(di P. Fabio Silvestri ocd)

L’obiezione ci era chiara sin dall’inizio e l’abbiamo anche immaginata sulla bocca di molti: «Ma… era proprio il caso di fare un articolo su… Totti? E, per di più, su una rivista come Dialoghi?». Tuttavia, quando alcuni amici ci hanno proposto un articolo, suggerendo anche preziosi spunti (in particolare Andrea, di provata fede milanista, con sua moglie Giulia), ci siamo resi conto che forse dietro la commozione suscitata dall’addio di Totti (allo stadio e in chi seguiva da casa) si nascondeva qualcosa di più di un mero evento sportivo, per quanto toccante. Così abbiamo accolto la sfida, pur intuendone i “rischi”: possibili eccessi retorici, una possibile caricatura di un “Ritratto di… ” (nel caso in questione, quello di un… capitano!), un possibile conflitto d’interessi (se chi scrive tifa per la stessa squadra di Totti…). In realtà, e al di là di tutto, il nostro vero interesse è stato ed è solo quello di un racconto. Per ridire una storia semplice, come quella legata a un gioco, che però appare anche un po’ una parabola della vita: con i suoi inizi, il suo sviluppo, i suoi successi, le sue sconfitte. Anche nella vita di un giocatore, d’altra parte, possono esserci aspetti poco noti, ma che vale la pena di narrare. Sono quelli più umani, forse i più preziosi…

Quel primo pallone

Il primo pallone destinato a lui entrò in casa il 6 gennaio, il giorno dell’Epifania. Era la fine degli anni Settanta e dalla finestra di via Vetulonia, a S. Giovanni, Francesco spiava già gli altri bambini mentre giocavano nel cortile polveroso, dietro la scuola. Bastò poi scavalcare la ringhiera, di nascosto dalla madre Fiorella, per dare inizio al “sogno”: perché da lì, da dietro casa, iniziarono le partite più belle e interminabili, che da un certo momento in poi proseguiranno sui primi veri campi di calcio. A 7 anni, infatti, Francesco comincerà a giocare come “pulcino” con la Fortitudo, poi con la Smit Trastevere e poi ancora, nel 1986, con la Lodigiani. E pochi sanno che, nel 1989, quando Totti stava per compiere 13 anni, la Lodigiani aveva già raggiunto un accordo per cederlo alla Lazio… Sarà solo l’ardito blitz di un dirigente della Roma, nel pomeriggio a casa sua, a deciderne infine il trasferimento alla squadra giallorossa… Da lì in poi, per lui, sarà solo Roma. Esordirà in Serie A a soli 16 anni e, nei suoi 25 anni di carriera, disputerà 784 gare ufficiali, con più di 300 reti realizzate, di cui 250 in campionato (come secondo cannoniere di tutti i tempi). Con la Roma, inoltre, Totti vincerà uno Scudetto (2001) ed altre coppe, mentre nel 2006 diventerà campione del mondo con l’Italia. Per il nostro racconto allora non potevamo che partire da lì, cioè da quel primo pallone, perché, quando nel giorno del suo addio alla Roma Totti ha fatto riferimento ad un “sogno” che doveva necessariamente interrompersi, in fondo era ancora a quegli inizi che pensava… Cioè alla passione di una vita, ad una storia molto semplice e insieme affascinante, quella di un bambino divenuto adulto facendo ciò che più amava e che, per la prima volta, capiva che qualcosa doveva davvero finire. Per questo la sera del 28 maggio, con l’aria un po’ meno scanzonata del solito e con la voce rotta dall’emozione, era un uomo di 40 anni a leggere le parole di quel bambino, capaci di emozionare 65.000 persone, tutte commosse e in silenzio: «Avete presente, da bambini, quando la mamma ti sveglia per andare a scuola? Interrompe la tua storia fantastica e per quanto ti sforzi poi non c’è più modo di ripartire e scoprire come sarebbe andata a finire. Ecco, io stasera mi sento così…».

