SCHIERARSI DALLA PARTE DEGLI ULTIMI

Intervista al prof. Domenico Simeone (a cura della Redazione)

L’opera e il messaggio di don Lorenzo Milani (1923 ‒ 1967) sono ancora presenti, vivi ed attuali per tempi come i nostri? In occasione del cinquantesimo anniversario della morte del sacerdote toscano, abbiamo dialogato con il prof. Domenico Simeone, docente presso l’Università Cattolica, studioso della personalità intensa e scomoda di don Lorenzo, su cui ha scritto alcuni testi di approfondimento.

Innanzitutto “perché don Milani”? O meglio perché don Milani è stato nel suo tempo così rivoluzionario?

L’interesse attorno alla figura di don Milani, che fu una personalità incisiva, rivoluzionaria e dirompente nel suo tempo, come ancora oggi, è dovuto principalmente alla sua ricerca profonda di una verità, che vada oltre ogni apparenza e oltre ogni conformismo, atteggiamento che è tipico forse della radicalità dei neofiti, di chi si converte da adulto e ricerca una risposta a delle profonde domande di senso. Non sono poche infatti le polemiche legate alla sua opera ed ai suoi scritti. Credo che si aggiunga anche la sua disponibilità a lasciarsi “convertire” dagli incontri con gli altri e con l’Altro, la sua capacità e l’intelligenza di cogliere le contraddizioni del suo tempo sia dal punto di vista dell’attività pastorale, sia dal punto di vista dell’attività educativa, ed infine, una sorta di attitudine, forse anche un po’ toscana, alla non mediazione, quindi a non aver paura di presentare gli aspetti incoerenti e contraddittori così come lui li registrava e li viveva. E questo lo portò, inevitabilmente, a confrontarsi, a dover prendere posizione, a non poter rimanere in una sorta di limbo, ma a schierarsi.

Quali sono i cardini innovativi del “metodo” di don Milani e cosa, a cinquant’anni dalla morte, è ancora attuale e può essere ancora realmente proficuo per la scuola e nella formazione di oggi?

Non so se si possa parlare, in maniera specifica e propria, di un vero “metodo don Milani”, nel senso che lui non ebbe mai la pretesa, e nemmeno l’intenzione, di costruire un metodo o di elaborare una teoria pedagogica. Molto più semplicemente cercava delle risposte ai problemi concreti che incontrava sulla sua strada, ed individuò nella scuola l’elemento di cambiamento della società. Penso che questo sia molto attuale oggi: la scuola, l’istruzione, la formazione sono gli strumenti che possono guidare la trasformazione della società, che possono permettere di pensare una società più giusta per il domani. Ed in questo contesto, vide nella parola l’elemento fondamentale, non tanto perché fosse affezionato alle tematiche linguistiche più che a quelle matematiche o tecnico–scientifiche, ma perché, dal suo punto di vista, la parola era quel grimaldello che avrebbe permesso alle persone di entrare in relazione, di poter esprimere quel tesoro di conoscenze e di sapere, che molto spesso rimaneva imprigionato nei cuori di coloro, che non avevano la possibilità di studiare.

La parola è, per lui, uno strumento di equità sociale, che permette all’operaio di poter parlare con il medico alla pari, anche se con ruoli sociali e funzioni operative diverse. Ancor oggi la parola credo debba essere riscoperta: all’epoca il problema era rappresentato da chi viveva nella cintura periferica fiorentina o sulle montagne attorno alle città toscane, oggi forse le parole, di cui abbiamo bisogno, sono quelle di chi viene da un altro Paese, da un’altra cultura che ha bisogno di poter esprimere il proprio punto di vista e le proprie idee, parole necessarie per un incontro autentico.

Un secondo aspetto fondamentale è il sapersi compromettere nella relazione con l’altro. Don Milani confessa, in Esperienze pastorali, che molti gli domandavano come facesse a fare scuola e ad averla sempre piena e gli chiedevano di scrivere un metodo. Lui rispondeva: «Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per fare scuola». Nella nostra società la tecnologia ci spinge a cercare degli strumenti o dei metodi e a volte ci dimentichiamo come bisogna essere per relazionarsi in modo autentico.

