La corte dei colori
Una comunità di accoglienza dove la vita ri-fiorisce
(di Ettore Sartorio)
L’11 febbraio del 2011 nasceva l’Associazione Curtea Culorilor (in italiano, La Corte dei Colori) per opera di una missionaria laica italiana, Adriana Formenti, in Romania dal 2003. A Sarbova, un piccolo villaggio rurale di circa tremila abitanti, situato a 30 km dalla città di Timişoara, muoveva così i suoi primi passi una piccola comunità accogliente che ben presto sarebbe diventata un’impresa sociale al femminile e che offre gratuitamente casa, famiglia e lavoro a giovani donne impegnate in un cammino verso l’autonomia personale e sociale. Questa è la sua vera storia.

La vita di ogni persona è sempre un susseguirsi di piccole e grandi circostanze che, se ad uno sguardo superficiale possono apparire senza legami di significato, per ogni vera esperienza cristiana disegnano in realtà una imperscrutabile trama di relazioni con cui il Signore indica ad ognuno una strada che, se abbracciata dalla nostra libertà, ci rende consapevoli dei tanti doni ricevuti e dei compiti a cui siamo pertanto chiamati per rendere la nostra vita, e quella degli altri, sempre più ricca di umanità e di verità.
A noi pare questa la conclusione di una lunga intervista a cui Adriana Formenti ha accettato di sottoporsi, nonostante sia risaputa, per chi la conosce da tempo, la sua ritrosia a parlare di sé e della sua storia personale.
Solo l’accadere del decennale dell’Associazione Curtea Culorilor da lei fondata nel 2011 in Romania e la considerazione condivisa che la sua esperienza di vita possa essere, soprattutto oggi, una testimonianza significativa per alcuni attenti lettori, ha vinto la sua iniziale resistenza e ci ha dato modo di raccogliere le parole e le riflessioni che volentieri vogliamo condividere.
Per cominciare, vogliamo chiederti dove affondano le radici di quella che possiamo senz’altro chiamare la tua “vocazione missionaria”? L’hai sentita fin da piccola, nell’ambiente famigliare, nella frequentazione della parrocchia o di qualche persona in particolare, o altro?
Per tutta la mia infanzia e adolescenza ho frequentato una parrocchia di missionari, quella dei Padri Comboniani di viale Venezia a Brescia. La parola missione, accompagnata dalle storie e dalle testimonianze dei tanti missionari lì incontrati hanno accompagnato in un certo senso la mia prima crescita umana e cristiana.
Ho quindi assaporato fin da piccola il fascino e la bellezza di una vita cristiana che si donava agli altri, soprattutto ai più poveri, anche se devo subito aggiungere che dall’età di 14 e fino ai 33 anni mi sono poi allontanata dalla Chiesa senza più pensare a queste cose.
Qual è il motivo che ti ha allontanato dalla Chiesa?
I Padri Comboniani se ne erano andati dalla parrocchia che frequentavo e molte cose cambiarono in fretta. Avevo la sensazione che ci fosse troppa distanza tra le parole e i fatti; andavo ancora a messa, ma era divenuto un fatto abitudinario, formale, che non incideva sulla mia vita reale e quindi mi sono messa in cerca di altri lidi…
E poi?
Ho rischiato seriamente di perdermi, di non aver più fiducia in me stessa e negli altri, di non credere più alla possibilità per me di poter amare.
Un giorno però mi è capitato per caso di incontrare nuovamente uno dei Padri Comboniani conosciuto nella mia infanzia e dalle sue parole e dal suo sguardo che sprizzava felicità, ho intuito che forse ci poteva essere un modo diverso di amare anche per me.
Ma soprattutto sono stati fondamentali gli anni dell’incontro con i Padri Carmelitani del Castello e con l’esperienza del Movimento Ecclesiale Carmelitano, dove sono stata aiutata a capire che ad ognuno il Signore dà una vocazione, la possibilità di “un fidanzamento” con Lui, anche se io ero nella stessa condizione di due persone che si sono appena fidanzate ma ancora non sanno dove andranno ad abitare: il monastero? il convento? la consacrazione nel mondo? Quali di queste strade era per me?
