Intervista alla dott.ssa Mariolina Ceriotti Migliarese (a cura della Redazione)
Nella nostra società complessa il cosiddetto “sesso forte” si sta rivelando, spesso, quello più fragile. Accade di vedere oggi maschi oscillanti tra narcisismo e aggressività, tra solitudini e dipendenze, disorientati di fronte alle sfide che li attendono, prima tra tutte la paternità. Dalla sua esperienza di psicoterapeuta, Mariolina Ceriotti Migliarese ha studiato l’universo dei maschi in una prospettiva femminile, evidenziandone le criticità e le molte risorse. Le abbiamo così rivolto alcune domande.

Il concetto di mascolinità è cambiato molte volte nel corso dei secoli, ed è diverso anche di Paese in Paese. Anche alla luce degli attuali processi di ridefinizione del genere, si può pensare a qualcosa di oggettivo o la natura del maschile (come quella del femminile) è qualcosa che non deve avere una definizione?
Nella cultura attuale, dominata dall’utopia del neutro, non è facile comprendere il valore profondo della differenza tra maschile e femminile. Eppure, è una differenza che incontriamo continuamente, perché essere maschi o femmine non è una semplice qualità dell’essere, ma una sua specificazione, che, a partire dal corpo, investe anche la psiche e, io credo, persino il modo in cui ci relazioniamo con il soprannaturale. Il cuore ultimo della differenza si trova nella diversa modalità in cui il corpo maschile e femminile contribuiscono al processo generativo; come diceva Aristotele, il femminile è ciò che genera all’interno del proprio corpo, il maschile ciò che genera all’esterno del proprio corpo, nel corpo femminile. Il dato sessuale ci fa differenti e irriducibili l’uno all’altra; ma ci fa anche necessari l’uno all’altra di fronte al compito creativo per eccellenza: generare un figlio.
Siamo fatti di natura e cultura insieme. Se la natura ha dei limiti ben precisi, la cultura invece li può abbattere e ridefinire in continuazione, con esiti più o meno rigidi. Come capiamo cosa vale la pena tenere buono, cosa è sano e costituisce un modello che non perde valore nel tempo?
La natura ci fa maschio e femmina, la cultura ci guida ad essere uomini e donne, secondo canoni che possono essere anche molto differenti. Ma c’è qualcosa (che è insieme biologico, culturale e valoriale) che rimane stabile nel tempo: la piena maturazione del maschile è l’attitudine alla paternità, mentre la piena maturazione del femminile si confronta con il tema della maternità.
Nessuna donna può diventare padre e nessun uomo madre. Non si tratta di una cosa connessa direttamente con il fare bambini, ma di quel processo maturativo che ci guida ad uscire dalla dimensione puramente narcisistica per farci andare al di là di noi stessi; l’uomo e la donna lo fanno attingendo a risorse differenti, a differenti “temi” principali.
Quali sono le caratteristiche peculiari del maschile che lo differenziano dal femminile?
Il “tema” centrale del maschile è a mio avviso quello della “potenza”.
Il corpo del maschio è pre–disposto alla potenza: la sua capacità generativa dipende infatti dalla possibilità di “essere potente” per penetrare il corpo della donna e fecondarla con il suo seme. Una potenza generosa e abbondante, un principio generativo buono che chiede di essere accolto per prendere forma autonoma nel mondo. Sul piano simbolico, il tema della potenza è centrale per l’immaginario maschile: una potenza in senso allargato, non fine a se stessa, ma funzionale a generare qualcosa di vitale, che possa arricchire la realtà con il dono del proprio contributo creativo. Il vero benessere psichico dell’uomo si fonda su questa possibilità di seminare nel mondo cose buone con generosità.
