L’accordo Cina‒Vaticano. Qualche passo positivo, ma senza dimenticare i martiri…

 

(di Padre Bernardo Cervellera)

 

A quasi 6 mesi da quello che con tanta enfasi molti hanno definito uno “storico accordo” — quello tra Cina e Santa Sede sulle nomine dei vescovi — i cattolici sembrano ancora divisi fra un acceso ottimismo e buio pessimismo. Fra gli ottimisti, l’espressione “storico” è stata usata fino allo spreco, dimenticando che l’accordo è definito “provvisorio” e soggetto a “valutazioni periodiche”, tanto che alcuni vescovi in Cina, ma anche il Vaticano, stanno dicendo che esso cambierà entro i prossimi due anni. Per i pessimisti, esso è “l’inizio” di una consegna totale della Chiesa cinese nelle mani dello Stato che, come già avviene, ne farà quello che vuole, ossia uno strumento del Partito; e puntano il dito al silenzio sulle sofferenze che cattolici ufficiali e non ufficiali subiscono da 70 anni. Come in tutte le cose umane, a me sembra che in questo accordo sia presente qualcosa di positivo, ma anche di negativo: proviamo dunque ad esaminarne i diversi aspetti.

Il ruolo del Papa nelle nomine dei vescovi

In esso c’è in effetti una novità: in qualche modo — che però non sappiamo, perché il testo dell’accordo non è stato reso pubblico, e non lo sarà — la Santa Sede sarà implicata nelle nomine dei vescovi. Questo, almeno sulla carta, significa la fine della Chiesa “indipendente”, tanto sbandierata in tutti questi anni, e il riconoscimento che il legame col Papa è necessario anche a un vescovo cinese per esercitare il suo ministero. Secondo l’accordo non sarà più possibile nominare e ordinare un vescovo senza il mandato papale, anche se il governo, o l’Associazione patriottica, o il Consiglio dei vescovi potranno proporre il loro candidato. E questa è la parte ottimista.

Ma vi è anche un lato pessimista: cosa succederà se il candidato proposto dalla Cina venisse rifiutato dal Papa? Fino ad ora si era parlato di un potere di veto temporaneo del Pontefice: il Papa, cioè, doveva dare le motivazioni del suo rifiuto entro tre mesi, ma se il governo valutava inconsistenti le motivazioni Papali, avrebbe continuato con la nomina e l’ordinazione del suo candidato. Non avendo il testo dell’accordo, non sappiamo se questa clausola è stata mantenuta, se davvero il Pontefice avrà l’ultima parola sulle nomine e ordinazioni, o se invece si riconosce la sua autorità solo in modo formale. Questo è uno dei punti che — in mancanza del testo sull’accordo — bisognerà verificare nei prossimi mesi, con le prossime nomine e ordinazioni che attendono da anni.

La cancellazione delle scomuniche

Un altro elemento positivo è la cancellazione della scomunica a sette vescovi, ordinati senza mandato papale dal 2000 fino al 2012. È un fatto positivo perché, almeno in via di principio, aiuterà i cattolici cinesi a fare più unità. Questi vescovi scomunicati erano usati dall’Associazione patriottica per dividere la Chiesa, facendoli presenziare con la forza della polizia a cerimonie e ordinazioni episcopali. Va pure detto che diversi di loro hanno compiuto un cammino di pentimento e da anni chiedono di essere riconciliati con Roma.

Ma fra i fedeli cinesi — parte di quel «santo popolo fedele di Dio» che il Papa ci chiede di ascoltare — vi è avvilimento e tristezza perché alcuni di questi vescovi riconciliati sono noti per avere amanti e figli e per essere “collaborazionisti”. Molti altri si domandano se i vescovi riconciliati esprimeranno mai una domanda pubblica di perdono davanti al popolo che essi hanno scandalizzato con il loro agire “indipendente”. Proprio il cardinale Pietro Parolin, nel suo commento all’accordo, ha chiesto che si pongano «dei gesti concreti che aiutino a superare le incomprensioni del passato, anche del passato recente». Ma finora non abbiamo ricevuto alcuna notizia di gesti di perdono e riconciliazione.