Simbolo sì… ma controcorrente

Ma perché l’addio di Totti ha destato così tanta partecipazione, anche in altri Paesi del mondo e in chi, normalmente, non segue affatto il calcio? È accaduto qualcosa di diverso, dicevamo, qualcosa di più… Per capirlo, non possiamo che riandare a quella sera. Perché quella sera, innanzitutto, è emerso un legame forte e probabilmente unico, tra un calciatore e la sua squadra, tra un uomo e la sua città. E questo è il primo dato che nel calcio moderno fa eccezione. Oggi, infatti, un calciatore guidato dai suoi procuratori si trasferisce da una squadra a un’altra a suon di milioni e, per altro, può farlo anche da un giorno all’altro: il progetto è il suo, il guadagno è il suo e, di conseguenza, non ci sono bandiere o tifosi o legami che possano davvero tenere di fronte alla propria carriera e al proprio business. Quella di Totti, invece, è stata una storia diversa: una storia che lui ha scelto e voluto diversa. Infatti, pur a fronte di offerte prestigiose (di squadre come il Real Madrid o il Milan dei tempi d’oro), pur a fronte della possibilità di vincere e guadagnare di più altrove, pur a fronte della possibilità di dare una diversa svolta alla sua carriera, Totti ha scelto di restare a Roma, di non cambiare maglia e di dare priorità ad un’appartenenza sentita fino in fondo, da lui come dalla gente. Eppure siamo in tempi in cui la fedeltà non va più di moda, né in famiglia, né in politica, né in ogni altro aspetto della vita. Per certi versi, neanche verso noi stessi. E allo stesso modo, oggi, rischia di non dire più nulla, soprattutto ai giovani, il senso di una vera appartenenza. Troppo preso dal culto minimo del proprio “io”, l’uomo moderno rischia infatti di non avere più alcun interesse ad essere “di” qualcuno: di un amore, di un progetto o di una storia da costruire. Così, se il fatto di vedere che questa via è ancora possibile, anche per un campione e che una vita fatta di promesse mantenute può essere piena di senso e farti venire voglia di imitarla allora tutto questo significa che quella storia ha interpretato qualcosa di profondo, che un po’ tutti ci portiamo dentro almeno come domanda: «Ma io, alla fine, di chi sono…? E a chi mi sentirei di promettere fedeltà, anche perdendo altri e più facili guadagni?».

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Il legame con (la) Roma

Nel caso di Totti, poi, questi valori hanno assunto i contorni e il senso di una vera identificazione. Reciproca, certamente, quella con la sua città. Perché se Totti esprime qualcosa del volto di Roma, allo stesso modo Roma si vede rispecchiata in tante caratteristiche di questo calciatore e della sua umanità. A detta degli “esperti” e degli “storici”, d’altra parte, non si era mai visto qualcosa del genere, cioè qualcosa di simile a quanto accaduto il 28 maggio: le lacrime di uno stadio intero erano dovute ad un affetto sincero, per un grazie vicendevole, ma anche l’esito del reciproco riconoscersi dentro una favola perfetta, quella di una vera e propria simbiosi tra un uomo e il suo popolo, tra un campione e i suoi tifosi. La giornalista romana Stefania Ulivi, ai colleghi milanesi che le chiedevano ragione del suo affetto per Totti, ha scritto così: «È difficile spiegare… se non hai capito già. Occorrerebbe capire non solo la Roma (in quanto squadra) ma Roma (in quanto città). Una meraviglia assoluta che in molti amano odiare, godendo nel vederla ferita. E Francesco Totti è il «core de ‘sta città». L’incarnazione dell’eterno capitolino: candido e disincantato, coatto e generoso, strafottente e anarchico, cinico e sognatore. Totti e il contrario di Totti. […] Altro che divino: anche se capita che fermi un temporale e ribalti una partita già persa, Totti è leggenda perché è umano, troppo umano. Lo porta dipinto su quella faccia un po’ così, campione del mondo di linguaggio non verbale. È il centurione della Roma antica, ma anche quello che faceva la comparsa a Cinecittà, ai tempi di Ben Hur…» (Stefania Ulivi, Corriere della Sera).

È vero, funziona così, la “fenomenologia del Totti umano, troppo umano”, non preoccupato di dover sembrare diverso: perché lui è così quando dopo il goal esulta con il dito in bocca o si fa il selfie con la Curva Sud; così è quando ai rigori, in semifinale all’Europeo, ai compagni sbigottiti dice «Mo’ je faccio er cucchiaio» (ndr: per segnare il rigore con leggero pallonetto); così è mentre in campo provoca laziali e juventini con gesti canzonatori o con magliette («Vi ho purgato ancora»). Ma poi, in fondo, Totti è così anche quando mescola le carte e recita un personaggio che per primo diverte lui; come nel libro di barzellette nelle quali sembra non capire nulla (ma per le quali scrive la prefazione) o come anche nelle pubblicità più recenti. Allo stesso modo con cui è ormai passata alla storia la risposta data al giornalista che gli diceva: «Allora Totti… “carpe diem”!» e a cui lui serafico rispondeva: «Scusa, ma non mastico l’inglese…».