Per questo, amare una donna non è mai compito sufficiente per un uomo: l’uomo ha bisogno anche di andare al di là della relazione e di lasciare nel mondo qualcosa di sé che sia significativo e gli sopravviva. Anche la donna arricchisce il mondo di ciò che genera, ma il cuore della donna è, come diceva Edith Stein, «…orientato verso ciò che è vivo e personale e verso l’oggetto considerato come un tutto. (…) Ciò che non ha vita, la cosa (che motiva il maschio all’azione) la interessa solo in quanto serve al vivente e alla persona». Si tratta dunque di accenti diversi, complementari ed entrambi indispensabili, che devono imparare a collaborare e non a contrapporsi.
“La potenza, cuore del maschile”: né prepotenza né impotenza ma forza creativa che si misura con la realtà. Come si trasmette ad un figlio la bellezza di essere maschio/uomo?
La bellezza si trasmette sempre per contagio, in tutti i campi. La bellezza dell’essere maschio/uomo arriva ad un figlio soprattutto attraverso gli occhi della madre che guarda con rispetto e amore l’uomo che ha sposato, e guarda con rispetto e amore il figlio maschio: lo ama non solo perché figlio, ma lo ama nel suo essere maschio, nel suo essere differente da lei, portatore di ciò di cui anche il padre è portatore. Per essere fiero di sé il bambino ha bisogno che la madre sia fiera di lui, che gioisca della sua mascolinità. Ma ha bisogno anche che la madre sia contenta della propria femminilità, perché solo così può rispettare e apprezzare il maschile senza contrapposizione.
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Come dicevo prima, la nascita di un bambino rende l’uomo papà, ma diventare padre richiede tempo: padre infatti non è solo colui che genera, ma colui che si prende cura di favorire lo sviluppo autonomo di chi ha generato, e lo fa pienamente suo erede. Quando sviluppa competenze paterne, l’uomo impara ad avere cura di ciò che ha generato, a dargli valore, a proteggerlo: il padre è anche un custode, perché conosce il valore di ciò cui ha dato vita.
La vera dimensione eroica della figura paterna passa dal quotidiano: il padre non è altro che un ragazzo diventato uomo, con tutte le sue difficoltà e i suoi limiti, che impara poco alla volta ad allargare il focus della propria vita al di là di sé. È un lungo allenamento alla generosità, che dura tutta la vita: inizia quando il giovane papà accetta che il bambino appena nato rubi un po’ della sua donna, e continua giorno dopo giorno nella fatica di non essere capito quando lo corregge per cercare di insegnargli il bene.
La generosità del padre è necessaria per accettare che il figlio cerchi la propria strada, ma anche per supportarlo affinché crescendo diventi migliore di lui.
Il papà diventa padre quando lascia al figlio la giovinezza, perché accetta di invecchiare; lascia al figlio il lavoro, perché va in pensione; lascia al figlio di generare, perché lui accetta di morire. Un padre che lascia al figlio la sua azienda lasciandolo libero di innovare a modo suo; un padre che lascia che il figlio diventi un bravo infermiere quando lui è notaio; un padre che ascolta ciò che il figlio ha da insegnargli: questi sono uomini davvero generosi.
Per questo la paternità è la vera pienezza del maschile, e non si improvvisa: richiede tempo, pazienza, adattamenti, errori. Per questo la paternità esige sempre rispetto e riconoscenza, qualunque siano le concrete e imperfette caratteristiche umane dell’uomo che prova a essere padre.
Uomini che uccidono donne, le loro mogli, le loro fidanzate: qual è secondo lei il problema? Sembra esserci una crisi maschile verso il mondo femminile…
Questi gesti estremi sono segnali di una deriva patologica della potenza maschile: segnali, insieme, di prepotenza e di impotenza. Sono i segnali di un fallimento. Anche senza arrivare a questi estremi, l’uomo che compie gesti di prepotenza nei confronti della donna è rimasto prigioniero di un modello di relazione con il femminile che è di tipo infantile.
