per imporre una posizione libertaria sulle questioni bioetiche (si veda ad esempio l’ultimo tentativo da parte della parlamentare europea belga De Sutter che ha tentato di far passare un documento tollerante verso l’utero in affitto e che è stata contestata per conflitto di interessi, in quanto ginecologa praticante la surrogacy nella sua clinica a Gand), perciò occorre la massima allerta da parte di tutti.

Femminista sarai tu!

Mentre all’inizio solo la Chiesa si è opposta subito all’utero in affitto, nel tempo moltissime persone non legate ad alcuna confessione religiosa, tra cui molti intellettuali, scienziati, medici e politici, hanno espresso dubbi e riserve su di esso, condividendo il principio secondo cui i bambini non si comprano, e una donna non può essere ridotta a “fattrice”, per quanto consenziente. Da alcuni anni poi anche i movimenti femministi hanno cominciato a manifestare perplessità e contrarietà sulla bontà di questa pratica, evocando gli storici motivi di “sfruttamento patriarcale della donna” e di “moderna schiavitù”, accendendo feroci dispute interne e scatenando l’ira dei movimenti Lgbt. Per esempio, nell’aprile del 2016, la European Women’s Lobby (EWL), una delle più importanti organizzazioni pro– choice europee, da sempre alleata con il movimento gay, ha firmato insieme a molte altre organizzazioni di donne un appello per proibire la surrogacy in tutto il mondo, non solo perché lede la dignità e i diritti delle donne, ma perché «il bambino è oggetto di un abbandono pianificato, anzi viene concepito allo scopo di essere abbandonato». Ovviamente ne sono seguite polemiche che non accennano a diminuire e accuse di omofobia lanciate alle responsabili di questa iniziativa.

In Europa, in prima linea ci sono le femministe francesi che hanno cominciato a reagire di fronte alle crescenti domande di iscrizione allo stato civile di bambini nati da madre surrogata in California, Russia o India. A Febbraio 2016 hanno indetto a Parigi un convegno per l’Abolizione universale della maternità surrogata da cui è uscito un documento ufficiale firmato da ricercatori, parlamentari francesi ed europei, associazioni femministe e sostenuto da una storica voce del femminismo d’oltralpe, Sylviane Agacinski (moglie dell’ex–premier Lionel Jospin), impegnata da anni con la sua Associazione Corp (Collettivo per il rispetto della persona) e autrice del saggio Corps en miettes (Corpi sbriciolati, Flammarion). Così ha spiegato l’obiettivo della manifestazione: «Impedire che, come la prostituzione, anche la pratica dell’utero in affitto trasformi le donne in prestatrici di un servizio: sessuale o materno. Il corpo delle donne deve essere riconosciuto come un bene indisponibile per l’uso pubblico. […] Non abbiamo a che fare con gesti individuali motivati dall’altruismo, ma con un mercato procreativo globalizzato nel quale i ventri sono affittati. È stupefacente, e contrario ai diritti della persona e al rispetto del suo corpo, il fatto che si osi trattare una donna come un mezzo di produzione di bambini. Per di più, l’uso delle donne come madri surrogate poggia su relazioni economiche sempre diseguali: i clienti, che appartengono alle classi sociali più agiate e ai Paesi più ricchi, comprano i servizi delle popolazioni più povere su un mercato neo–colonialista. Inoltre, ordinare un bambino e saldarne il prezzo alla nascita significa trattarlo come un prodotto fabbricato e non come una persona umana. Ma si tratta giuridicamente di una persona e non di una cosa».

Bisogna sottolineare però che in questa colta assemblea pare che si sia discusso pochissimo della sorte dei bambini nati in questo modo, e molto di più della libertà delle donne nell’accettare questa pratica sui loro corpi, e della legittimità di farne un dono senza contropartita. Qualcuna ha concluso di essere contraria allo sfruttamento delle madri surrogate nei Paesi più poveri non già in nome della libertà delle donne, ma per combattere il neoliberismo e il neocolonialismo.

