Il movimento per la vita raccontato dai protagonisti
(di Rosario Ribbene)
Un baluardo della difesa del diritto alla vita e della dignità di ogni uomo, dal concepimento alla morte naturale. Una costellazione di oltre seicento Movimenti locali, Centri e Servizi di aiuto alla Vita e Case di Accoglienza dislocati in tutta Italia: vi raccontiamo la realtà del Movimento per la Vita attraverso l’esperienza di alcuni dei suoi protagonisti trentini e bresciani, Padre Angelo Del Favero, Don Maurizio Funazzi e la dolcissima ed appassionata signora Maria.

Un avamposto di difesa
Sono numeri importanti quelli del Movimento per la Vita — se si pensa ai 110 mila bambini aiutati a nascere — dalla fondazione del primo Centro di Aiuto alla Vita, che è avvenuta a Firenze nel 1975, a tutto il 2008. Senza contare le centinaia di migliaia di donne accolte, assistite, ascoltate, aiutate. Dati senza dubbio assai eloquenti come lo è l’attività che si genera in termini di solidarietà e condivisione. Un universo di storie vissute dalle operatrici dei Centri, che sono le storie di quei bambini e delle loro mamme (ogni anno 60 mila donne vengono seguite in vario modo, di esse almeno la metà sono gestanti), vicende che spesso hanno tinte drammatiche — molte delle quali, però, a lieto fine — di speranze perdute e ritrovate, di fiducia smarrita e restituita. Luoghi di ritrovata dignità dove nessuna madre ha mai rimpianto la scelta fatta di tenersi il proprio bambino, dove diverse donne che avevano abortito, sono spesso diventate entusiaste operatrici dei Cav (Centro di Aiuto alla Vita) perchè accolte e aiutate, anche psicologicamente, a superare le loro difficoltà.
L’esperienza di Padre Angelo Del Favero
Cardiologo e co–fondatore nel 1978 di uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento e successivamente di quello di Brescia; padre carmelitano nel 1987, ordinato sacerdote nel 1991. È stato Consigliere spirituale nel Santuario di Tombetta, vicino a Verona, e attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine. Stiamo tratteggiando brevemente il profilo di Padre Angelo Del Favero.
«Quando penso al Movimento per la Vita — afferma Padre Angelo Del Favero — vedo subito i volti di coloro che hanno fondato queste due inseparabili realtà, tante persone care e generose alle quali mi lega ancora la dolce e forte amicizia della fede. Alcune di loro non vivono più in questa terra. Il mio primo incontro con questi amici risale al 1978, anno in cui entrò in vigore l’iniqua “Legge 194”, la legge che autorizza l’uccisione materna del bambino nel grembo. Avendo conosciuto e condiviso per tanti anni questa storia “sacra”, posso dire che per me il Movimento per la Vita è un’opera suscitata dallo Spirito Santo per mezzo di laici credenti, opera che vedo come un prolungamento del Mistero dell’Incarnazione del Verbo e di quello, collegato, della Visitazione di Maria incinta ad Elisabetta, la madre di Giovanni Battista».
Un figlio a pieno “titolo”
«A far parte e ad impegnarmi nel Movimento per la Vita — continua Padre Angelo — mi ha mosso una certezza che si è andata rafforzando nel tempo: il vivente umano concepito, sin dal primo istante è già un figlio a pieno “titolo”: quello biologico, riconosciuto dalla scienza e dall’intelligenza e quello divino, riconosciuto alla luce della fede e rivelato dalle parole: “Concepirai un figlio” (Lc 1,31) e confermato da Gesù stesso trent’anni dopo, quando disse: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5); “in verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40) (Enciclica Evangelium vitae, n. 104)».
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I più deboli e indifesi
«Quando si pensa ai più deboli e indifesi — spiega Padre Del Favero — a mio parere il criterio da tener presente per il giudizio è quello della fragilità biologica e della inermità piu esposta al pericolo di perdere la vita. Allora il concepito (che è uno di noi) — come diceva Santa Madre Teresa di Calcutta — è davvero da annoverarsi tra i piu poveri dei poveri, tra i piccoli piu piccoli ed indifesi del mondo. Penso inoltre che questa verità debba essere riconosciuta e rispettata anche per un motivo pedagogico di “esemplarità fondamentale” in ordine al rispetto e alla promozione del valore assoluto della vita umana, lungo tutto l’arco della sua esistenza naturale. Detto più semplicemente: se si scarta e si distrugge la pietra angolare, gli archi non reggono, la costruzione frana e le conseguenze per tutta la casa sono devastanti come un terremoto.