In questo periodo, per vivere, lavoravi in un negozio in via Cavour a Brescia…
Esatto, avevo un negozio di bigiotteria che, dopo questi incontri, si è trasformato ben presto in un vero e proprio deposito di prodotti artigianali rumeni che vendevamo per finanziare la missione, appunto, in Romania. Nel frattempo avevo dato al Movimento la mia disponibilità a partire per la missione.
[ndr] Dopo aver condiviso con il Vescovo locale sul finire degli anni novanta la costruzione di un luogo di spiritualità come possibilità di formazione per il clero e i laici rumeni, nel 2000 alcuni frati carmelitani della Provincia Veneta partono per la Romania e vanno a vivere in un appartamento a Bucarest. L’anno dopo, Adriana va per la prima volta in Romania per 10 giorni con l’idea di capire se quello era il luogo del suo “matrimonio” con il Signore. Nel 2002 la possibilità di partire in missione si fa concreta con l’acquisto di un appartamento vicino ai frati e, finiti i lavori di ristrutturazione nel 2003, Adriana sceglie il 2 febbraio (festa della presentazione di Gesù al Tempio) come data di inizio della sua nuova avventura di vita.
Qual era il tuo stato d’animo in quei frangenti? Avevi tutto chiaro o ti sei affidata alla volontà del Signore?
La partenza, come ogni partenza, è comunque una rottura rispetto al passato, ma verso qualcosa che è quello che tu vuoi in quel momento o che Qualcun altro vuole per te.
Non posso certo dire che non avevo dubbi, ma al di là di tutto aderisci comunque a quello che senti sia la tua vocazione. Non è solo una scelta tua, ma è la risposta a Qualcuno che ti chiama.
Ti sei sentita chiamata dal Signore?
Ho sentito che quella era la mia strada e che quello era ciò che il Signore voleva per me in quel momento. È stata la risposta a quella domanda che sentivo fortissima dentro di me: dove sarà la mia casa con il Signore?
Fondamentale è stata poi la richiesta del Movimento di partite in missione, alla quale io ho aderito sin da subito perché lo scopo era comune: portare in terra di Romania il carisma carmelitano per intero, cioè frati, suore e laici, ognuno a partire dal proprio stato di vita: i frati come casa di spiritualità, le suore come sostegno quotidiano alle persone in difficoltà, i laici nella costruzione del Movimento anche tramite le opere di carità.
Come sono stati questi primi anni di missione in Romania?
I primi anni sono stati belli e difficili insieme perché ciò ha significato, come è facile intuire, un cambio totale di vita, di abitudini, di lingua e di cultura.
Inizialmente mi sono occupata di tutte le questioni burocratiche della vita del Movimento anche rispetto al Villaggio dei Ragazzi di Ciocanari, ma soprattutto di far nascere e crescere il Movimento. C’erano famiglie giovani che ruotavano intorno ai frati e si partecipava tutti insieme ogni giorno alla Santa Messa celebrata nel loro appartamento.
Il legame con il Vescovo locale mi ha permesso poi di avere il Santissimo nel mio appartamento a Bucarest, dove sono rimasta fino al 2011.
Quali le difficoltà più grandi che hai incontrato?
Scardinare una mentalità radicata in Romania, retaggio della loro storia anche recente, per cui si pensa e si dice che nessuno fa niente per niente. C’è sempre un interesse se uno fa qualcosa per gli altri.
Quello che noi stavamo facendo era invece totalmente gratuito, senza nessun secondo fine, ma ci sono voluti anni perché ciò venisse riconosciuto.
Oggi è cambiato qualcosa?
Noto che ci sono più persone rumene che si impegnano nel volontariato, soprattutto giovani. Anche la Chiesa favorisce esperienze di volontariato, anche dopo le vicende della pandemia, che ha impoverito ancor di più alcune fasce sociali.
Sta crescendo una sensibilità dei giovani in questa direzione, ma ciò avviene maggiormente per persone non credenti che frequentanti la Chiesa; molti dei volontari che sono passati da me sono spinti più da motivazioni sociali e umanitarie che non da una fede cristiana capace di farsi carico dei problemi dei più deboli.
