Quando San Francesco inventò il presepio per vedere Gesù bambino “con gli occhi della carne”
Era il 1223. Proprio così: il milleduecentoventitreesimo anno dopo la nascita di Gesù (l’ho scritto in lettere per farvi rendere conto di quant’è lungo). Davvero un sacco di tempo, dalla notte in cui Gesù era disceso sulla terra.
Il rischio che gli uomini dimenticassero quell’attimo meravigliosamente unico nella storia del mondo intero un pochino spaventava San Francesco. Li osservava ogni domenica, durante la Messa, mentre ascoltavano distratti il Vangelo (che poi era letto in latino, una lingua che per quella gente buona, ma semplice, era facile da capire come il giapponese per noi). E anche la predica del buon prete faticava a penetrare nei loro cuori appesantiti da una vita spesso dura e difficile.
Alla luce delle candele i bambini osservavano i dipinti sulle pareti delle chiese: figure un po’ strane che, in quell’atmosfera tremolante e fumosa, ricordavano certi brutti sogni. E meno male che la mamma era lì vicina!
Per fortuna a volte capitava di osservare un affresco fatto come Dio comanda, ché di pittori bravi ce n’erano più allora di oggi. Ma Francesco, guarda un po’, era preoccupato lo stesso.
E di che cosa? direte voi.
È presto detto. Egli guardava i dolci tratti del volto di Maria, si consolava del sorriso del bimbo, quasi quasi sentiva frullare le alucce degli angeli che riempivano il cielo stellato, ma subito riandava con commozione al freddo e al disagio di quella notte lontana, in Palestina, e gli pareva di sfiorare la pelle delicata del neonato appoggiata sulla paglia spinosa, a malapena rivestita dalla ruvida stoffa del mantello di Giuseppe. Nel suo cuore acceso d’amore desiderava che ogni uomo potesse rendersi ben conto di ciò che era accaduto tanto tempo prima, con la stessa verità dei fatti della vita.
«Voglio che tutti vedano con gli occhi del corpo quel che davvero accadde quella notte» disse ai suoi fraticelli. «Voglio la stalla, con gli animali e il fieno e l’intera Santa Famiglia.»
«Hai forse intenzione di far dipingere un nuovo affresco nella cappella?» chiese un poco scettico il frate dispensiere, abituato alle stranezze del Santo.
«No, fratello. Li voglio tutti veri: il legno di legno, la paglia di paglia, le persone di carne. All’aria gelida ci penserà il Buon Dio.»
Gli sguardi dei religiosi eran vivaci come quelli del bue alla stanga e la perplessità pesava come un macigno. Ma Francesco (che poi era quello che aveva chiacchierato coi passerotti e intenerito il lupo) trovò gli accenti adatti se non per convincerli, almeno per acquietarli.
C’era un suo amico, un tale Giovanni, che stava a Greccio, un paesino che, come tanti nella terra dell’Umbria, sembrava aggrappato con le unghie alla collina. Le case si confondevano con le stalle e spesso uomini e animali mangiavano e dormivano in un’unica stanza.
«Mi sembra un luogo adatto» considerò Francesco.
«Greccio?» chiese sbalordito Giovanni.
«Greccio, sì. Per come la vedo io, non dovrebbe essere poi così diverso da Betlemme» concluse, troncando ogni possibile discussione con un sorriso definitivo che solo i santi possono permettersi.
Giovanni si rassegnò. Beh, dopotutto nemmeno Gesù, per scegliere il luogo che l’avrebbe accolto, aveva fatto tanto il prezioso, né consultato i cataloghi delle agenzie di viaggi. Il dito del Padre, scivolando sul globo terrestre, si era fermato per misterioso volere su quel cantuccio di mondo. Agli occhi del Signore dell’universo la distanza tra Betlemme e il paesello italiano doveva essere più o meno un saltino di pulce.
Giunse così il giorno della letizia.
Uomini e donne arrivavano festanti dai casolari; ognuno portava un cero o una fiaccola, ed erano tanti, tanti davvero. Stelle e fiammelle si mescolavano, così che era difficile, quella notte, distinguere la terra dal cielo.
Giovanni aveva fatto le cose proprio per bene: la stalla (quella là, in fondo al viottolo), la paglia, il bue, l’asino, la greppia…
La gente osservava, a volte riconosceva…
«Ma quelle non sono le bestie di…?»
«Già, solo che le ha un poco ripulite. E ci voleva!»
Le parole sussurrate erano nuvole di alito caldo nell’aria invernale.
«E la Madonna, non è…»
«Sicuro, la figlia di…»
«Carina lo è sempre stata, ma bella come appare stanotte non l’avevo mai vista.»
Proprio come i pastori di mille anni prima, qualcuno aveva portato pane, castagne, vino profumato.
«Il bimbo!»
«Che c’è?»
«Piange, non senti?»
Le voci rotolavano sommesse.
«Cosa stanno dicendo?»
«Il bimbo sta piangendo.»
«Chi?»
«Gesù… sta piangendo.»
«Ma non è Gesù. Io lo conosco…»
Francesco era diviso tra letizia e rammarico. Poi si ricordò di quante volte era toccato a Gesù stesso sentire nel medesimo tempo parole colme di meraviglia e altre grevi di amara incredulità («ma non è il figlio del falegname?»). E allora si rasserenò, perché comprese che nulla era cambiato nell’animo della gente, che, a Betlemme come a Greccio come in ogni luogo, il Figlio Eterno di Dio che si fa uomo chiede al cuore di ciascuno di guardare aldilà di ciò che gli occhi riescono a vedere.
Poi il Santo di Assisi prese il libro del Vangelo e lesse con voce limpida il racconto della Notte che divise a metà il tempo e la storia.
Raccontano quelli che lo udirono che, nel pronunciare pieno d’amore parole come “Betlemme… Bambino…”, la sua voce si addolcisse fino ad assomigliare al belato di una pecora.
Un agnello nato da poco, all’udire quel suono familiare, si girò, accoccolandosi stretto stretto alla mamma. A guardarlo bene, sembrava che capisse più di molti cristiani.
La voce attraversò il silenzio di quella notte, meravigliosa e misteriosa quasi come quella di milleduecentoventitre anni prima, e percorse i sentieri dei continenti e dei mari. Molti nemmeno se ne accorsero e continuarono a dormire. Qualcuno si svegliò, inquieto. Altri decisero che all’alba sarebbero andati a vedere che cos’era accaduto.
Dall’alto del Cielo Eterno, Dio Padre scambiò un cenno d’intesa nel Gran Mistero della Trinità, si schiarì la voce per nascondere un briciolo di commozione e disse:
«Beh, manca solo una cosa… ma credo proprio che dovrò pensarci io.»
E con un leggero schiocco delle dita, che solo gli angeli più vicini sentirono, accese nel firmamento una luminosissima stella cometa.
Testo: Roberto Guarneri
Illustrazioni: Cristina Pietta