Ciò significa che il disprezzo legale e culturale della vita nel grembo è del tutto inconciliabile con la realizzazione delle speranze planetarie di fraternità e di pace. Questa infatti, non può basarsi sulla cultura dello scarto del più debole, ma sulla uguale dignità di tutte le persone. Ora, come si può pensare che un essere umano, quale è il concepito, non sia persona? Lo suggerisce a tutti la coscienza personale, inscritta nell’uomo come “legge naturale”. È chiaro, tuttavia, che la sola ragione, pur essendo il fondamento della norma morale, non è sufficiente a garantirne l’osservanza, e non solo quella che impone di non uccidere. Basta pensare a quella falsificazione irrazionale ed assurda della verità sull’uomo e della famiglia, che è il gender, uno sbaglio ed un contagio ormai endemico della mente di molti. Come è stato possibile arrivare a non riconoscere che d’estate le foglie sono verdi?».
La radice ultima dell’odio contro la vita umana
È un fiume in piena Padre del Favero sull’argomento della difesa della vita. «Vorrei qui rispondere — continua — con una riflessione di vent’anni fa del cardinal J. Ratzinger: “La radice ultima dell’odio contro la vita umana, di tutti gli attacchi contro la vita umana, è la perdita di Dio. Dove Dio scompare, scompare anche la dignità assoluta della vita umana. Solo questa dimensione divina garantisce la piena dignità della persona umana. (…) Nella lotta per la vita il discorso su Dio è indispensabile. Solo così appare il fondamento metafisico della dignità umana; solo così appare il valore della vita debole, delle persone handicappate, non produttive, dei malati senza speranza di guarigione, ecc.” (J. Ratzinger, La via della fede. Saggi sull’etica cristiana nell’epoca presente, Ares, Milano 1996, pp. 107-123).
La domanda dunque da porsi è questa: oltre all’impegno concreto e specifico delle opere di misericordia corporale e spirituale a favore della vita nel grembo, cosa posso e possiamo fare, oggi, adesso, per “promuovere e difendere il diritto alla vita e la dignità di ogni uomo”? Una prima risposta ci viene da San Paolo nella lettera a Timoteo quando scrive che “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tim 2,4). Queste parole ci dicono anzitutto che la salvezza dell’uomo è la verità, e che questo è evidente anche senza il soccorso della fede. Chi infatti vive nella menzogna e nell’errore vive contro la realtà e contro se stesso, crolla come un arco senza pietra angolare. La veritè è salvezza perchè è amore, e non c’è verità che non sia vero amore, come non c’è amore vero che non sia verità.
La vita, poi, può essere data soltanto mediante la vita, come dimostra il mistero della maternità e come insegna la parabola evangelica del chicco di grano, icona di materna fecondità.
Ha insegnato Papa Benedetto: “Per questo Cristo s’immerge nel destino del chicco di grano che muore, affinchè il guscio si spacchi e dal guscio possa emergere la grande fruttificazione. (…) Poichè l’uomo, che è creato ad immagine del Dio trinitario, non può trovare sè stesso chiudendosi in sè stesso. Può trovare sè stesso soltanto nella relazione, nell’uscire da sè, nel donarsi, nell’atto del chicco di grano che muore” (J. Ratzinger, Omelia per il sacerdozio, San Paolo fuori le Mura, Roma, 1993. In “Insegnare e imparare l’amore di Dio”)».
L’esperienza di Movimento di Don Maurizio Funazzi
È stato Direttore dell’Ufficio Pastorale della Salute della Diocesi di Brescia, attualmente ricopre l’incarico di coordinatore della Commissione per l’assistenza ai sacerdoti anziani e malati (un prezioso strumento territoriale di attenzione e sostegno ai sacerdoti infermi e indeboliti dall’età) della Diocesi di Brescia, parroco di due parrocchie del centro storico di Brescia (San Faustino e San Giovanni) e consigliere dell’Associazione Il Dono — Centro di Aiuto alla Vita — onlus di Brescia. Stiamo descrivendo, in breve, l’alto profilo di Don Maurizio Funazzi.