La famiglia al centro

In realtà, però, scavando un po’ nel “vero” Totti, ci si rende conto che dietro l’icona troppo immediata del romano e romanista non c’è stato solo il legame con una squadra, e nemmeno solo quello con una città. Dietro c’è un uomo che ha fatto alcune scelte e che poi ha provato a mantenerle. Prima fra tutte, la famiglia. Francesco viene da una famiglia unita, dove il papà Enzo lavorava in banca, mentre la madre Fiorella faceva la casalinga, occupandosi a tempo pieno dei nonni malati. E proprio dalla madre ebbe un primo esempio, sulle priorità da stabilire nella vita, anche rispetto ai soldi: ad alcuni emissari del Milan, venuti a casa sua con 150 milioni di lire per prendere quel ragazzino biondo così forte, la signora rispose soltanto: «Non se ne parla, è troppo presto per andare lontano da casa».

Ma la famiglia è ora anche quella che lui stesso ha costruito e che ha definito così, senza giri di parole: «Non esiste amore più grande». Sposato da più di 10 anni con Ilary Blasi, le ha dedicato goals, esultanze e magliette. Da lei ha avuto tre figli e, quindi, il dono impagabile di diventare padre: «A volte mi chiedo come facessi prima di diventare padre. Provo a stare con i miei figli tutto il tempo libero che ho. Spero di riuscirci bene e di sicuro provo a fare del mio meglio».

Quei goals per gli altri, per chi soffre

Nel corso della sua carriera, ad ogni modo, Totti ha mostrato di saper guardare anche al di là della propria cerchia. La consapevolezza di poter essere un modello per tanti giovani, in particolare, lo ha portato a non dimenticare chi nella vita è stato meno fortunato: «I calciatori in fin dei conti sono ragazzi normali e che sbagliano come tutti. Per me i modelli a cui devono aspirare i giovani dovrebbero essere diversi: persone che dedicano la vita a fare del bene al prossimo». Lui ha provato a farlo, spesso in modo nascosto. Tra le sue tante iniziative di carità, c’è una collaborazione di anni con l’Ospedale Bambin Gesù per l’acquisto di macchinari, per campagne di sensibilizzazione e anche per semplici pomeriggi passati a far compagnia ai bambini ricoverati. Ha acquistato un macchinario da 60.000 euro per l’Ospedale Santo Spirito di Pescara, ne ha regalato un altro a una bambina disabile conosciuta in aeroporto. Ha poi sistematicamente devoluto in beneficenza tutti i cachet ricevuti per le sue partecipazioni televisive, da Sanremo a Buona Domenica e i diritti dei libri che lo hanno riguardato; persino il pagamento dell’esclusiva (video e foto) del suo matrimonio, pari a 240.000 euro, è andato interamente in beneficenza. Nel 2003 Totti è stato nominato inoltre ambasciatore dell’UNICEF, con cui attualmente collabora e per i cui progetti ha consegnato numerosi assegni (due di quasi 500.000 euro, nel solo periodo dal 2003 al 2005, per la costruzione di scuole in Congo). Nel 2009, infine, è arrivato quello che forse è il gesto più bello; in quell’anno infatti Totti ha adottato 11 bambini di Nairobi (Kenya), con una motivazione che rispecchia insieme la sua simpatia e la sua generosità: «Una squadra di 11 bambini è il sogno di tutti i genitori e sicuramente era anche il mio: non potevo… non adottarli tutti!».

E infine… grazie a Dio

Dietro tutto quello che abbiamo raccontato, però, c’è un ultimo aspetto della vita di questo campione, così atipico, insieme guascone e generoso, che merita di essere conosciuto. È quello più delicato, quindi anche meno sbandierato, eppure profondo: la fede. In una recente intervista per “A Sua immagine”, Francesco si è espresso così: «Ho sempre dato grande importanza a certi gesti, dal segno della croce alla preghiera. Fede è credere a cuore aperto e senza condizioni. È anche per questo che le parole “fede” e “fiducia” sono così simili, no? L’uomo non è nato per caso e la fede gli indica la strada».