Accordo “pastorale” e “non politico”

Un altro elemento tutto positivo dell’accordo è il suo carattere “pastorale” e “non politico”. E in effetti l’accordo è stato firmato senza che la Cina esigesse come condizione previa la rottura dei rapporti diplomatici del Vaticano con Taiwan. Per decenni, e perfino negli ultimi anni di dialogo ai tempi di Papa Francesco, il ritornello della Cina era che se il Vaticano voleva migliorare i rapporti con Pechino, doveva anzitutto interrompere le relazioni con Taiwan e non intromettersi negli affari interni della Cina. Con l’accordo “pastorale” queste due condizioni sono saltate: il Vaticano viene introdotto nelle nomine dei vescovi e non c’è alcuna rottura con Taiwan.

La persecuzione non detta

Ma un altro elemento è del tutto negativo: né nella notizia dell’accordo, né nelle sue spiegazioni vi è un minimo accenno alla persecuzione che i cattolici e tutti i cristiani stanno sostenendo in questi tempi. Come testimoniato tante volte da AsiaNews, in nome della “sinicizzazione” (cioè dell’attrazione nell’orbita della civiltà e della cultura cinese; ndr.), in Cina vengono invece bruciate e distrutte croci, demolite chiese, arrestati fedeli e ai giovani sotto i 18 anni è vietata la partecipazione alle funzioni e l’educazione religiosa. In più ci sono ancora oggi vescovi e sacerdoti scomparsi nelle mani della polizia; vescovi agli arresti domiciliari; vescovi non ufficiali considerati come criminali; controlli d’ogni tipo nella vita delle comunità. A tutto ciò si aggiungono le persecuzioni a cui sono sottoposte le altre comunità religiose (buddiste, taoiste, musulmane, …), che manifestano la visione negativa che la Cina ha delle religioni e il suo progetto di assimilarle o distruggerle.

Questo quadro fa guardare all’accordo provvisorio come a un risultato “strano”, un po’ insperato, provvisorio, ma senza futuro, perché getta un’ombra di sospetto sull’interlocutore con cui la Santa Sede ha deciso di dialogare. Dalla Cina ci giungono appunto commenti che esprimono contentezza per l’accordo, ma anche tristezza perché i cinesi non si fidano delle loro autorità politiche.

A questo proposito, diversi mesi prima dell’accordo, in un’intervista a Reuters (20 giugno 2018), Papa Francesco ha detto che «il dialogo è un rischio, ma preferisco il rischio che non la sconfitta sicura di non dialogare». È quindi meglio iniziare un dialogo anche con un interlocutore non fidato, che rimanere fermi. Da questo punto di vista, l’accordo, anche se provvisorio, rappresenta senz’altro una pagina nuova dei rapporti del Vaticano con la Cina.

Tutto come prima?

Ma le notizie che ci giungono da quel Paese mostrano che l’atteggiamento del Governo (o perlomeno di una parte del Governo) non è cambiato nei confronti della Chiesa. Lo scorso dicembre, Wang Zuoan, vice‒direttore del Fronte Unito e già direttore dell’Amministrazione statale della Cina per gli affari religiosi, ha sottolineato ancora una volta che i principi di indipendenza e di autogestione non saranno eliminati «in nessun momento e in nessuna circostanza». Questo significa che si vuole rendere inutile il riconoscimento del Papa come capo della Chiesa cattolica.

In più, subito dopo la firma dell’accordo, in molte regioni della Cina il Fronte Unito e l’Associazione patriottica hanno svolto raduni per sacerdoti e vescovi in cui si spiegava loro che “nonostante l’accordo”, essi dovevano lavorare per l’attuazione di una Chiesa indipendente. Le distruzioni di croci, chiese, sessioni di indottrinamento, arresti sono continuati come prima dell’accordo. Se a questo si aggiungono le dichiarazioni di alcuni vescovi riconciliati (ex scomunicati), tutti favorevoli all’Associazione patriottica e sprezzanti verso le comunità sotterranee — che si sentono tradite e abbandonate — si vede che il principio di “indipendenza” cresce anche fra i vescovi e non solo nell’Associazione patriottica. Per questo la riconciliazione e la libertà religiosa della Chiesa in Cina è ancora tutto un cammino aperto.

