Reus è un piccolo villaggio vicino al mare Mediterraneo, in Spagna. Tra i pini marittimi e i cespugli di ginestre il clima è mite e sempre piacevole: qui nacque Antoni, nel 1852, un bambino curioso e quinto figlio di una famiglia umile. Il padre, il nonno e il bisnonno erano artigiani: costruivano caldaie e pentole di tutte le forme e le grandezze.

Il piccolo Antoni era affetto da una malattia che lo accompagnò tutta la vita e che, da bambino, a causa dei forti dolori articolari alle gambe ed alle ginocchia, spesso gli impediva di camminare.

Anche se non poteva correre come gli altri bambini, Antoni non si perse d’animo e divenne uno straordinario osservatore: trascorreva il tempo a fissare i paesaggi e la natura che gli stava attorno, anche nei dettagli più piccoli, meravigliandosi delle forme, dei colori e soprattutto ammirando i giochi che la luce sa fare attraverso le nuvole e gli arbusti.

Veniva trasportato su un asinello e passava molte ore a guardare il mare, gli alberi, il volo degli uccelli, i particolari delle foglie e delle conchiglie, le linee e le sagome delle pietre, i complicati percorsi geometrici che disegnano le formiche.

Poiché il medico aveva detto ai genitori che un clima diverso avrebbe giovato ai suoi dolori, con la mamma e le sorelle trascorse molto tempo a Riudoms,  verso l’interno, sulle vicine colline, in una modesta fattoria e, come scriverà nel suo diario da adulto, fu proprio in quel cortile, tra i vasi di fiori, circondato da vigneti e uliveti, animato dal chiocciare delle galline, dai canti degli uccelli e dal ronzio degli insetti, e con le montagne di Prades a fare da sfondo, che nacque in lui la pura gioia della natura, che chiamerà per tutta la sua vita “maestra”.

La luce e la natura, sin da allora, furono per Antoni un mondo da scoprire, un libro da sfogliare con sempre nuove e stupefacenti pagine da leggere ed esplorare.

Crebbero in quel gracile ragazzino un amore e un rispetto profondo per tutto il creato, un regalo continuo che, sapeva, Dio aveva donato agli uomini.

Anche stare nel laboratorio del padre era per Antoni uno straordinario passatempo: si costruivano pentoloni ed alambicchi per distillare i liquori e lui era affascinato dall’abilità degli artigiani nel modellare il rame lucente e la lamiera, attraverso un duro lavoro con martelli, fuoco e maglio. I rumori, l’odore e l’arte con cui si ottenevano oggetti tanto perfetti ed utili gli diedero una grande passione per quel mestiere e per i metalli, ma il padre insistette perché Antoni studiasse, visto che a scuola andava tanto bene.

E così accadde, anche se, allora, nessuno avrebbe potuto immaginare che Antoni, Gaudì, sarebbe divenuto uno dei più importanti e creativi architetti di tutti i tempi.

Strinse una forte amicizia con due compagni Eduard Toda e Josep Ribera e i tre giovani molto interessati di storia e natura, facevano insieme lunghe escursioni alla scoperta dei luoghi più isolati e sconosciuti. Un giorno Josep li portò in un luogo abbandonato che aveva casualmente trovato: il monastero diroccato di Santa María de Poblet. Abbagliati dalla bellezza di quei ruderi, decisero di restaurare l’antico edificio. Antoni, che aveva allora solo 15 anni fece il disegno e realizzò il suo primo progetto. Quell’esperienza fu, senza dubbio, per lui una chiamata: l’architettura sarebbe stata la sua vita.

Antoni crebbe e terminò gli studi, divenendo un giovane e promettente architetto, ma per molti suoi insegnanti il suo modo di pensare l’architettura era strano.

Sin dai primi lavori e progetti si fece notare per la sua originalità, anche se cominciò costruendo oggetti, lampioni stradali e un chiosco. Costruirà poi abitazioni per operai, allestirà  sale di lavoro e padiglioni commerciali ed industriali, utilizzando molti materiali, dal legno ai metalli, finché non incontrò, quasi per caso, un ricco nobile spagnolo che lo chiamò a Barcellona e gli permise di liberare la sua creatività e la incredibile originalità nella costruzione di alcune case, che oggi sono tra i monumenti più ammirati della città.

Nel 1888 venne nominato architetto capo della Sagrada Familia, la grande cattedrale che si stava per costruire nella città di Barcellona. A quest’opera dedicò tutto il resto della sua vita, perché “costruire una chiesa – amava ripetere- è per un architetto la cosa più bella del mondo, perché è per Dio ed il progettista è semplicemente un collaboratore, la Creazione è l’opera di Dio”.

Nella grande cattedrale Antoni decise di mettere tutto il suo amore per la natura e per il suo creatore.

Due furono le idee che guidarono il suo inesausto lavoro: quell’opera avrebbe dovuto essere del popolo, della gente che lì avrebbe pregato ed incontrato il Signore, e poi tutto, dai portali alle colonne, dall’altare alle finestre sarebbe stato un inno al creato, alla natura e alla gloria di Dio.

Per realizzare il progetto creò un’associazione che raccolse in poco tempo 500 mila sostenitori, così la cattedrale, come quelle medievali che Antoni ammirava, si realizzava come un’opera popolare.

All’interno e all’esterno il progetto di Gaudì realizzò un giardino di pietra dove il mondo vegetale, minerale ed animale, sono presenti persino con gli esseri più umili, come le tartarughe, gli arbusti e le trame dei boschi che tanto amava. “Ogni cosa proviene dal grande libro della natura –  scrive Gaudí – Vedete quell’albero vicino al mio laboratorio? Lui è il mio maestro!».

Attraverso le sculture si raccontano le storie della Salvezza, della Bibbia e del Vangelo, un catechismo creato attraverso i colori, la luce della natura e lo stupore per le forme.

Da subito quest’immensa opera di bellezza, che oggi è il simbolo di Barcellona, creò stupore ed ammirazione, anche se i tempi lunghi della sua costruzione portarono parecchie critiche ad Antoni, che, sorridendo, rispondeva che il suo Cliente, Dio, non aveva fretta che la cattedrale fosse finita.

Curò e amò la Sagrada Familia fino all’ultimo giorno, tanto che nei sei mesi prima della sua morte, Gaudì viveva e dormiva nella cattedrale, per visionare anche di notte la sua creazione. Fu molto attento e amorevole con gli operai ed i suoi collaboratori, tanto che morì senza un soldo e spesso diceva: Verrà gente da tutto il mondo per visitare la Sagrada Familia.

L’opera del maestro continuò anche dopo la sua morte ed è tuttora in corso. Studenti ed architetti da tutto il mondo sono venuti e vengono ancora a studiare e a lavorarci, seguendo le tracce del maestro spagnolo.

Oggi milioni di visitatori accorrono ad ammirare una delle meraviglie del mondo, ancora in costruzione e, a sera, quando si chiudono i portali della chiesa e il cantiere degli operai, pare che Antoni stia ancora passeggiando tra le colonne della cattedrale, come sempre faceva, con il rosario in una mano e delle noccioline nell’altra per ricordarsi che serve il nutrimento per il corpo, ma non bisogna dimenticare anche il cibo per l’anima. E forse anche per questo è in corso il percorso per beatificare quel piccolo e gracile bambino, divenuto un grande architetto, innamorato di Dio e del Suo Creato.

 

Tasto: Luca Sighel

Illustrazioni Cristina Pietta