Vitebsk è una città nel nord della Bielorussia, oggi piuttosto grande, ma più di un secolo fa, alla fine del 1800, era un grosso villaggio con case in legno e strade in terra battuta, dove la vita scorreva lenta e la gente viveva del lavoro dei campi e del commercio, anche grazie al fiume che attraversa questi luoghi, la Dvina, uno dei più importanti di tutta Europa, che dopo 1000 chilometri placidamente sfocia nel mar Baltico, in Lettonia, vicino alla capitale Riga. In questa cittadina, dove ad estati afose si alternano inverni lunghi e rigidi, abitava, al tempo della nostra storia, una numerosa comunità di religione ebraica, che era circa metà della popolazione di Vitebsk. Il nostro protagonista è un bambino di nome Moishe, primo di nove figli, che, sin da piccolo mostrò di amare il disegno e la natura, anche quella che osservava per le strade ed attorno al suo paese.

Nessuno poteva immaginare che quel piccolo bimbo vivace sarebbe divenuto uno dei più grandi pittori del secolo, anzi il padre, commerciante di aringhe, uomo molto religioso, costrinse Moishe a lasciar perdere con quell’idea dell’arte e lo spinse a studiare la Bibbia e a frequentare assiduamente la Sinagoga: forse sperava sarebbe diventato, una volta cresciuto, un maestro o un rabbino. La famiglia Segal era abbastanza povera e in pochi anni arrivarono tanti fratelli e sorelle, così Moishe dovette diventare grande in fretta. Tutto il mondo della sua infanzia lo avrebbe seguito nella sua lunghissima vita e sarebbe riaffiorato nei suoi dipinti. Scrisse molti anni dopo che «L’arte è lo sforzo incessante di competere con la bellezza dei fiori — e non riuscirci mai».

Nella memoria e nell’immaginazione di Moishe si imprimono i colori bruni della sua terra, il giallo intenso dei raccolti, il blu del fiume e il verde brillante delle distese dei campi erbosi, la presenza degli animali che accompagnano la vita degli uomini, gli asini, le mucche, il gallo e le capre. Non dimenticherà nulla, neppure i gesti quotidiani dei contadini, le feste e le cerimonie della comunità ebraica, la musica del violino, che era la colonna sonora dei gioiosi matrimoni e dei tristi funerali, i mercanti ambulanti, il rabbino e gli anziani nella Sinagoga. E poi al piccolo Moishe piaceva ascoltare le storielle e le fiabe che, soprattutto i vecchi, raccontavano ai bambini. Tutto andava a costruire, pezzo dopo pezzo come in un puzzle, il suo mondo e sarebbe diventata ispirazione per la sua arte, che stava per nascere.

Nonostante la disapprovazione del padre, raggiunti i 18 anni si recò a San Pietroburgo, per frequentare l’Accademia ed imparare a dipingere, poi si trasferì a Parigi, dove incontrò i più grandi artisti del tempo e cambiò il suo nome, rendendolo francese: Marc Chagall. Iniziò così l’avventura di uno dei pittori più stupefacenti di tutti i tempi, un lungo cammino che lo portò in tutto il mondo. Marc tornò spesso a casa, nella sua Vitebsk, la prima volta per sposare la donna che visse con lui per 35 anni e che si chiamava Bella: la amò tantissimo, tanto da renderla spesso protagonista delle sue tele, dove appare legata a lui in un abbraccio e vestita da sposa. I due sono in volo sopra alle case e al mondo, perché, come disse Chagall, «il grande amore è un amore che fa volare, che non conosce il senso della gravità. E nelle nostre vite c’è un solo colore che dona senso all’arte e alla vita stessa. Il colore dell’amore». Quando Bella morì, per Marc fu un vuoto quasi incolmabile, non dipinse più per un anno.

La vita di Chagall, infatti, non fu sempre facile, non solo perché per molto tempo fu piuttosto povero, ma soprattutto perché, durante il periodo nazista, a causa della sua origine ebraica, dovette scappare prima in Francia e poi negli Stati Uniti. Talvolta non poteva nemmeno permettersi di comprare le tele per dipingere così utilizzava tovaglie, pezzi di camicie e lenzuola o stracci trovati per strada. Le sue opere furono persino bruciate in piazza nel 1933 per ordine di Hitler e per questo fu costretto a scappare oltre oceano, negli Stati Uniti.

Le sofferenze e le persecuzioni del popolo ebraico vennero rappresentate in alcuni dei suoi quadri più famosi di quegli anni, in cui utilizzò vari simboli, in particolare l’immagine della crocifissione di Gesù, come segno di tutto il dolore degli uomini perseguitati di tutti i tempi. Chagall diceva che la sua pittura era un punto di vista dall’alto e raccontava che spesso da bambino con il nonno saliva sul tetto della sua casa a contemplare, seduto sulle tegole, le case e il suo paese e lì il vecchio gli raccontava antiche storie allegre, amare e fantastiche, dalle quali poi i suoi dipinti presero spunto, disegnando in toni sognanti e fiabeschi gli animali, gli uomini e le loro vite.

carmelino-chagall-Critina PiettaI racconti che più lo entusiasmavano e che amava erano quelli del Vecchio Testamento ed era solito affermare che i pittori per secoli avevano intinto i loro pennelli nelle storie della Bibbia, come in un alfabeto colorato. Forse fu per questo motivo che nell’ultima parte della sua esistenza, a quasi 70 anni, l’ormai vecchio Moshe, che morirà però a 97 anni, si dedicò quasi totalmente alla pittura della Bibbia, nella quale ritrovò tutta la sua vita di fanciullo nella lontana terra russa, lo sconfinato amore per Bella, l’amata tradizione della sua comunità ebraica, il dolore del suo popolo perseguitato e le antiche storie del testo della Genesi, dei Re e dei Profeti, il cui racconto lo aveva incantato.

E i suoi pennelli, guidati dal ricordo e dalla sua mano veloce, dall’emozione e dal suo stupore ancora di bambino, trovarono colori e figure meravigliose per far risorgere quel mondo, l’esodo del popolo ebraico e l’amore che Dio riversa nel cuore degli uomini, delle donne e dei bambini. Venne costruito un museo a Nizza per esporre al pubblico tutti i dipinti di Chagall sulle storie della Bibbia, dove anche oggi possono essere ammirati.

In una sua poesia, rivolgendosi direttamente a Dio, il vecchio pittore, arrivato quasi a 100 anni, scriveva: «Tu hai colmato le mie mani povere di splendidi colori e pennelli, ma ora non so come dipingerti. Dipingerò terre, cieli, il mio cuore, la città in fiamme, le genti che fuggono… che la mia tela si illumini».

E se a te, che hai letto questa storia, capiterà di trovarti di fronte ad uno di questi capolavori di Marc Chagall… lo stupore che proverai forse ti suggerirà il pensiero che Dio ha esaudito, attraverso le sfumature ed i colori, la preghiera del piccolo Moishe, donandogli un po’ della sua Luce.

 

Illustrazioni Cristina Pietta . Testo Luca Sighel