Come nasce l’idea di fondare l’Associazione Curtea Culorilor a Sarbova? È stata una cosa improvvisa? C’è stata una gestazione che poi è sfociata in una nascita? L’iniziativa è stata solo tua o insieme ad altri?
Il Villaggio dei Ragazzi di Ciocanari, nato per accogliere ragazzi maggiorenni usciti dai centri statali, era in fase di trasformazione come luogo di accoglienza di minori in famiglia.
Anzitutto io non avevo una famiglia, vivendo da sola, e in secondo luogo, pur ritenendo importante il mio ruolo di supporto alla vita del Movimento a Bucarest non mi sentivo pienamente realizzata per il mio grande desiderio di implicarmi in un’opera sociale di carità.
Da un lato ero in relazione con il gruppo di ragazze uscite dall’orfanotrofio che abitavano nell’appartamento sotto il mio e dall’altro si andava facendo strada l’idea che fosse cosa necessaria avvicinarsi a una delle comunità più lontane del Movimento, tra le quali c’era anche quella di Timişoara; tra l’altro vicino a Timişoara io avevo acquistato tempo prima una casa, con i soldi della mia parte di eredità, che avevo regalato alla comunità come luogo di incontri e di vita.
[ndr] Adriana, anche per le insistenze degli amici della comunità di Timişoara, si reca a Sarbova per vedere una casa in vendita. La prima impressione istintiva, anche per la giornata grigia e piena di pioggia, non è delle migliori. Raggiunta a piedi la casa della comunità, tutta inzuppata, mentre si cambia, una voce amica le grida: «Vieni a vedere che bello!!». La vista le si apre su un grande arcobaleno che va a terminare sul tetto della casa poco prima visitata. La memoria di Adriana corre a molti anni prima, quando al termine di una uguale domenica piovigginosa lo scatto fotografico ad un bellissimo arcobaleno mostrò il suo legame con la Chiesa di San Pietro in Castello, luogo della sua rinascita.
Una semplice coincidenza? Un puro caso? O un segno provvidenziale in un tornante di vita che richiedeva una nuova scelta radicale? Quella casa a Sarbova è quella dove Adriana vive tuttora, dal 2011.
Da dove nasce il nome di Curtea Culorilor?
Evidentemente dall’arcobaleno e dai suoi colori; i colori sono tutti diversi, come ogni persona è diversa nella sua unicità, ma questo non preclude una grande armonia. Ma anche dal senso che ha la parola corte, cioè di un luogo che abbraccia, dove è possibile l’incontro accogliente, l’amicizia, la condivisione. Mi ricorda i cortili delle cascine dove i bambini si rincorrono felici sotto lo sguardo vigile degli adulti.
La tua è giuridicamente una associazione…
Si, la mia è una associazione che prevede l’accoglienza e la formazione umana e professionale di ragazze uscite dagli orfanotrofi al raggiungimento della maggiore età e comunque per donne in difficoltà; adesso sta diventando un’impresa sociale di inserimento lavorativo. In Romania delle ragazze maggiorenni non importa un bel niente a nessuno e quindi non ci sono servizi sociali dedicati.
Ma ci sono ancora gli orfanotrofi? Nessuno più ne parla.
Tanti! Da quando la Romania è entrata in Europa non ci sono più fondi per i progetti sociali. Insieme ai grattacieli delle grandi città è cresciuta anche la povertà, soprattutto nelle zone rurali, ma si fa finta di niente. Non ci sono strutture che accolgono e accompagnano le persone non autosufficienti e la sola alternativa è l’ospedale psichiatrico!
Come ti sei organizzata i primi anni?
Sono venuta qui con Gabriela, una delle ragazze che abitava nell’appartamento sotto al mio a Bucarest e che mi ha voluta seguire. Siamo partite da zero, pregando e lavorando per capire come dare un futuro a questa associazione e di conseguenza alla nostra vita.
C’è stato qualche momento in cui hai avuto paura di non farcela?