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Normalità italiana

Finora in Italia non abbiamo visto nulla di simile, almeno fino a tempi recenti, perché la grande maggioranza delle femministe si è mostrata straordinariamente prudente nel prendere posizione. Forse anche perché straordinariamente prudenti sono anche i media italiani nel dare notizia anche del lato oscuro della maternità surrogata: fabbriche di bambini in India, cause legali di committenti verso madri che alla nascita hanno cambiato idea non volendo più consegnare il bambino come previsto dal contratto, o, al contrario, casi di coppie che hanno imposto l’aborto, anche selettivo, dei figli “ordinati” una volta scopertane qualche disabilità. Episodi che all’estero non hanno mancato di generare estesi dibattiti nell’opinione pubblica, e qualche volta anche cambiamenti di leggi e ripensamenti su pratiche già avviate, ma che in Italia hanno invece ricevuto pochissima eco facendo cadere nel vuoto qualsiasi tentativo di mettere l’argomento al centro del discorso.

Un esempio della differenza tra Italia e resto dell’Europa è stato l’appello lanciato dalle femministe di Se non ora quando – Libere contro la Gpa (Gestazione per altri): nel dicembre 2015 hanno chiamato a raccolta tutti coloro che condividevano l’opposizione alla surrogacy ritenendola una battaglia di civiltà, ma nonostante moltissime firme di alto livello, dopo pochi giorni ci sono state clamorose ritrattazioni con ritiro della firma, come quella di Dacia Maraini. Il clima, soprattutto in vista della discussione politica della legge sulle unioni civili (poi approvata nel Marzo successivo), è diventato arroventato, con accuse e intimidazioni verso le femministe “omofobe e traditrici”. Peccato che a firmare l’appello ci fossero stati anche attivisti dei movimenti Lgbt.

Una delle più attive su questo fronte è la giornalista e scrittrice Marina Terragni, autrice del libro Temporary mother: utero in affitto e mercato dei figli, nonché di una seguitissima rubrica sul Corriere della sera dal titolo La 27esima ora.

Incoerenze e cecità

Quello che è encomiabile nella Terragni, come in altre donne che recentemente hanno fatto un passo avanti, ad esempio la filosofa Luisa Muraro (anche lei autrice di un volume dal titolo L’anima del corpo: contro l’utero in affitto), è sicuramente il coraggio di esporsi in un momento storico di valori “liquidi” e in una società che non vuole sentire parlare di limiti e di restrizioni ai propri desideri.

Insieme a tante altre hanno scritto e parlato di argomenti scomodi ricevendo insulti e minacce, ostracizzazioni e censure, scoprendo quanta poca democrazia e tolleranza possa esserci proprio tra coloro che ne fanno, a parole, una bandiera. Più ingenua ci sembra la sorpresa e lo scandalo nell’aver scoperto la violenza di certe posizioni, o l’imbarazzo, subito mascherato, nell’accorgersi che la Chiesa era già da tempo “sul fronte”.

Eppure, Terragni e le altre femministe sostengono omogenitorialità, stepchild adoption e unioni civili, non trovando alcuna contraddizione nel considerare disumana e assurda la maternità surrogata, ma auspicandola qualora fosse slegata dalle dinamiche di sfruttamento commerciale. Come tenere insieme il sostegno al desiderio di due omosessuali di diventare genitori affermando nello stesso tempo, come fa Paola Tavella, giornalista e autrice di un libro contro le tecniche di procreazione assistita dal titolo Madri Selvagge, che «non possiamo organizzare scientificamente di fare nascere un figlio senza madre, che non avrà mai una madre»?

Contraddizioni che stridono. L’onestà intellettuale è difficile da raggiungere, ma bisogna anche riconoscere che in Italia, da decenni, ci sono una pressione e una narrazione culturale di cosa significa essere donna e madre, talmente forti e invadenti da impedire letteralmente di “vedere” certe verità. Ancora Terragni infatti dice: «Quando negli anni Settanta lottavamo per liberarci della maternità come destino ineluttabile e gridavamo “l’utero è mio e me lo gestisco io”, nessuna avrebbe immaginato che quel motto sarebbe diventato il claim (rivendicazione, ndr) dell’individualismo proprietario».

Noi sappiamo che non è così. Il mondo cattolico aveva visto quale sarebbe stata la deriva.

In una intervista di Marco Dotti a Michel Onfray, uno dei più famosi polemisti atei francesi, questo intellettuale si esprimeva così: «Quando i cattolici dicono che un bambino non può essere comprato o venduto e che non si può iniziare un percorso esistenziale sereno in questa configurazione, allora l’ateo che mi sento di essere dice che i cattolici hanno ragione. Dire che sono nel torto solo perché sono cattolici sarebbe un crimine ideologico. La verità, la giustizia sono talvolta di destra, talvolta di sinistra, talvolta cristiane e talvolta atee». Insomma, la verità è la verità. Punto.

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 18, NUMERO 1, Aprile 2017