Una fede coltivata sin da bambino, la sua, soprattutto per volere della madre, quando ancora faceva il chierichetto nella chiesa di Porta Latina. E una fede che ricevette una “folgorazione” da Giovanni Paolo II quando, durante un incontro con alcune scuole romane, il Papa gli posò la mano sulla testa bionda: «Avevo 8-9 anni ed ero accompagnato da mia madre. Il Papa stava passando quando, a un tratto, si fermò e mi appoggiò una mano sulla fronte. Fu una grande emozione per me e soprattutto mi colpì il suo sguardo, la sua energia: sembrava quasi che emanasse un senso di tranquillità, di pace». Il legame con questo Papa si rinsalderà più tardi, quando Totti da calciatore lo rivedrà per due volte e, infine, quando si troverà in Piazza S. Pietro proprio per un ultimo saluto, la sera stessa della morte del Pontefice. Totti ha conosciuto anche Benedetto XVI, che gli regalerà personalmente un rosario, e di cui saprà commentare con parole umili la rinuncia: «Mi colpì molto quando decise di dimettersi. Rimasi stupito, poi mi rattristai profondamente. Ma se il Papa aveva deciso di fare un gesto del genere andava accettato, prima ancora che capito. Evidentemente era stato Dio a volerlo…». E, infine, ha incontrato Papa Francesco, dal quale ha ricevuto un’impressione di semplicità e profondità: «Ho avuto l’impressione di avere a che fare con una persona umile, una come tutte le altre. Mi ha trasmesso sicurezza e umanità. Il Pontefice ha messo tutti a proprio agio. Consegnargli la maglia giallorossa è stata un’esperienza irripetibile».

La fede di Francesco Totti, ad ogni modo, ha trovato la sua dimensione più bella proprio nel privato. Il suo rapporto con Dio ha avuto infatti al centro la gratitudine, ma dove le cose più importanti per cui ringraziare sono state e sono quelle più intime, come le persone a lui affidate, anche nel bel mezzo di una partita: «Ogni volta che segno un gol bacio l’anello del matrimonio e rivolgo un ringraziamento al Signore per avermi regalato una vita piena di soddisfazioni. Non solo sui campi di calcio, ma soprattutto nella vita di tutti i giorni, con Ilary e i nostri figli. Quando sono nati ho vissuto i momenti più importanti di tutta la mia vita. L’amore per i nostri cari, e soprattutto per i figli, penso sia simile a quello che Dio nutre per ognuno di noi». Per concludere un’ultima nota che giace nascosta come una perla preziosa e che è la nota più dolce e filiale della sua fede. Qualcosa di insospettabile solo per chi non lo conosce bene. In realtà, qualcosa che da sempre lo accompagna: il suo legame con Maria. Da sempre, infatti, Francesco Totti si reca in pellegrinaggio al Santuario mariano più amato dai romani, quello della Madonna del Divino Amore. Come confermava di recente Padre Ferdinando Altieri «Totti e famiglia vengono spesso, in certi periodi anche una volta al mese, e poi si fermano per un po’ a pregare, in silenzio”. Ed è per questo che sulle pareti del Santuario, tra i tanti exvoto, ce ne sono anche alcuni un po’ sui generis. Sono le maglie della Roma e dell’Italia di questo “figlio calciatore” che, nel tempo, ha provato a consegnare a Maria alcune tappe del suo cammino. Così, se a una Madre bisogna chiedere perdono quando si sbaglia, allora Totti dopo una brutta espulsione lo ha fatto donando a Lei la maglia dell’Italia; tanto che, sotto al cimelio, ancora si legge: «Santissima Madonna, ti chiedo perdono e… non abbandonarmi mai». Ma ancora più belle sono le parole che Totti ha lasciato sotto un’altra maglia, e che quasi sembrano una dichiarazione d’amore, di quelle che solo i figli possono fare alla madre: «Madre Santissima, a te il mio grazie e la mia riconoscenza per esserti presa cura di me, per avermi allevato nella fede e per aver guidato i miei passi. Sempre ho sperimentato la tua presenza, nella gioia e nella tristezza. A te dono il mio cuore di figlio fedele, a Te affido la mia vita, nella certezza che tutto ciò che tu permetterai che accada, sarà per me un progetto d’amore».

Così, dopo aver raccontato un po’ meglio questa storia, potrebbe non sembrare solo un caso che l’addio al calcio di Totti, la sera di quel 28 maggio, sia apparso a  molti qualcosa di più di una fine… Forse come chiesto in quella preghiera a Maria anche quell’addio era già un progetto d’amore.

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 18, NUMERO 2, Giugno 2017