No, proprio paura di non farcela mai; il problema era capire la direzione esatta da prendere, le scelte da fare. Avevo ancora qualche soldino e c’erano tanti legami con la comunità di Timişoara, con gli amici di Punto Missione… Il problema era la direzione da prendere, cioè la tipologia di attività da sviluppare in grado di rendere autonoma l’associazione e sostenibile la nostra esistenza.
Ed è a questo punto che si impone la scelta della trasformazione del latte in formaggi per la vendita.
L’idea di fare i formaggi mi è scattata tramite Romano, un volontario mandato dall’Associazione XXIX Maggio, che ha lavorato anche a Ciocanari, originario della Vallecamonica, che ogni volta che veniva a trovarmi mi portava i formaggi di una sua amica. Da allora, tramite altri incontri e amicizie, ho cominciato a visitare vari caseifici, a capire le tecniche di trasformazione del latte e di produzione dei formaggi; ho poi avuto la fortuna di incontrare due persone rumene che con grande passione gestivano un’attività di commercializzazione, con contratti dal produttore al consumatore, che mi hanno permesso di far conoscere e apprezzare i nostri prodotti.
Nel 2018 ho fatto un progetto con una associazione rumena, Punto Missione e l’associazione S’Apre e ho potuto comprare un furgone che ci permette di essere presenti nei mercati, nelle fiere, nei festival. La nostra è una rete di vendita diretta legata ad associazioni che lavorano nel sociale. Oggi la vendita ci permette la sostenibilità economica dell’associazione.
Com’è la vita nella Corte?
È una piccola comunità con poche regole. C’è una routine saldamente necessaria per quanto riguarda l’attività lavorativa di produzione e vendita a cui seguono tempi liberi che si cerca non siano mai tempi morti. Io mi occupo della parte burocratica e contabile, altri pensano alla cucina per tutti; si fanno poi diverse attività formative talvolta gestite dalle persone che sono qui per il servizio civile tramite Punto Missione.
Nella prima casa abito io con i volontari presenti; in questo momento c’è Ilaria che è qui dal novembre 2020 e sta svolgendo il servizio civile. Abbiamo poi costruito una nuova casa con cucina e sala da pranzo per tutti e i laboratori da lavoro al piano terra, mentre al primo piano ci sono 6 camere e 4 bagni dove vivono attualmente Gabriela, Petronela, Roza con il suo bambino Dorian.
Da quello che ci hai raccontato si capisce che hai un carattere forte e una grande resilienza, unita ad una incrollabile fiducia nel Signore e all’appartenenza ad una storia di Chiesa che ti accompagna sempre.
Il Signore sceglie quelli di cui ha bisogno; c’era bisogno di una persona che sapesse fare un po’ di tutto e che non si ferma di fronte a niente fino a quando non le ha provate tutte!
Ti senti arrivata o hai ancora progetti per il futuro?
Arrivata no! Ho bisogno di capire come investire quello che oggi è un avanzo di gestione per poter sostenere altre persone; mi occorre trovare qualcuno che mi affianchi e che possa continuare l’opera quando io non lo potrò più fare, vista l’età! Ma per il momento mi godo la possibilità di avere avuto la cappella con il Santissimo, tramite il consenso del Vescovo locale.
Per finire, vuoi dire qualcosa ai giovani?
È difficile dire qualcosa ai giovani, se penso a me quando ero giovane… non ho ascoltato molto i consigli dei grandi! Una cosa però penso che valga la pena dirla, visto che ogni gesto, ogni scelta che nella vita si fa è rivolta a trovare l’amore, la felicità. L’Amore è uno solo per tutti, poi viene a noi attraverso qualcuno o attraverso una consacrazione particolare… Amiamo prima l’Amore e poi il resto ce lo donerà Lui. Perché questo succeda credo però che ci sia bisogno di adulti “affascinanti” e che sprizzino felicità da tutti i pori!!
Grazie Adriana, da parte di tutti gli amici di Punto Missione, perché quello che fai a Curtea Culorilor continua a dare senso anche al nostro impegno.
Per conoscere e sostenere Curtea Culorilor visita il sito https://www.puntomissioneonlus.org/progetti/curtea-culorilor-romania/
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 22, NUMERO 2, Aprile 2021