Intervista a Padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa (a cura di P. F. Silvestri ocd)
«San Francesco e i francescani hanno sempre avuto a cuore l’amore all’Incarnazione di Gesù. Ed è per questo che fin dal principio hanno amato la Terra Santa. Non vi è infatti Incarnazione senza Luogo. Per noi amare questa Terra significa amare Gesù. E non possiamo pensare a Gesù, senza amare la Sua Terra». Queste parole, con le quali si apre la presentazione del sito ufficiale Custodia Terrae Sanctae, dicono con efficacia la storia e il senso del secolare affidamento ai Francescani della cura dei luoghi e dei cristiani che abitano la Terra Santa. Ma oggi l’interesse per questa singolare presenza appare più che mai attuale, per almeno due ragioni. Da un lato, la ricorrenza dell’eccezionale anniversario degli 800 anni di presenza dei frati (1207-2017), che anche il Papa ha voluto ricordare con una lettera di saluto; dall’altro, il fatto che quei luoghi rappresentano da sempre un incrocio unico di culture, riti e vita concreta delle varie confessioni cristiane e, poi, dei cristiani con le altre due grandi religioni monoteistiche, l’ebraismo e l’islam. Dialoghi — in questo contributo realizzato grazie alla preziosa collaborazione di Angelo e Maria Pennacchio — ha parlato di questa complessità storico–religiosa, come pure dei suoi risvolti socio–politici, con Padre Francesco Patton, che dal maggio 2016 è il nuovo Custode di Terra Santa.
Il Custode di Terra Santa è la guida di quella che è considerata la prima missione dell’Ordine dei Frati Minori, oltre che membro dell’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa (che riunisce tutti i Vescovi e Vicari episcopali Cattolici di rito Latino e Orientale). Può descriverci, in modo sintetico, quali sono le principali prerogative e responsabilità di questo incarico? Personalmente, come ha accolto questa nomina così importante (con gioia, anche con paura…?) e come sta procedendo il suo servizio?
Il compito di Custode è, per così dire, complesso. Il significato della parola è biblico e molto bello: richiama il custodire il gregge, la casa, la famiglia. È inoltre una parola usata da San Francesco per esprimere il servizio che dobbiamo svolgere tra fratelli per aiutarci reciprocamente a vivere la nostra vocazione, ciascuno secondo le proprie responsabilità. Di fatto il mio primo compito è verso i 270 frati, di più di 40 nazionalità diverse, che fanno parte della Custodia di Terra Santa, e sono sparsi su un territorio molto ampio, perché comprende Israele, Palestina, Giordania, Libano, Siria, Cipro, Rodi, il Cairo, con alcune fraternità anche più lontane, come quelle in Italia, a Buenos Aires e a Washington. Ci sono poi compiti legati al mandato della Santa Sede, che prevedono di essere presenti dentro alcuni tavoli di dialogo e negoziali soprattutto in materia di Status quo (v. dopo ndr). È quindi un servizio che richiede di tenere la valigia sempre pronta. Quando mi è stato chiesto di svolgere questo servizio l’ho accolto con timore e trepidazione, perché si tratta di un lavoro delicato e complesso, che richiede molte energie spirituali ma anche fisiche. L’ho accolto anche con disponibilità e con fiducia, perché l’ho avvertito come una specie di “seconda chiamata” e, quindi, come l’occasione per rinnovare la mia fiducia in Dio. Il servizio procede passo dopo passo, con lo sforzo di coinvolgere sempre più i miei più diretti collaboratori che sono i membri del Consiglio Custodiale, i vari responsabili di uffici (dall’economia alla formazione) e i responsabili delle comunità. Solo se c’è un grande spirito di collaborazione e di corresponsabilità si può portare avanti ogni impegno senza soccombere. E, nel complesso, ho trovato una buona disponibilità da parte dei frati, sia nell’accogliermi, sia nel collaborare.
La Custodia si occupa della formazione e dei bisogni dei cristiani locali, a diversi livelli. Può descriverci brevemente chi sono e come vivono i cristiani di Terra Santa e degli altri territori affidati alla vostra cura (in particolare la Siria)?