Il terzo punto che si può individuare è l’essere schierato in maniera decisa dalla parte degli ultimi e di chi è più in difficoltà. La scuola dovrebbe mettere tutti nelle stesse condizioni, dare a tutti la stessa possibilità di esprimersi ed essere protagonisti nella costruzione della società futura.

Noi oggi sottolineiamo molto il tema della meritocrazia, che è importante, ma per don Milani la scuola era soprattutto uno strumento per eliminare il divario sociale e la disuguaglianza. Chi ha di più deve essere premiato, ma il suo premio è un invito a mettere a disposizione degli altri quel dono che il Signore gli ha dato.

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La scuola di don Milani ha avuto la grande preoccupazione di poter offrire ai ragazzi e ai giovani un percorso, che fosse altamente spendibile dal punto di vista lavorativo e sociale, per la comunità degli altri. Oggi è difficile per i ragazzi orientarsi. Cosa intendeva don Milani con formazione professionale e come giudicherebbe la situazione attuale e la tendenza alla licealizzazione?

Don Lorenzo non aveva la preoccupazione per la professionalizzazione. Ma l’idea centrale della sua scuola era che la scuola è intimamente legata alla vita e quindi il sapere doveva essere usato. Così il libro di testo spesso era rappresentato dai quotidiani o da un contratto di lavoro, da un provvedimento legislativo o dalla riflessione di qualche personaggio (da Gandhi all’Apologia di Socrate).

Il suo tentativo era di realizzare una scuola che non fosse separata dall’esperienza dei ragazzi, ma che desse loro quegli strumenti per poter vivere da protagonisti e da cittadini sovrani, come lui li chiamava, che togliesse le persone più emarginate e più povere dall’inadeguatezza e non valorizzazione delle proprie risorse, in cui molto spesso la società li cacciava, restituendo loro la possibilità di essere degli interlocutori attivi. Oggi noi diremmo l’empowerment di questi ragazzi. L’orientamento non era innanzitutto professionale, si preoccupava che i ragazzi potessero avere uno sbocco, non di un lavoro qualunque, ma partendo dall’idea che «il sapere serve solo per darlo», è bene prezioso per tutti, che va redistribuito.

Per tali motivi spingeva i ragazzi all’impegno nel sindacato, nell’insegnamento, nel servizio sociale, quelle attività che erano orientate a costruire una rete di solidarietà. In Lettera ad una professoressa afferma che è necessario che la scuola abbia un grande fine ed ideale: «Il fine giusto è dedicarsi al prossimo».

L’altro aspetto interessante è che la scuola è intimamente legata al “fare”. Chi va a Barbiana scopre che il locale della scuola aveva, al piano seminterrato, un laboratorio, dove i ragazzi costruivano gli strumenti che servivano per l’attività didattica (dalle panche all’astrolabio). L’attività era sempre finalizzata alla conoscenza ma ad un sapere non fine a se stesso, ma rivolto alla giustizia sociale.

Oggi si parla molto della scuola “inclusiva”, la scuola di don Milani aveva un’attenzione inclusiva e cosa il nostro tempo deve o può imparare dalla sua esperienza e lezione?

Don Milani non usava il termine inclusione, ma ho un’immagine della scuola di Barbiana: don Milani siede con i suoi ragazzi in semicerchio ed in mezzo alla stanza c’è un ragazzino disabile, che lui teneva spesso vicino a sé e, quando, attraverso la scrittura collettiva, producevano dei documenti, la prova che quel testo era efficace, anche dal punto di vista comunicativo ed artistico, era rappresentata dal fatto che il ragazzo che aveva meno conoscenze del gruppo ne comprendesse il significato. La scuola di don Lorenzo è inclusiva perché ha come obiettivo quello di parlare a ciascuno, perché vuole recuperare quel gap tra chi viene da un contesto di privilegio e di vantaggio sociale e chi è emarginato e non ha gli strumenti per poter interloquire. La scuola inclusiva nasce da questa attenzione e dal desiderio di fare della scuola un luogo di equità sociale.

