Nel nostro percorso attraverso le vite dei santi (cioè degli uomini e delle donne che Gesù ha talmente amato da far della loro vita un meraviglioso esempio a cui guardare) abbiamo saltato di terra in terra e di secolo in secolo.
Non c’è un luogo del mondo o un istante del tempo che la Grazia di Dio non possa raggiungere per riempirlo di bellezza e di bontà.
Ci sono, però, dei periodi che ci appaiono più vibranti di altri, giorni e anni in cui la storia dell’uomo sembra arrivare a una specie di incrocio, là dove è inevitabile fermarsi un attimo per risolvere i dubbi sulla strada da intraprendere. Chissà, forse il tempo che stiamo vivendo ora è uno di quegli incroci… Oppure ogni tempo è, per ciascun uomo, il proprio incrocio decisivo, perché lì e non altrove si decide della sua salvezza, della sua felicità.
Il sedicesimo secolo, comunque, fu davvero un momento di grandi decisioni. Lo abbiamo già descritto (ricordi la vita di Filippo Neri e di Camillo de Lellis?) come un periodo di grandi difficoltà per la Chiesa, che visse allora una separazione dolorosamente profonda, tanto profonda che dura ancora oggi.
Fu un secolo di grandi cambiamenti, anche. Il mondo, da un giorno all’altro, si era fatto immensamente più grande, grazie ai viaggi dei grandi navigatori, primo fra tutti Cristoforo Colombo, che aveva raggiunto il continente americano e perciò mari e territori e popolazioni sconosciuti e affascinanti.
Una delle nazioni più importanti e potenti era allora la Spagna. Pensa: il sovrano di quel Paese, Carlo V, era il più potente di tutti. L’ombra della sua corona si estendeva su domini tanto vasti da consentirgli di dire che “sul suo regno il sole non tramontava mai”.
E fu proprio nel cuore di quel regno, nella città di Avila, che nel 1515 nacque Teresa de Ahumada. Era una piccola grande nobile spagnola, una hidalga. Per lei, come per i fratelli e le sorelle, era facile immaginare un futuro pieno di avvenimenti meravigliosi ed eroici. Ma mentre per i fratelli ciò significava soprattutto sognare di partire per le Americhe a conquistare terre e popoli, per Teresa il fascino del destino cominciava a prendere i contorni di altre imprese. Leggeva le vite dei santi, dei martiri, degli eremiti e sognava qualcosa di più grande ancora.
“C’è una vita che è per sempre, per sempre, per sempre!” ripeteva quasi per gioco.
Desiderava “andare a vedere Dio”, diceva con la precisione e la decisione che solo i piccoli a volte sanno avere. Da grande, ripensando a quei tempi, Teresa concluse che Dio le aveva fatto il dono di imprimerle nel cuore “fin dalla più tenera infanzia, il dono della verità”.
Teresa cresceva così, non accontentandosi di nulla di meno che delle cose più preziose. Era inevitabile per una fanciulla nobile di allora accendersi di fascino per il mondo dei cavalieri e delle dame, per le vicende dei re e dei castelli. D’altra parte era già convinta, anche se così giovane, del fatto che quelle cose non potevano durare, che lo splendore delle sete e dei broccati, che il luccichio dei gioielli, che la freschezza della bellezza del viso non durano.
A vent’anni anche Teresa giunge a un incrocio: capisce che Dio l’ha condotta fino a quel punto in cui deve decidere chi è il signore della sua vita. È un momento che prima o poi arriva per ciascuno di noi; spesso si presenta attraverso circostanze semplici, ma lascia intuire che in gioco c’è la possibilità stessa di essere felici, di guadagnare o di perdere la vita intera.
E Teresa sceglie: all’alba del 2 novembre 1535 entra nel monastero carmelitano dell’Incarnazione.
Non era il punto di arrivo, ma l’inizio di un’avventura affascinante come quella dei navigatori che con i loro vascelli attraversavano gli oceani.
Un’avventura non facile da descrivere. Per usare delle parole semplici, potremmo dire che Teresa aveva capito che non c’era distanza tra il mondo di Dio e il mondo degli uomini, tra l’eternità e il tempo, tra l’amore verso Dio e quello verso il prossimo. Lei vedeva con la chiarezza degli occhi del cuore che Gesù è nello stesso istante il nostro Dio e il nostro prossimo, l’eterno che è entrato nel tempo, l’amico con cui si può vivere, parlare, stare come e più di quanto si faccia con ogni altro amico.
Insomma, che è proprio Gesù l’unico Signore della vita.
