(di Luca Sighel)

Lo scorso marzo si sono celebrati i 60 anni dei trattati di Roma che nel 1957 hanno dato vita a quel primo manipolo di sei nazioni, con grandi speranze per un futuro comune, che oggi chiamiamo Unione Europea. Speranze che oggi sono sostituite più da problemi, mugugni, scetticismi sullo stato e sul futuro dell’UE. A partire dalla relazione di J. C. Juncker, quali sono le prospettive dell’Europa?
Maastricht — Lisbona
Da quella lontana fondazione molti sono stati i passi e i cambiamenti, con alcuni passaggi fondamentali: il trattato di Maastricht del 1992, firmato da 12 Stati europei e quello di Lisbona del 2009, ratificato da 27 Paesi.
Il primo ha fatto nascere l’Unione Europea, archiviando di fatto la precedente Comunità Economica Europea, ha istituito le principali istituzioni europee e la Banca Centrale Europea, gettato le basi dell’unione monetaria, riconosciuto la cittadinanza europea, impostato i parametri della collaborazione e cooperazione in termini di difesa, sicurezza, azioni giudiziarie e di polizia, finalizzate alla creazione di uno spazio di libertà e condivisione, che si concretizzò nel 1996 con il trattato di Schengen sulla libera circolazione di beni, persone, capitali.
Il trattato di Lisbona ha cercato successivamente di adeguare le istituzioni europee all’allargamento a 27 paesi, cercando di affidare maggior potere alle istituzioni europee, in modo da sostenere con maggior decisione le scelte soprattutto in ambito economico e monetario.
Tra questi due momenti rifondativi dell’Unione non va dimenticato il tentativo di scrivere una Costituzione europea, che fallì nel 2005, bocciata dai referendum di Francia e Paesi Bassi, e arenatasi dopo due anni di discussione e riflessione sui contenuti che confluirono nel nuovo trattato di Lisbona, operando però il taglio della ricerca di una condivisione ideale e di identità, dando vita quindi ad un nuovo patto tra Stati e non ad un vero e proprio atto fondativo.
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Il libro bianco
A Roma, in occasione della celebrazione del traguardo dei 60 anni dell’Europa Unita, il presidente della Commissione Europea, il lussemburghese Jean Claude Juncker ha presentato un “libro bianco”. I libri bianchi della Commissione Europea sono documenti che contengono proposte di azione comunitaria in un settore specifico, che spesso sono divenute poi legislazione condivisa e comune. Essi costituiscono talvolta il prolungamento dei cosiddetti libri verdi, il cui scopo è invece quello di avviare un processo di consultazione a livello europeo.
Vari sono stati, nell’ultimo trentennio, questi libri–dichiarazioni, che hanno tentato di tracciare il solco entro cui i Paesi membri dovrebbero riconoscersi, muoversi ed operare.
In quest’ultimo, sul futuro dell’Europa, il presidente ribadisce che «questo [anniversario] è di per sé un risultato che molti avrebbero considerato inimmaginabile 60 anni fa, quando i sei Stati membri fondatori firmarono i Trattati di Roma» e che quello che definisce “il sogno” europeo è divenuto realtà.
Invitando a riflettere con orgoglio sulle nostre conquiste ed a ricordare i valori che ci accomunano, l’obiettivo rimane, seppur aggiornato ai tempi che stiamo vivendo, un futuro pacifico e condiviso verso un’integrazione sempre più ampia e profonda.
Il pamphlet, facilmente rintracciabile in rete, è introdotto da una citazione del 1950 di Robert Schuman, uno dei padri fondatori della CEE: «L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costituita tutta insieme. Essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».
Un secolo fa le stesse nazioni si combattevano sulle trincee a Verdun e a Caporetto, e ancora 70 anni fa l’Europa usciva prostrata e divisa dal secondo conflitto mondiale. Il travagliato percorso dell’Unione ha garantito il più lungo periodo di pace della storia tra le nazioni europee. Ma le sfide europee non sono concluse, anzi siamo costretti ad affrontare minacce che provengono dal terrorismo esterno ed interno, a gestire gli strappi (vedi Brexit), ad affrontare il flusso migratorio che non accenna a diminuire e ci si presenta come un esodo instancabile ed un’emergenza umanitaria senza fine. Ma quale Europa hanno in mente i diversi Paesi e leader politici? Quale Europa si sta costruendo o difendendo da spinte centrifughe e delegittimanti? Quale Europa vedono i cittadini europei?
Nella sua analisi Juncker afferma che, per guardare al futuro è necessario tener presente come, nello scenario mondiale, stia cambiando e cambierà il ruolo del nostro continente: se all’inizio del secolo precedente i Paesi dell’Unione europea rappresentavano il 25% della popolazione mondiale, oggi il loro peso demografico è ridotto al 6% e destinato a calare, a causa dell’invecchiamento della popolazione (già oggi con età media di 45 anni contro i 35 dell’Asia e i 21 dell’Africa); ma anche il peso economico subirà un’involuzione, sia per la produzione, che tende a spostarsi in altre zone sia per la valuta della nostra moneta, la cui importanza diminuisce rispetto al villaggio globale, in un contesto di tensioni internazionali sempre più critiche, sul versante orientale, nel Medio Oriente e nei confronti delle grandi nazioni emergenti asiatiche.