Da un punto di vista pastorale, i cristiani dei quali ci prendiamo cura sono in primo luogo i fedeli di rito latino, che troviamo in Israele e Palestina, in Giordania, Libano e Siria, a Cipro, Rodi e al Cairo. Sono i cristiani locali (di lingua araba, una piccola comunità di lingua ebraica e un’altra di lingua greca); ma anche i lavoratori migranti, che soprattutto in Israele, a Cipro, in Libano e Siria sono una parte significativa della comunità cattolica locale (filippini, indiani, latino americani, africani e altri dell’Europa orientale). Poi in Libano diamo una mano anche per l’assistenza religiosa ai cristiani maroniti. Nei villaggi della Valle dell’Oronte in Siria tutti i cristiani, indipendentemente dal rito e dalla Chiesa di appartenenza, sono sotto la cura dei due frati che vivono lì e che sono l’unica presenza di clero rimasta in quel contesto. Dal punto di vista della cura educativa, coordiniamo le scuole di Terra Santa (15 in tutto, con circa 10 mila studenti) che sono frequentate da cristiani di tutte le confessioni e dei vari riti, ma anche da molti bambini e ragazzi musulmani, diventando così un laboratorio di convivenza, oltre che un aiuto per i cristiani a preservare la loro identità. I cristiani di queste terre vivono realtà molto diverse tra loro, perché un conto è vivere in Israele, dove il livello di vita è come in un qualsiasi Paese europeo, altro è vivere in Palestina, altro ancora in zona di guerra come in Siria. Essendo una minoranza, ad ogni modo, i cristiani dei vari riti e delle varie confessioni hanno rapporti molto stretti tra di loro; come responsabili delle Chiese e delle varie comunità cerchiamo di avere incontri comuni per affrontare insieme le sfide e i problemi che di volta in volta sorgono. I cristiani che seguiamo sono generalmente molto legati ai riti e alla liturgia, e in Terra Santa hanno la grazia di poter celebrare l’anno liturgico sugli stessi luoghi in cui sono avvenuti i fatti narrati dai Vangeli. I cristiani in Siria hanno un senso di partecipazione alla vita della Chiesa molto alto, anche se purtroppo molti hanno lasciato il loro Paese durante questi lunghi anni di guerra. Poi ovviamente cercano di vivere del loro lavoro, che in Terra Santa spesso è collegato alle attività della Custodia, del Patriarcato latino e delle altre istituzioni ecclesiali. In Siria bisogna sostenere il processo di pacificazione e di ricostruzione e bisogna naturalmente aiutare i cristiani a rimettere in piedi una serie di micro–attività che permettano loro di tornare a vivere del proprio lavoro e con dignità. In Terra Santa, infine, è abbastanza sviluppato anche il Social Housing della Custodia: vengono cioè messi a disposizione dei cristiani locali molti appartamenti (circa 600), nella maggior parte dei casi a un prezzo puramente simbolico, per favorire la loro permanenza, ad esempio nella Città Vecchia di Gerusalemme.
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La missione della Custodia comprende anche la gestione dell’accoglienza dei pellegrini e dei turisti in tutti i Santuari che sono sotto la sua giurisdizione: può dirci quanti sono e quali difficoltà e risorse appartengono a questo servizio?
Come Custodia ci occupiamo, per mandato papale e fin dal 1342, della custodia dei santuari. A questa attività si collega poi l’accoglienza dei pellegrini e per fare questo la cosa più importante è avere cura dei santuari che ci sono affidati (circa una settantina), renderli accessibili, fare il possibile perché siano luoghi di preghiera, approntare guide in varie lingue, essere flessibili. In molti santuari siamo aiutati da comunità religiose femminili che ormai da anni collaborano con noi e anche da comunità di consacrati legati a movimenti ecclesiali nati dopo il Vaticano II. Le sfide sono di vario genere: la prima è proprio quella di far percepire la santità del luogo e far scoprire il legame tra il luogo e il mistero della nostra salvezza. Far capire il senso che ha Nazareth o Betlemme o il Santo Sepolcro dovrebbe essere relativamente facile, far capire il senso che hanno altri luoghi implica il richiamare pagine evangeliche ed episodi meno noti. Un’altra sfida è quella di aiutare le guide che accompagnano i pellegrini a fare un servizio di qualità e soprattutto aperto all’esperienza della fede. Affrontiamo poi sfide molto concrete, come quelle legate alla manutenzione dei luoghi e al pagamento dello stipendio degli operai che lavorano nei santuari. I due santuari di Damasco, legati alla conversione–vocazione di san Paolo e al suo battesimo, sono in questo momento aperti ma visitati solo dalla comunità locale, mentre fino al 2010 erano costantemente visitati anche da gruppi di pellegrini.
Da sempre la presenza dei francescani in Terra Santa ha permesso importanti ricerche dal punto di vista archeologico e storico; quali sono i progetti più significativi ai quali vi state dedicando?