Secondo quanto il Papa avrebbe detto a un vescovo sotterraneo, in caso di un suo rifiuto a firmare l’accordo, la Cina minacciava di ordinare 45 vescovi illeciti e “indipendenti” dalla Santa Sede, creando le basi di un vero e proprio scisma. Se confermato, l’accordo è avvenuto anche sotto l’ombra di un vero e proprio ricatto. Ma ciò significa anche che la Chiesa della Cina ha ancora più bisogno della preghiera, dell’aiuto e del rapporto con gli altri cattolici nel mondo.

 

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Approfondimento sull’Accordo Santa Sede–Cina e sulla situazione attuale a cura di P. Fabio Silvestri ocd

 

Il 22 settembre 2018 è stato siglato un accordo tra la Santa Sede e la Cina, relativo in particolare ai criteri di nomina dei Vescovi e, più in generale, all’inizio di un percorso di riconoscimento e riconciliazione tra le parti. Per capire la potenziale portata di questo avvenimento si deve pensare che, ormai da decenni, la Chiesa cinese vive in clandestinità (e considerata quindi “non ufficiale”). A motivo della sua fedeltà alla Chiesa di Roma e dei suoi insegnamenti “non addomesticati” alle volontà del Partito, è stata quindi contrastata e perseguitata dalla Repubblica Popolare di matrice comunista. Un percorso ben diverso da quello che ha riguardato sin qui la così detta Chiesa ufficiale, cioè la Chiesa indipendente appoggiata dall’autorità statale, che nel tempo si è dotata di Vescovi propri, non riconosciuti da Roma, e che da sempre è contigua all’Associazione patriottica (Ap).

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L’accordo sino‒vaticano, come vedremo nel dettaglio di questo nostro dossier, è stato valutato in modo molto diverso: da alcuni come un evento “storico”, celebrato con enfasi anche a livello mediatico; da altri — in particolare gli stessi cattolici cinesi della Chiesa “non ufficiale” — come il rischio concreto di una progressiva e forzata cancellazione della Chiesa clandestina.

Ad una settimana dall’accordo, Papa Francesco, cosciente della delicatezza della situazione, ha voluto inviare un Messaggio a tutti i fedeli cinesi, chiedendo a ciascuno di «farsi artefice di riconciliazione» e di lavorare per «ristabilire la piena comunione di tutti i Cattolici cinesi», superando le divisioni del passato. Egli ha inoltre chiesto ai pastori di favorire rapporti di collaborazione tra i Responsabili delle comunità ecclesiali e le Autorità civili, mediante un dialogo franco e un ascolto senza pregiudizi. Il Papa — che per l’occasione ha deciso di “riabilitare” 8 vescovi scomunicati della Chiesa ufficiale (di cui uno post‒mortem) — ha sottolineato la continuità tra questo tentativo e quelli portati avanti da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI; due vescovi cinesi hanno così partecipato ai lavori del recente sinodo sui giovani. Infine, il Papa ha affermato l’importanza di questo inizio di confronto, cioè di questo processo nuovo, seppur prudente.

Ad oggi, il testo dell’accordo non è stato ancora reso pubblico, né dalla Cina né dal Vaticano: è stato però precisato che si tratta di un accordo provvisorio di cui andrà verificata l’attuazione nel tempo.