Il difficile dono della maternità
«Sono parroco di due parrocchie del centro storico di Brescia — afferma Don Maurizio Funazzi — e per 13 anni mi sono occupato di pastorale della vita. All’interno di questa attività ho incontrato molte donne che si sono trovate a decidere del proseguimento della loro gravidanza. Da qui l’idea di aiutarle con il Centro Aiuto alla Vita di Vicolo San Clemente. Tuttavia, quando si è compreso che un solo Centro gestiva con difficoltà nel territorio queste necessità, si è fondato Il Dono con riferimento al dono della maternità, al dono della vita e alla carità che le volontarie volevano offrire alle mamme per strapparle dalla solitudine e dall’isolamento nel momento drammatico della scoperta della gravidanza. Fondato nel giugno 2012, Il Dono è il braccio operativo di un più ampio movimento culturale e politico, il Movimento per la Vita. Un gruppo di volontari (soprattutto donne), affiancati da una assistente sociale, accoglie e offre sostegno a chi sta vivendo una maternità difficile. In una società che si voglia definire civile, nessuno dovrebbe trovarsi costretto ad affrontare da solo le proprie difficoltà, e ciò è ancora piu vero per una donna che sta maturando dentro di sè una nuova vita. Un figlio, pur nelle difficoltà, è un dono immenso per la vita di una donna, di un uomo, di una famiglia. Nell’attività quotidiana del Centro, si sperimenta che ogni donna — se affiancata da persone disponibili a condividere le sue difficoltà, nell’ascolto e nel sostegno — può trovare la forza per fare sbocciare una nuova vita per il suo bambino e per sè stessa. L’aiuto che offriamo serve a far prendere consapevolezza alle donne in gravidanza del grande dono che portano in grembo, anche se in quel momento può sembrare loro il piu grande dei problemi. Questo nel rispetto della libertà della mamma. Nessuno di noi è obbligato a far nulla».
La tutela dei diritti dei non nati
Promuovere e difendere il diritto alla vita e la dignità di ogni uomo, dal concepimento alla morte naturale, favorendo una cultura dell’accoglienza nei confronti dei più deboli e indifesi è, prima di tutti, il bambino concepito e non ancora nato, e ciò che sta a fondamento del Movimento per la Vita. «Il Movimento per la Vita — continua Don Funazzi — mira al riconoscimento del valore della vita umana fin dal concepimento. All’interno della società il bambino che sta per nascere non ha quei minimi strumenti di difesa. Penso a tutti quei casi di stato vegetativo, ovvero a quei “nati” titolari di diritti all’interno delle società occidentali. Diritti che non sempre sono riconosciuti al non nato. Lo scopo finale del Movimento per la Vita è quello della tutela e del riconoscimento di ogni vita umana. Tra i più deboli della società, spesso, vanno rintracciate le donne in gravidanza, spinte dalla cultura abortista verso l’isolamento. Il triste ritornello che viene rivolto a queste indifese è: “Se vuoi il bambino tienilo, se non lo vuoi perdilo, ma scegli da sola”».
Le operatrici volontarie “angeli della vita”
Alle operatrici spetta il difficile compito di sostenere altre donne portatrici di vita, donne in bilico, sospese tra la scelta della speranza e la resa ad un mondo spesso spietato e superficiale. Ogni giorno dramma e speranza si presentano forti — indissolubilmente legati tra loro nei volti delle donne — alle operatrici dei Centri. Sono loro con la forza della passione e dell’entusiasmo che affrontano lo smarrimento e la dignità violata che segnano la vita delle madri che ad esse vengono affidate.
Ogni giorno, in moltissime città d’Italia. È per questo motivo che abbiamo deciso di intervistare una di loro…
HO DETTO Sì
Intervista a Maria, una delle prime volontarie del Movimento per la Vita di Brescia a cura di Cristina Pietta
Da quanti anni collabori con il Movimento per la vita?
Da 27 anni, dopo aver incontrato il padre carmelitano Padre Angelo Del Favero. Insieme ai coniugi Mario e Carla Dioni, abbiamo iniziato con la gestione di una Casa di Accoglienza dove ospitare e dare ascolto alle donne che chiedevano il nostro aiuto.