In questo momento stiamo lavorando per rendere maggiormente fruibili alcuni santuari che hanno anche un interesse archeologico, come ad esempio il Monte Nebo in Giordania, Cafarnao in Israele, il Campo dei Pastori a Betlemme. Entro la fine dell’anno dovrebbe riaprire una parte della sezione archeologica del Museo di Terra Santa, presso il Convento della Flagellazione a Gerusalemme, che è anche la sede della Facoltà di Scienze Bibliche e Archeologia dello Studio Biblico Francescano. Dovremmo a breve riuscire ad aprire anche il sito di Magdala.
San Francesco di Assisi nel 1219 incontrò il sultano Malek–El–Kamel a Damietta in Egitto, portando un messaggio cristiano di pace e di dialogo. Può descriverci qual è la situazione attuale nella convivenza tra cristiani, ebrei e musulmani e quali le iniziative concrete di incontro che promuovete o a cui partecipate?
Con le varie confessioni cristiane i rapporti sono molto buoni: anzi, a detta di chi vive qui da tanti anni, non sono mai stati così buoni. Personalmente incontro regolarmente il patriarca greco–ortodosso e il patriarca armeno, ma ci sono incontri cordiali e abbastanza regolari anche con il vescovo copto e quello degli etiopi, i vescovi anglicano e luterano. Il clima è sostanzialmente fraterno. I cristiani poi vivono un ecumenismo di fatto, perché spesso le famiglie sono miste e le relazioni sono legate alla vita di ogni giorno. Nella vita di tutti i giorni sono sostanzialmente buoni anche i rapporti con ebrei e musulmani. Frequentiamo commissioni comuni che hanno lo scopo di promuovere il dialogo e che organizzano anche iniziative per favorire la reciproca comprensione tra i giovani. Nella nostra Custodia lavorano professionisti ebrei e musulmani, le nostre scuole sono frequentate da studenti di differenti confessioni e la maggioranza degli studenti sono musulmani. Quest’anno, in questi ultimi mesi, io stesso ho avuto modo di partecipare a un incontro sul tema dell’ecologia assieme a un rabbino ebreo e a un giurista musulmano; poi di ospitare i responsabili della comunità musulmana locale per una cena di festa al termine del Ramadan nel piazzale del nostro santuario di Betania; di ospitare un convegno ad Ain Karem, presso il nostro santuario, sulla figura di Giovanni Battista, con ebrei e cristiani; infine di ospitare presso il nostro santuario sul Nebo un convegno sul Mosè nell’ebraismo, nel cristianesimo e nell’Islam. Le occasioni si presentano continuamente, l’importante è saperle cogliere ed evitare che ci siano forme di strumentalizzazione.
Che ricadute hanno nei vostri territori le tensioni internazionali dovute alle azioni terroristiche legate all’Isis? In modo particolare, le comunità musulmane mediorientali come si pongono dinanzi a questo fenomeno?
Spesso, purtroppo, l’istantanea che si consegna all’opinione pubblica è condizionata dalle componenti radicali e violente. E ciò è un male per tutti, in primo luogo per la maggior parte dei musulmani. L’evoluzione dell’Islam è un processo che va incentivato dall’interno, dagli stessi musulmani, che sono le prime vittime del fondamentalismo. Chi ha sperimentato le conseguenze estreme di questo fenomeno, come in Siria, sembra che cominci a prendere le distanze da una certa visione. Ma credo che il processo evolutivo sarà molto lungo e dovrà compiere alcuni passi necessari che richiederanno molto tempo: un’interpretazione storico critica del testo sacro e un’interpretazione simbolica dei passi del Corano che invitano alla violenza; un’accettazione del principio della libertà di coscienza, che è il presupposto di un atto di fede che sia libero; un atteggiamento di apertura e di dialogo verso le altre tradizioni religiose, anzitutto ebraismo e cristianesimo.
Qual è il prezzo reale di testimonianza e di martirio che stanno vivendo i cristiani del Medio Oriente e, in particolare, i francescani? Qual è il dono e quale il compito più importante per i cristiani di oggi in quelle terre?