Ma per descriverti questo, lascia che ti parli del libro più importante che Teresa ha scritto. Si intitola Castello Interiore. Lo faccio, però, partendo da un altro libro, opera di una persona del tutto diversa da Teresa, nata in un tempo e in Paese lontani dai suoi.
Questi si chiamava Franz Kafka, uno dei più grandi scrittori dei tempi moderni. Nel 1922, quattrocento anni dopo Teresa, scrisse un romanzo dal titolo Il Castello.
Anche Kafka, che non credeva in Dio ma sapeva guardare con verità nel suo cuore e nel mondo attorno, a suo modo ha raccontato la verità, almeno un pezzetto di essa. Mettere l’una accanto all’altra le opere di questi due grandi personaggi ci può aiutare a capire qualcosa in più di noi stessi e dei desideri che portiamo dentro.
Cominciamo con Il Castello, l’opera più recente.
Il protagonista si chiama K. (così, semplicemente, quasi come uno senza nome o il cui nome conta poco; però è l’iniziale del cognome dell’autore, giusto?). È stato chiamato a lavorare nel castello di un certo Paese come geometra. Lui arriva, si presenta alla porta, col suo bel contratto in regola e…
E cominciano i pasticci. Cose banali, in realtà. Un giorno manca il funzionario per la firma, il giorno dopo non si trova un documento, a un tratto pare che non ci sia più bisogno di lui, poi però si apre una nuova possibilità…
K. trascorre i suoi giorni nel villaggio che sta ai piedi del castello. Non può andarsene, perché deve essere a disposizione: il suo contratto parla chiaro. Ma
ogni volta che si presenta al portone per entrare a fare ciò per cui si sente pronto, ogni volta che giunge al termine dei sentieri aggrovigliati che conducono alle mura, un nuovo inspiegabile impiccio rimanda a domani il suo ingresso.
Si affanna, litiga coi funzionari, insiste… Niente da fare. K. È costretto a rimanersene lì, come in sospeso, perché da un momento all’altro potrebbe
giungere dal castello la chiamata tanto attesa, una chiamata che si fa sempre
più improbabile.
In realtà c’è un momento, nella vicenda, in cui sembra che quell’invito stia arrivando. Ma è notte e proprio in quell’istante K., mezzo addormentato, non se ne accorge. Che beffa!
Il romanzo di questo grande e triste scrittore non venne mai terminato. E forse è proprio questa la conclusione più adeguata di una storia che sembra davvero non poter trovare una fine lieta.
Da molti Il Castello di Kafka è giudicato la descrizione cruda ma realistica della vita dell’uomo di oggi. Un uomo senza casa, chiamato a vivere in un luogo dove in realtà nessuno lo attende, dove è giudicato inutile, dove si sente di troppo. Eppure, oltre quelle mura impenetrabili, egli intuisce che potrebbe incontrare il senso di ciò che sente dentro di sé. Ma ogni tentativo si scontra contro un’indifferenza grigia e ruvida come le pietre di cui il castello è fatto.
Anche Teresa, nel Castello Interiore, inizia descrivendo un uomo che sta fuori delle mura, un estraneo. È lì, come paralizzato, circondato da rospi, vipere e animali velenosi. Anche per Teresa, cioè, l’uomo, lasciato solo nel mondo, è infelice e impaurito. Ma in quel castello è possibile entrare, in quel castello l’uomo è atteso da qualcuno che gli vuole bene. E quando l’uomo incomincia a superare la prima porta, il percorso si fa sempre più affascinante e luminoso.
Di stanza in stanza, di scala in scala, ogni passo si riempie di bellezza.
Anzi, dalla parte più interna della dimora proviene una luce che si fa sempre più viva. Fino a giungere nell’appartamento regale, dove il Signore del castello attende con amore.
Forse anche il castello descritto da Kafka è abitato da un signore, ma se c’è è lontano e indifferente. O forse la stanza là in fondo, quella del re, è vuota e oscura.
Per Teresa, al contrario, quel bel castello che lei descrive non si trova chissà dove. È vicino, anzi è dentro ciascuno di noi. Il viaggio che dobbiamo fare non deve attraversare i mari o i deserti, ma condurci nel profondo del nostro cuore.
È lì che, da sempre, il Signore del castello ci attende. È lì che ha preparato una stanza calda e accogliente. C’è un tavolo, una seggiola preparata, ci sono gli amici, i loro volti e le loro voci.
Soprattutto c’è Lui, che con un sorriso ci fa cenno di entrare.

La festa di santa Teresa d’Avila si celebra il 15 ottobre.

 

Testo: Roberto Guarneri

Illustrazioni: Cristina Pietta