Poi ci siamo trasferiti in un altro appartamento, dove abbiamo lavorato tanti anni, accogliendo ragazze incinte in difficoltà.
A quei tempi utilizzavamo i fondi del Progetto Gemma: ora ci sono anche il fondo regionale denominato Nasco e altri aiuti di varia provenienza. Noi li proponiamo anche se poi è il nostro ufficio che segue la parte più burocratica e che decide concretamente quale fondo utilizzare anche in base alla fascia di reddito del richiedente aiuto: il contributo comunque è di 160 euro per 18 mesi.
Ricordo ad esempio una ragazza che aspettava due gemelli dal suo compagno e non volevano tenerli. Avevano paura di non farcela. Poi li abbiamo incontrati, tramite una zia che ha chiesto aiuto al parroco, il quale li ha cercati e ce li ha fatti conoscere: abbiamo spiegato loro questa possibilità di aiuto e così hanno accettato di non procedere con le pratiche per l’aborto. Abbiamo inoltre coinvolto il Movimento per la Vita della Valtrompia che per un anno li ha aiutati economicamente dopo che si era esaurito il sostegno del Progetto Gemma.
Ora collaboriamo con il “Centro di ascolto per la vita” fatto nascere da Don Funazzi presso l’Ospedale Civile di Brescia. Disponiamo di una stanza, proprio all’interno dell’Ospedale, dove è possibile fare i colloqui con le future mamme, inoltre ci sono 5 o 6 frati che fanno assistenza spirituale. Siamo 10–12 volontarie che il lunedì e il martedì si alternano nell’ufficio.
Ma sono diversi i gruppi e le persone che collaborano con il Movimento per la Vita: il Centro di Ascolto dell’Ospedale con i frati, poi l’Associazione onlus Il Dono di Sanpolino (un quartiere della città), il Centro di aiuto alla Vita di vicolo S. Clemente, il dott. Gabriele Zanola, psichiatra e psicologo (con il quale abbiamo collaborato per diverso tempo a Bagnolo presso una casa di accoglienza per le madri sole, che poi abbiamo dovuto chiudere per difficoltà economiche). Spesso chiediamo aiuto alle Suore Poverelle per trovare dove alloggiare le mamme in difficoltà, (anche se è sempre più difficile); collaboriamo anche con il dott. Saulo Maffezzoni, che si è preso a cuore il seppellimento dei bambini non nati (accompagnandoli con un momento di preghiera insieme ad un sacerdote prima del seppellimento nel cimitero Vantiniano di Brescia) ed inoltre organizza un momento di preghiera per loro ogni primo sabato del mese oltre alla S. Messa di ogni prima domenica presso il Santuario delle Grazie.
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Come avviene il sostegno economico, psicologico e medico alle donne in difficoltà?
I motivi principali per cui le donne si rivolgono a noi sono le difficoltà di natura economica a portare avanti la gravidanza, oppure le difficoltà nei rapporti familiari come ad esempio famiglie d’origine che non vogliono gravidanze per via di situazioni affettive non stabili o non accettate. Spesso non c’e nessun tipo di sostegno alle spalle. Sono miserie della vita, disordini affettivi, problemi personali che nel momento di una decisione così importante emergono come barriere verso l’apertura alla vita.
Ci sono tante storie di ragazze sole o disperate, alcune ci cercano, altre no (alcune ragazze, magari portate da una zia, da un’amica, non vogliono neanche entrare nella stanza del colloquio…).
Qualcuna, dopo aver ottenuto il certificato per l’aborto, ma avendo deciso poi di tenere il bimbo, mi ha portato il certificato e mi ha chiesto di tenerlo, per essere sicura di non cambiare idea…
Ma quelle che sono venute avendo deciso di chiedere aiuto non si sono pentite di aver portato a termine la gravidanza, sono state riconoscenti (in diversi modi) e con molte è nato un bel rapporto che è durato negli anni. Oggi incontro ragazzi di vent’anni che sono il frutto di quei sofferti “sì”. L’aiuto fornito alle mamme è dunque economico (sostegno attraverso il Progetto Gemma), ma anche di ricerca di un alloggio, ove serve, e di materiali di prima necessità (passeggini, vestitini, seggioloni…) e poi sostegno psicologico (per i futuri genitori).