Qui i cristiani hanno sempre pagato un prezzo alto per la loro fedeltà a Cristo. I frati della Custodia, in questi 800 anni, hanno iscritto al loro martirologio più di 2.000 martiri per la fede o per la carità. Oggi il compito dei cristiani che vivono qui è quello di essere i testimoni della continuità della fede in Gesù Cristo nei luoghi in cui Gesù Cristo è nato, è vissuto, è morto ed è risorto, fondando la Chiesa. I cristiani locali sono parte della storicità del mistero dell’Incarnazione e della nostra salvezza. Hanno poi anche il grande compito di essere un ponte tra il mondo ebraico e quello musulmano, e tra la cultura mediorientale e quella occidentale. I cristiani che vivono nel resto del mondo dovrebbero trovare sempre il tempo e il modo per interessarsi dei cristiani che vivono qui e per far sentire loro che non sono soli e abbandonati. Qui siamo un piccolo gregge, tutti insieme siamo il 2% della popolazione, però siamo chiamati ad essere sale e luce, proprio come ci dice Gesù.
La regolamentazione dei diritti, delle proprietà e delle attività relativi ai Luoghi Sacri dei cristiani dipende dall’accordo dello Status quo, firmato per la prima volta nel 1852. Le notizie di questi giorni, tuttavia, ci dicono che una sentenza di luglio, contraria al Patriarcato greco–ortodosso di Gerusalemme (e relativa al caso Jaffa gate), avrebbe di fatto ampliato il controllo da parte del Governo israeliano e che in direzione simile vorrebbe condurre una proposta di legge del Knesset. Tutti i capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme hanno reagito con un comunicato stampa congiunto. Può illustrarci più da vicino la situazione e quali sviluppi sono prevedibili?
Ci sono vari tipi di Status quo. Uno è quello che fa riferimento ai luoghi santi e al modo di gestire le relazioni tra le comunità maggiori al loro interno (ad esempio, al Santo Sepolcro, lo Status quo regola le relazioni tra Greco–Ortodossi, Latini cioè cattolici, e Armeno–Ortodossi); un altro è lo Status quo legato ai cambiamenti in termini di sovranità o di governo avvenuti nell’ultimo secolo, che prevede che si rispettino i diritti secolari acquisiti dalle varie comunità religiose, comprese le Chiese, prima di tali cambiamenti politici (i maggiori cambiamenti nell’ultimo secolo sono avvenuti nel 1922, col mandato britannico; nel 1948 con la nascita dello Stato d’Israele; e nel 1967 con la “Guerra dei sei giorni”). La preoccupazione delle Chiese comunque è che quando vengono fatte nuove leggi siano rispettose dei diritti di tutti, secondo un principio di equità e giustizia ed evitando ogni forma di discriminazione su base religiosa. Noi confidiamo che attraverso il dialogo e il confronto sulla base di principi di autentica democrazia si possa evitare di fare leggi discriminatorie e si trovino soluzioni corrette per garantire i diritti di tutti, compresi i diritti di proprietà delle Chiese.
Un’ultima domanda: ora che si trova in Terra Santa, qual è il messaggio più urgente che si sente di rivolgere ai cristiani cattolici che vivono in Italia?
Di informarsi sulla Terra Santa, di amare la Terra Santa e tutti coloro che vivono qui e, soprattutto, di venire a visitarla. Non tanto da turisti, ma come pellegrini che cercano Dio, che si fidano di Lui e che desiderano conoscere sempre più il Suo Figlio, che qui si è fatto uomo per noi e per la nostra salvezza. Lui che è la Via, la Verità e la Vita.
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 18, NUMERO 4, Dicembre 2017

Francesco Patton è nato a Vigo Meano, nella diocesi di Trento, il 23 Dicembre 1963 e appartiene alla Provincia di S. Antonio dei Frati Minori, Italia. Ha emesso la prima professione religiosa il 7 Settembre 1983 e quella solenne il 4 Ottobre 1986. Ha ricevuto l’ordinazione presbiterale il 26 Maggio 1989. Nel 1993, ha conseguito la Licenza in Scienze della Comunicazione presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma. Ha svolto diversi servizi all’interno della sua Provincia di origine e all’interno dell’Ordine. È stato due volte Segretario generale del Capitolo generale OFM (2003 e 2009), Visitatore generale (2003), Ministro provinciale del Trentino (2008–2016), Presidente della Conferenza dei Ministri provinciali dell’Italia e Albania (COMPI). Numerosi gli incarichi fuori dell’Ordine: Membro del Consiglio Presbiterale Diocesano; Docente di Scienze della Comunicazione Sociale presso lo Studio Teologico Accademico Tridentino; Collaboratore del settimanale Diocesano, della radio Diocesana e di Telepace Trento; iscritto all’albo dei giornalisti del Trentino Alto Adige come pubblicista dal 1991.