A fronte di queste condizioni, tuttavia, alcuni fatti che stanno riguardando la Chiesa cinese — anche dopo l’accordo — provocano grande preoccupazione tra i cattolici circa il senso e la tenuta dell’intesa, portando a dubitare della volontà effettiva di riconciliazione e collaborazione da parte della Cina e della Chiesa “ufficiale”. Su questi fatti, per altro, si registra un silenzio preoccupato (e preoccupante) al livello dei media internazionali, in buona parte anche di quelli cattolici. Solo per citare alcuni esempi, si pensi al fatto che ad oggi in Xinjian, Mongolia interna, Hubei, Henan, Zhejiang, Hebei, l’Ufficio affari religiosi continua ad esigere che vescovi e sacerdoti aderiscano all’Associazione patriottica e al suo progetto di “indipendenza” (dalla Santa Sede), il cui statuto è stato definito “inconciliabile con la dottrina cattolica” da Benedetto XVI. Intere comunità cristiane non ufficiali subiscono ancora perquisizioni e prelevamenti forzati, in particolare in occasione dei raduni nelle case, che sono vietati (questo accade anche ai cristiani non cattolici: tra il 24 febbraio e il 2 marzo sono stati arrestati più di 50 membri della comunità cristiana protestante di Chengdu, tra cui circa 11 bambini); la modalità del sequestro forzoso, anche dopo l’accordo, ha già riguardato un vescovo (Mons. Shao Zhumin di Wenzhou) e alcuni sacerdoti cattolici (di Zhangjiakou), pur molto attivi socialmente, che sono stati costretti per un lungo periodo ad un programma di “rieducazione” alla collaborazione con la Chiesa “ufficiale”; continua intanto la distruzione di santuari (in particolare dello Shanxi e a Guinzhou), di altri luoghi di culto e di croci; continua la proibizione a ragazzi più giovani di 18 anni di appartenere a realtà religiose e andare in chiesa; continua ad essere in vigore la possibilità dell’esproprio per chi ospita gruppi religiosi non ufficiali; continua, dopo la sua recente introduzione, il divieto di acquisto di Bibbie online. Infine, alcuni tra i vescovi ufficiali a cui Papa Francesco ha appena tolto la scomunica, partecipando ai raduni dell’Ap, proclamano che è tempo di superare (cancellare) la comunità sotterranea: e non mancano denunce verso sacerdoti non ufficiali che non aderiscono e che, quindi, con facilità possono poi essere arrestati.

La grande complessità della situazione — che da un lato vede la Santa Sede intenta a privilegiare un approccio dialogico e costruttivo, mentre dall’altro vede i cattolici della Chiesa non ufficiale in uno stato di allarme circa l’evolversi della vicenda — richiede un approfondimento serio e documentato. Nessun cattolico potrebbe dirsi disinteressato a quanto sta accadendo, né al livello della conoscenza dei fatti né al livello della propria preghiera. Per questa ragione Dialoghi ha voluto proporre ai suoi lettori un dossier sintetico che, oltre a questa introduzione, si compone principalmente di due contributi: un estratto del Messaggio di Papa Francesco ai cattolici cinesi e un commento all’accordo offerto da uno dei più grandi esperti internazionali della situazione della Chiesa in Cina, padre Bernardo Cervellera (Direttore dell’agenzia AsiaNews), che ringraziamo di cuore per la sua preziosa collaborazione.

 

Leggi anche il Messaggio del Santo Padre Francesco ai cattolici cinesi e alla Chiesa universale

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 20, NUMERO 1, Aprile 2019

 

Nato a Grottaglie (Taranto) il 20 agosto 1951, padre Bernardo Cervellera è missionario del PIME, laureato in Filosofia presso l’Università cattolica di Milano, è oggi giornalista e Direttore di AsiaNews. È stato redattore di “Mondo e Missione” a Milano per undici anni (1978‒1989), missionario ad Hong Kong (1989‒1995) e docente di Storia della Civiltà occidentale all’Università Beida di Pechino (1995‒1997); direttore dell’agenzia Fides delle Pontificie Opere Missionarie (1997‒2003); e infine, nella casa generalizia del PIME a Roma. L’agenzia sull’Asia da lui diretta registra da anni un successo mondiale. Basti questo dato: AsiaNews ha 13‒15mila “visitatori unici” al giorno, cioè circa 5 milioni all’anno. AsiaNews è l’unica agenzia di ispirazione cristiana specializzata sull’Asia e sulle grandi religioni, con corrispondenti propri in quasi tutti i paesi asiatici; è molto seguita dalle giovani e antiche Chiese asiatiche e, in particolare, dai cristiani di Cina. L’interesse per l’Asia, che ha più della metà degli abitanti del pianeta, dipende dal fatto che in questo continente vi è la massima concentrazione di non cristiani sulla terra (l’80%) e le Chiese sono minoranze piccolissime — spesso perseguitate — che non superano il 2%, salvo qualche eccezione. Bernardo Cervellera è inoltre autore di alcuni libri, tra i quali: Missione Cina. Viaggio nell’impero tra mercato e repressione (Ancora, 2006); Il rovescio delle medaglie. La Cina e le Olimpiadi (Ancora, 2008); Asia, la sfida del Terzo millennio (Cantagalli, 2013).