(di Rosario Ribbene)
Guerra, miseria, disperazione, epidemie, fame: tutte pene di una umanità dimenticata, ai margini del mondo e dei più remoti pensieri di chi invece ha tutto. Masse di esseri umani in fuga per terra e per mare, attraverso i fili spinati di barriere frettolosamente erette nell’illusorio tentativo di arginare ondate di persone inermi che hanno perso tutto. Storie, speranze e felicità negate che attraversano la nostra quotidiana indifferenza, continuamente alimentata da innumerevoli immagini di perenni tragedie umane. Capita però che uno scatto possa mutare l’immobilismo del nostro sguardo – rivolto altrove, magari rapito da realtà virtuali, spensierate e accoglienti – e trasformare la nostra vita in strumento di concreto aiuto verso l’altro, bisognoso di tutto, persino di quello che a noi può sembrare una banalità: un semplice paio di scarpe. Vi raccontiamo allora l’emblematica esperienza di Paola Viola, la “ragazza delle scarpe”.

Una mano per un Sorriso – For Children
«Sei anni fa sono andata per la prima volta in Africa — racconta Paola Viola — dopo aver fondato con Gigliola Barlese la Onlus Una mano per un Sorriso – For Children. La nostra idea era semplice: creare dei piccoli progetti di raccolta fondi per sviluppare degli interventi concreti finalizzati alla difesa dei diritti dei bambini nel mondo. Così abbiamo deciso di sostenere una scuola cattolica la Loreto Nursery and Primary School di Isiolo, un paese al confine tra Kenya e Somalia».
Da allora Una mano per un Sorriso – For Children è divenuta un treno in corsa: è operativa in maniera diretta sul territorio africano con progetti in Kenya e in Tanzania; in particolare, nello slum di Korogocho (Kenya) sostiene una scuola frequentata da 240 street children — assicurando loro un’istruzione e cure mediche costanti — e dei gruppi sportivi locali, oltre che iniziative musicali. In Tanzania sostiene un orfanotrofi o vicino ad Arusha e alcuni progetti eco–sostenibili dedicati alle donne nella zona di Dar es Salam. Da un anno lavora anche in Turchia per la grave emergenza profughi.
Scarpe che raccontano storie diverse
Nel 2013 nasce il progetto La Ragazza delle Scarpe, una raccolta fondi finalizzata a soddisfare un bisogno urgente per molti bambini in situazione di difficoltà: le scarpe. Durante la permanenza in Kenya nell’estate del 2013 — solo per avere un’idea della portata — sono state donate 101 paia di scarpe.
«Sono partita per la prima volta da sola — continua Paola — con una valigia e una macchina fotografi ca. Sapevo che il modo migliore per raccontare alle persone cosa stessimo facendo e come, era facendolo vedere. Una volta lì, tuttavia, dopo aver raccontato attraverso la fotografi a tutto quel che pensavo avrei dovuto raccontare, ho visto molto altro, ho visto che stiamo facendo ancora troppo poco e che dobbiamo impegnarci di più per sorreggere questi bambini nel loro cammino e così ho visto per la prima volta le loro scarpe. Mentre a una prima vista i bambini mi sono apparsi tutti uguali, guardando le loro scarpe mi sono resa conto che ognuna di esse mi raccontava una storia diversa. Ogni paio di scarpe, alcune bucate, altre spaiate, altre legate, alcune inchiodate e molte inesistenti, mi raccontavano esattamente da dove veniva quel bambino e dove voleva andare, mi raccontava la sua storia. Da qui ho capito che avrei dovuto partire da lì, dal basso: inginocchiarmi di fronte a quei bambini per donare un paio di scarpe ad ognuno di loro significa riconoscere il valore di ognuna di quelle vite e battermi per salvarla. Da quel momento è nato il diritto alle scarpe, che significa il diritto a percorrere una strada sicura e di essere sorretti nel farlo».