Don Milani non ha esitato a sfidare il mondo ecclesiastico della sua epoca per mettere in atto “la cura” dell’umano dei suoi ragazzi. Quale era la ragione che lo sosteneva?

Credo ci sia una ragione spirituale profonda, legata al fatto che don Milani, dipinto spesso come un personaggio disobbediente, in realtà fu obbedientissimo, tanto da prendere sul serio l’incarico che i suoi superiori gli avevano attribuito. Quando fu mandato a Barbiana, in una sorta di esilio, dato che non vi era una vera e propria parrocchia, solo una chiesa, una canonica e una manciata di cascine, don Lorenzo, che allora era molto giovane, scese in paese per acquistare un pezzo di terreno nel cimitero, per segnare la sua fedeltà a quella condizione e a quel territorio. Fu la fedeltà a questo popolo, che gli era stato consegnato, lo schierarsi dalla parte di questi ragazzi, che lo portò ad avere degli scontri con i benpensanti, con il mondo borghese, con chi non era disposto a cambiare nulla. Non è un’opzione ideologica la sua, ma nasce piuttosto dall’ispirazione del Magnificat. Lì vanno cercate le sue ragioni: credeva in un amore molto concreto, non generico o impersonale, ma nell’amore per il prossimo, nello spendere la propria vita e il proprio sapere per accompagnare chi ci sta vicino in un cammino di crescita.

Spesso don Milani è stato interpretato, citando frasi decontestualizzate per dimostrare la vicinanza a determinate idee, rischiando così di strumentalizzare il suo pensiero, che Papa Francesco ha definito, nella sua recente visita a Barbiana, riprendendo le parole di Mons. Raffaele Bensi, «trasparente e duro come il diamante». È preferibile mettersi in un ascolto attento di don Milani, compiendo una lettura profonda delle provocazioni che ancor oggi ci rivolge.

La figura di don Milani ha accompagnato i suoi studi sin dalla laurea in Psicologia: che cosa personalmente l’ha colpita nella sua giovinezza e cosa oggi le è di guida?

Don Milani ha giocato nella mia vita personale e professionale un ruolo importante. Ho incontrato i suoi scritti nel momento in cui stavo maturando la scelta dell’obiezione di coscienza quando lessi L’obbedienza non è più una virtù. Nella ricerca di risposte significative agli interrogativi sulla vita e le scelte future, la lettura dei testi di don Milani mi ha orientato anche nelle scelte professionali. La tesi di laurea fu l’occasione per conoscere in maniera approfondita i suoi testi e la sua vita. Ancora oggi i suoi scritti mi accompagnano, li considero una sorta di vaccino contro il pericolo di inorgoglirsi e un invito a mettersi dalla parte degli ultimi, considerando il sapere un bene prezioso da spendere.

Nel mio studio in università conservo la fotografia di don Milani, che ogni giorno mi ricorda questi valori: in essa si vede la famosa scritta sulla porta della scuola di Barbiana I care, (mi interessa, mi sta a cuore), invito e provocazione ad agire e a prendere seriamente le esigenze e i bisogni degli altri.

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 18, NUMERO 3, Settembre 2017

Il Prof. Domenico Simeone è docente di Pedagogia generale e sociale, presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, coordinatore del corso di laurea magistrale in Media education e direttore del Master in Consulenza familiare e membro del Comitato direttivo del Centro Studi Pedagogici sulla Vita Matrimoniale e Familiare. Unisce all’insegnamento e alla ricerca e pratica accademica, un’intensa attività di consulenza e formazione in vari ambiti educativi e pedagogici ed è membro del Comitato scientifico del Centro di ateneo di Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dalla sua ampia bibliografia, che spazia dalla pedagogia alla formazione, all’educazione, ricordiamo due testi che riguardano l’esperienza e il pensiero di don Milani: Don Lorenzo Milani e la scuola della parola. Analisi storica e prospettive pedagogiche (Roberto Sani, Domenico Simeone, Edizioni EUM) e Verso la Scuola di Barbiana. L’esperienza pastorale ed educativa di don Lorenzo Milani a S. Donato di Calenzano (Domenico Simeone, Edizioni Il Segno).