Il primo sguardo dell’uomo su una donna è lo sguardo del bambino sulla madre, cioè su colei che accoglie e soddisfa i bisogni. La dimensione infantile dello sguardo è una dimensione appropriativa, talvolta predatoria: la donna, con i suoi attributi femminili, è in continuità con la madre fornitrice di cibo e capace di soddisfare il desiderio. Se l’uomo non sviluppa uno sguardo diverso, la donna rimane per lui prevalentemente un oggetto, che accende il desiderio e ha il compito di soddisfarlo: anche se si dichiara innamorato, il suo non è uno sguardo che riempie, ma uno sguardo che prende e svuota.
Si tratta di personalità infantili e narcisistiche, che spesso cercano nella donna una conferma ad un maschile poco autonomo e che si percepisce come poco potente.
Lo sguardo adulto dell’uomo sa cogliere una dimensione diversa, e vedere nella donna un’altra persona, con i propri inviolabili desideri e pensieri; una persona di sesso femminile, come la madre. Ma se la madre è colei da cui il figlio prende, la donna è colei che grazie a lui e al suo dono maschile potrebbe diventare madre.
Che ruolo hanno le madri nell’educazione dei figli maschi? È un tipo di educazione diversa rispetto a quella per le figlie femmine? E qual è il ruolo del padre nell’educazione del maschio?
Sul piano educativo, i genitori non hanno obiettivi diversi per i maschi e per le femmine: desideriamo per entrambi che crescano liberi e capaci di discernimento, rispettosi di ogni persona, e pronti a comprendere la propria vocazione e a rispondere al suo richiamo. Ma se la madre offre alla figlia un’immagine del femminile da cui partire e con cui confrontarsi, per il maschio è il padre a svolgere questo ruolo. Nessuna donna può insegnare al figlio a diventare un uomo: il suo compito è di non trattenerlo, di non imprigionarlo affettivamente a sé, ma di incoraggiarlo a volgere lo sguardo verso il padre e verso il mondo dei maschi; il compito è mostrarsi fiera del bambino che cresce e diventa progressivamente più autonomo. Il maschio fa fatica a separarsi dalla madre se avverte in lei troppo dolore per questa separazione.
Essere buona madre di maschi significa avere braccia sempre aperte, per accogliere senza mai trattenere; significa anche aiutare il padre a capire meglio il valore della propria presenza nella vita del figlio. Il padre deve “portare il figlio con sé”, passargli competenza senza sostituirsi a lui, incoraggiarlo a sperimentarsi, dargli fiducia. Il padre è colui con il quale il figlio impara a misurarsi, spesso a partire dall’alleanza per le attività fisiche, gli sport, la lotta giocosa. Per un maschio l’attività fisica non è solo fonte di benessere, ma supporto alla scoperta della propria identità, che si appoggia fortemente sulla percezione di competenza corporea. L’importante è che il padre non mortifichi mai il figlio, ma lo incoraggi e lo stimoli a non temere il confronto con la fatica e qualche volta anche con l’insuccesso.
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 22, NUMERO 5, Dicembre 2021
Mariolina Ceriotti Migliarese è medico, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta. Vive a Milano, dove lavora come Specialista presso l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale Melegnano–Martesana ed esercita attività privata come psicoterapeuta per adulti e coppie. Da molti anni si occupa di formazione di genitori e insegnanti attraverso conferenze e articoli su tematiche inerenti alla famiglia. Sposata nel 1973 ha sei figli. È autrice per le edizioni Ares di: La famiglia imperfetta (2010), La coppia imperfetta (2012), Cara dottoressa. Risposte alle famiglie imperfette (2013), Erotica & materna. Viaggio nell’universo femminile (2015), Maschi. Forza, eros, tenerezza (2017). È coautrice dei libri Il sostegno alla genitorialità (Franco Angeli 2011), La preadolescenza (Franco Angeli 2013), Essere leader al femminile (SDA Bocconi 2017). Risposami! Crisi & rinascita della coppia (2020), L’alfabeto degli affetti (2021).