Il lavoro del volontario è stare ad ascoltare le mamme e poi prendersene cura singolarmente, a seconda delle necessità. Le mamme vengono in ospedale a fare gli esami e le assistenti sanitarie indirizzano a noi quelle che mostrano perplessità sulla scelta dell’aborto oppure piangono, oppure chiedono apertamente un aiuto.
Raccontaci qualche storia
C’era questa coppia, lei molto giovane già con una bimba piccola, lui più vecchio con un figlio grande. Avevano desiderio di formare una famiglia insieme, ma quando lei è rimasta incinta i genitori di lei si sono opposti alla gravidanza. Bisogna pregare tanto per queste mamme! Io chiedo aiuto anche alle nostre suore di clausura, che pregano tanto per tutte le persone che noi affidiamo loro!
Un’altra donna, in un momento di crisi del matrimonio, con già un bimbo di due anni, ha avuto una relazione col capo dell’ufficio dove lavorava ed è rimasta incinta. Non volendo mentire al marito e non volendo abortire, ne ha parlato con lui che l’ha lasciata: neppure i nonni volevano più vederla ed è stata ospitata nella Casa Elisabetta a Bagnolo fino al parto.
Poi pian piano il marito si è riavvicinato, soprattutto per il bimbo piccolo che già avevano. Sono tornati a vivere insieme con tutti e due i bambini, aiutandosi, anche se il loro rapporto era finito.
Donne di diversa nazionalità, di diversa estrazione sociale, donne che vengono abbandonate dal compagno quando scelgono di non abortire…
C’era una donna che viveva col suo compagno e due figli. Alla terza gravidanza lui l’ha obbligata ad abortire (le ho portato un film bellissimo, Bella, che l’ha fatta tanto piangere… Insegna cosa significa “voler bene”) e non c’e stato niente da fare, nonostante gli incontri e le discussioni. Lei non voleva perdere il compagno e ha ceduto.
L’anno dopo è rimasta incinta ancora. Una sera mi ha telefonato e mi ha detto: «questa volta non voglio abortire. Aiutami tu! Lui vuole che io abortisca». Veniva da me tutte le sere e parlavamo… Alla fine la bimba è nata. Lui l’ha lasciata. Sono stata invitata al Battesimo e lei mi ha detto: «Avevi ragione, ho sbagliato allora, non potevo sbagliare di nuovo».
Ogni sofferenza incontrata è una domanda, spesso un grido. C’è una storia che ti è maggiormente rimasta nel cuore?
Ho nel cuore tanti volti, tante storie…
Una volta una ragazza mi è stata presentata dalla ginecologa di un ospedale. Era una prostituta che aveva deciso di portare a termine la gravidanza. Era stata ricoverata d’urgenza perché stava per partorire in stazione. Le abbiamo portato tutto quello che le serviva per i primi mesi della sua piccolina. Ho cercato un alloggio dove avrebbe potuto stare una volta uscita dall’ospedale. Ma quando sono tornata a trovarla, mi han detto che era scappata, lasciando la bimba perché fosse adottata. È stata coraggiosa. Ho seguito la bimba per il suo primo mese, le ho portato il corredino. Poi è stata accolta in una buona famiglia…
C’è anche questa possibilità per chi non si sente di tenere il bambino: portare a termine la gravidanza e poi lasciare il bimbo in adozione o in affido quando la mamma vuol mantenere i contatti con un figlio che rimane suo.
Stamattina avrei dovuto abortire.
Non ci sono andata.
Domani il mio posto letto in ospedale sarà libero.
Vado a vivere con lui (il mio bimbo).
Grazie!
Questo è il biglietto che ci ha lasciato un’altra mamma…
Io non ho mai cercato niente, ho detto sì a quello che mi è stato chiesto.
È tutta gioia. Quando torno a casa sono stanca e felice.
E poi ci sono le croci: bisogna portarle, non trascinarle.
Padre Angelo mi ha proposto questo “lavoro” 27 anni fa: io ho visto che era una cosa buona e non l’ho mai più lasciata. Se una cosa è bella perché non farla?
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 17, NUMERO 3, Settembre 2016