Storie speciali
«Circa un anno fa — racconta Paola — abbiamo donato un sassofono a un ragazzo di strada che desiderava fare il musicista con tutte le sue forze. Oggi il nostro Eric insegna in una scuola di musica per bambini di strada. Per noi questa non è solo una storia sorridente ma è parte della nostra storia. Sono le possibilità che cambiano la vita di questi giovani eroi e noi siamo qui per donarle loro. Un’altra bellissima storia che vale la pena di raccontare è quella legata a questi giorni di grande sofferenza in Siria e alla piccola Smiling School vicino Aleppo. Questa storia è iniziata a Cremona, quando due piccole intraprendenti e coraggiose bambine, dopo aver guardato le immagini dei piedini scalzi dei bambini siriani nei campi profughi, hanno deciso che non potevano stare a guardare indifferenti i loro piccoli amici camminare soli per quella che, ai loro occhi, sembrava una vita ingiusta per loro. Sara e Giorgia, 9 e 10 anni all’epoca, hanno deciso di fondare una piccola associazione, che abbiamo denominato Children For Children, dove i bambini aiutano i bambini nel loro cammino e lavorano per sostenere il progetto La Ragazza delle Scarpe per portare aiuti concreti ai bambini profughi siriani. Lavorare nel vero senso della parola visto che da allora raccolgono fondi attraverso la vendita di braccialetti fatti da loro o da torte fatte dalle loro super mamme e zie per comprare scarpe per i bambini siriani. Questo Natale hanno raccolto fondi per comprare scarpette ai 60 bambini che frequentano la piccola Smiling School che sosteniamo, grazie all’aiuto di molte persone, vicino Aleppo. Non c’è molto da aggiungere. Impariamo dai bambini!». La Clinica Pediatrica a Bab al Salam in Siria Il 1 luglio 2014 è stata avviata l’attività della nuova clinica pediatrica all’interno del campo profughi di Bab al Salam in Siria. La clinica oggi è sostenuta da tre Associazioni: Una mano per un Sorriso – For Children, Speranza – Hope for Children e Keep On Austria. «La clinica — spiega Paola — è coordinata dal Dottor Alì Nasser. All’interno del campo ci sono oltre 20.000 persone, almeno la metà sono bambini che vivendo in condizioni precarie hanno bisogno di cure continue. La clinica è diventata un punto di riferimento per tutti gli interventi sanitari rivolti alla cura e al sostegno dell’infanzia. Impedire che ci sia la guerra mentre questi bambini nascono è impossibile, ma impegnarci perché crescano con la speranza che finisca presto, è un nostro dovere». Coltivare il rapporto con Dio dentro uno squallore senza misericordia Ci siamo chiesti come sia possibile coltivare il rapporto con Dio in un contesto fortemente compromesso da una situazione politica instabile e minacciosa come quella dei luoghi dove opera Paola. «Sono credente — racconta Paola — e vivo la mia fede in serenità e nel rispetto delle credenze altrui. Non credo in una evangelizzazione forzata in cambio di un aiuto. Penso che il reale sostegno stia nell’accettare in toto le identità altrui, sia religiose che di altro tipo. Sono in ogni momento consapevole di ciò che mi spinge ad aiutare il mio prossimo, ma non pretendo d’insegnare nulla a nessuno. La nostra Associazione si dichiara apolitica e areligiosa non perché non si basi su principi a noi trasmessi, ma perché vuole abbracciare il prossimo in ogni sua forma e aspetto. Ho visto gli insegnamenti di Dio e colto la Sua presenza nel mio cammino molte volte nei miei viaggi. Un giorno durante il mio primo viaggio in Kenya, ad Isiolo, un ragazzo mi ha avvicinato dicendomi che sapeva chi fossi e che era felice di incontrarmi. Abbiamo fatto un po’ di strada insieme e, ad un certo punto, abbiamo incontrato un uomo che non mangiava da tre giorni. Ho chiesto ad alcuni bambini della scuola che erano con me di portargli della frutta che avevano nello zaino, ma l’uomo non la mangiava, così ho chiesto a Peter (il ragazzo appena incontrato) perché non mangiasse. Lui mi rispose che non mangiava perché non aveva la forza di mangiare ed io gli chiesi di aiutarlo. Lui gli sbucciò la frutta, poi tornò da me dicendomi: «guardalo, ora puoi fotografarlo!» Io gli risposi: «No, lascialo mangiare dignitosamente, non serve che gli faccia una foto». Lui mi guardò e mi disse: «Sei una brava persona e sei nella strada giusta, in Africa non ti succederà mai nulla perché tu ami i nostri bambini». Detto questo se ne andò e non lo rividi mai più. Essere uomini/donne autentici, significa essere semplicemente quello che si è, donandosi all’altro come si può, ma sempre con il sorriso. Nei tanti e diversi rapporti umani oggi la misericordia funziona concretamente, basta che sia un gesto spontaneo, semplice e condito da vero amore». Come sostenere i nostri progetti «Penso che il modo migliore per contribuire ai nostri progetti — continua Paola — sia quello di raccontare le nostre storie e di diffondere il messaggio di speranza di cui oggi tutti noi ci facciamo portatori: con l’amore tutto è possibile, dare una mano al prossimo significa Sorridere alla Vita. Per aiutarci a sostenere i nostri progetti, mettiamo a disposizione diversi strumenti, molti dei quali vengono usati quotidianamente per i motivi più disparati. C’è il nostro conto corrente bancario (IBAN: IT17U0890462181028000109712 Codice BIC: ICRAITRRP40); il numero Poste Pay (4023 6006 3868 2247 intestata a: Paola Viola “Una mano per un Sorriso – For Children”); la PAYPAL (unamanoperunsorriso@libero.it)». Ogni gesto insomma, piccolo o grande che sia è un dono, una mano per un sorriso.Continua a leggere
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 17, NUMERO 1, Marzo 2016