Molti sono i problemi, le criticità e si fa sempre più forte, in tutti i Paesi europei, la voce degli euroscettici, di coloro che in nome di nuovi orgogli nazionalistici o nuove paure cercano di ritrovare nell’identità nazionale elementi di coesione, la quale spesso si configura più come contrapposizione. La globalizzazione, giunta improvvisamente e con un carico di inattesa problematicità, tocca i nervi scoperti dei cittadini europei.
Rispetto a questo quadro Juncker sottolinea anche che l’UE è la parte del mondo più pacifica, quella con uno stato sociale più consolidato, una ricerca scientifica all’avanguardia, una capacità di aprirsi alle esigenze di aiuti umanitari (più del doppio degli USA), un’attenzione all’ambiente con l’impegno a modificare l’utilizzo delle risorse energetiche per ridurre il proprio impatto sulla salute del pianeta. Il nostro continente sta affrontando una situazione di forte crisi, ma deve avere fiducia nelle proprie capacità.
Cinque scenari
Nel documento vengono ipotizzati cinque possibili percorsi di prospettiva europea, che premettono come condizione il cammino comune, ma mostrano strade diverse.
Il primo è la via della continuità (Avanti così), tenendo dritta la barra delle riforme nei diversi Paesi, rafforzando da parte dell’UE la vigilanza finanziaria, per garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche e per sviluppare i mercati dei capitali. È la vituperata austerity.
La seconda ipotesi (Solo il mercato unico) dà all’Europa una sola priorità: concentrare tutti gli sforzi sul mercato, la libera circolazione delle merci, dei capitali, in totale assenza di dazi, accettando il rischio di tralasciare gli altri obiettivi e la possibilità di una difficile tenuta della moneta unica.
Il terzo scenario (Chi vuole di più, fa di più) ammette la possibilità dell’Europa a due velocità: alcuni Paesi (“coalizione dei volonterosi”) opererebbero in comune in ambiti specifici (difesa, sicurezza interna, fiscalità o questioni sociali), non preoccupandosi troppo di mantenere una condivisione di decisioni in ambito economico.
Una quarta prospettiva (Fare meno in modo più efficiente) è spingere l’Europa ad intensificare l’attività comune solo in alcuni settori fondamentali (innovazione, scambi commerciali, sicurezza e difesa, migrazione e gestione delle frontiere), mantenendo il controllo ed il rigore sul deficit, ma allentando l’intervento delle istituzioni europee in alcuni ambiti secondariamente collegati al funzionamento del mercato unico (lo sviluppo regionale, la sanità pubblica, la politica occupazionale e sociale).
Ed infine il quinto scenario (Fare molto di più insieme) prospetta un’accelerazione di condivisione dei poteri, della loro rappresentanza a livello internazionale nel dialogo e nei rapporti commerciali con i Paesi extraeuropei. In questa ambiziosa ipotesi, cara a Juncker, si immagina una UE che trova unità su difesa, commercio, investimenti e si propone come leader a livello mondiale su lotta ai cambiamenti climatici, aiuti umanitari, ricerca e sviluppo digitale.
Quale futuro?
La proposta del Presidente della Commissione Europea si chiude con un’esortazione a guardare al futuro del continente, invitando i suoi interlocutori, in uno dei momenti più difficili dell’Unione, ad essere visionari, come lo sono stati coloro che, usciti dai conflitti mondiali, mai si sarebbero immaginati quel che oggi è stato realizzato. Il libro bianco – e le documentazioni che seguiranno sulla dimensione sociale, la gestione della globalizzazione, il futuro della difesa e delle finanze europee – si propone come base e stimolo di discussione ed approfondimento dei prossimi decisivi anni.
Varie sono state le reazioni al testo di Juncker: tra chi vi vede il principio della dissoluzione dell’Europa, dilaniata tra emergenze che non sa affrontare, rigidità che non la aiutano e idealità svuotate dalla crisi economica e politica; chi gli rimprovera una mancanza di vera visione ideale, lasciando aperta la spaccatura tra cittadini europei e istituzioni; chi non vede proposte concrete e si rammarica dell’abbandono della scelta dello sviluppo sostenibile e dell’assenza di proposte che rispondano ai veri problemi dei cittadini; chi, infine, denuncia la debolezza di una presa di posizione politica rispetto allo scenario internazionale.
Forse è proprio nei momenti di crisi che è fondamentale un’azione di pensiero che rifletta sull’identità, in modo che possano da essa ripartire scelte e prospettive. Ai capi di governo giunti a Roma il Papa ha ricordato che «l’Europa non è un insieme di regole da osservare, un prontuario di protocolli e procedure da seguire. Essa è una vita, un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile e non solo come un insieme di diritti da difendere, o di pretese da rivendicare…Quale cultura propone l’Europa oggi? La paura che spesso si avverte trova, infatti, nella perdita d’ideali la sua causa più radicale. Senza una vera prospettiva ideale si finisce per essere dominati dal timore che l’altro ci strappi dalle abitudini consolidate, ci privi dei comfort acquisiti, metta in qualche modo in discussione uno stile di vita fatto troppo spesso solo di benessere materiale.
Al contrario la ricchezza dell’Europa è sempre stata la sua apertura spirituale e la capacità di porsi domande fondamentali sul senso dell’esistenza. All’apertura verso il senso dell’eterno è corrisposta anche un’apertura positiva, anche se non priva di tensioni e di errori, verso il mondo».
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 18, NUMERO 2, Giugno 2017