Intervista alla Prof.ssa Lucia Vantini
(a cura di P. Fabio Silvestri ocd)
Sono passati quasi quarant’anni da quando anche in Italia le donne sono state ammesse a frequentare le Facoltà Teologiche: era il 1965. Da circa vent’anni avevano visto riconosciuto il loro diritto di voto politico e da qualche anno anche per loro l’istruzione primaria era diventata obbligatoria. Oggi, invece, dopo circa mezzo secolo, la presenza delle donne nelle Facoltà Teologiche italiane è un fenomeno crescente e, soprattutto, significativo, che contribuisce a precisare i lineamenti della chiesa uscita dal Concilio Vaticano II. Non sono poche, infatti, le teologhe che insegnano in quelle Facoltà nelle quali hanno conseguito i titoli accademici e che fanno parte a pieno titolo delle diverse Associazioni teologiche specialistiche. Il Coordinamento delle Teologhe Italiane (CTI), nato nel 2003, intende dotare il panorama teologico italiano e l’intera comunità ecclesiale di un ulteriore ambito di ricerca specialistica e di un ulteriore strumento di confronto e di scambio, in particolare in prospettiva ecumenica. Con Dialoghi abbiamo incontrato la Presidente del Coordinamento, la prof.ssa Lucia Vantini (alla quale chi scrive è legato anche da un’amicizia di vecchia data), per conoscere e approfondire il senso e l’ampiezza di quella ricerca teologica che oggi vede le donne protagoniste.

Immaginando di rivolgersi a lettori che conoscono solo parzialmente la storia e le ragioni di una “teologia al femminile”, le chiediamo innanzitutto come sia nato questo indirizzo di studio e di pensiero cristiano.
Le teologie delle donne — plurali e definite in tanti modi diversi: al femminile, femminista, di genere — trovano la propria radice esplicita negli anni Sessanta del secolo scorso. Tuttavia, non appena ci si addentri un po’ nel loro panorama, si scoprono diverse forme di anticipazione disseminate nei secoli precedenti, e che potrebbero addirittura riportarci indietro fino ai testi delle mistiche. Non è stato e non è ora un percorso lineare: come si può leggere nel libro Incontri, scritto da Elizabeth Green e da Cristina Simonelli, si tratta per certi aspetti di un fiume in piena non facile da navigare, perché a volte diventa carsico, presenta diverse correnti e sbocca in mari su cui si affacciano terre anche molto eterogenee tra loro. In questa complessità, la memoria spesso si perde e gli inizi sono da raccontare sempre di nuovo, come se fosse difficile farne tesoro o trattenerli nel tessuto delle parole che abbiamo in comune. La sorgente delle teologie femminili e femministe è comunque facilmente riconoscibile: sta in quell’esperienza di disagio e di desiderio che ha portato le donne ad avvertire un’assenza, una ferita e un’energia nuova per raccontare della loro relazione con il divino, con la Scrittura, con la vita.
La teologia femminista cristiana si rapporta in modo dialogante e insieme critico nei confronti del femminismo moderno: quali sono le possibili vicinanze e quali le necessarie distanze?
I femminismi sono tanti e sono pure molto diversi: tra donne non mancano i conflitti, così come non mancano le buone alleanze. Anche oggi questa pluralità è ben riconoscibile, dentro le chiese e fuori dalle chiese. Sul versante delle vicinanze, possiamo notare che le teologie femministe cristiane concordano con i femminismi intersezionali contemporanei su un elemento importante: non solo le donne, ma tutti i soggetti emarginati dovrebbero sentirsi compresi e coinvolti nei processi di cura e di fioritura della vita. Per noi teologhe, ciò significa che quel bambino di nome Gesù nasce ancora una volta ai margini della storia. Non è questa una vera e propria distanza con altre prospettive, ma è piuttosto un segno di differenza che non porta con sé alcun vanto. Sappiamo infatti che nella creazione delle periferie nessuno può dirsi innocente, credente o non credente che sia. Un confronto critico su questo, dentro e fuori i confini delle nostre chiese, non dovrebbe mai mancare.
Con riferimento in particolare alla Scrittura, come tenere insieme l’aspetto storico dei testi scritti (maturati anche in contesti patriarcali) e un messaggio teologico–spirituale che va anche al di là di quei confini? E in che senso, quello femminile, non è semplicemente “un tema”, ma un approccio in cui la donna è “soggetto” del lavoro teologico?
La Scrittura cristiana risente inevitabilmente delle condizioni storiche di chi ha cercato e ricevuto parole ispirate. Tra queste condizioni, possiamo facilmente riconoscere il vizio patriarcale e — come si dice oggi, dopo il crollo dell’autorità dei padri — la perversione fratriarcale. In questa storia ferita da logiche troppo umane, le donne sono presenti sia come destinatarie della salvezza sia come profetesse e annunciatrici, anche se è più facile ricordarsi delle prime piuttosto che delle seconde. È però venuto il tempo di andare oltre. La storia evangelica, in fondo, è tutta uno s–confinamento: Gesù non teme di attraversare e superare la linea che separa giusti e peccatori, sacro e profano, uomini e donne arrivando addirittura ad abbattere il muro tra la vita e la morte. Il Regno di quel Dio che lo ha mandato, e per la cui venuta ancora oggi preghiamo, non può che essere ospitale. Radicalmente ospitale, direi. Per questa radicalità, la questione delle donne nella Chiesa non si risolve con una possibile inclusione in uno spazio che rimane identico, ma è anzitutto una questione di ospitalità per le loro parole, le loro pratiche e le loro esperienze.
Si è parlato molto del “genio femminile” per dirne la differenza e la complementarietà rispetto a quello maschile. In senso più ampio, quali sono le dimensioni e i simboli più tipici del modo in cui la donna vive e sente la relazione con il Divino? Qual è, in proposito, il rilievo della figura di Maria?
Il modello del “genio femminile” è un boomerang per una chiesa che voglia essere costruita sulla sinergia di fratelli e sorelle. Idealizzare le donne non è mai bene, perché così le si rende evanescenti e irrilevanti. Le si mette su un piedistallo che inchioda i loro passi e poi si chiede loro di stare in una posa impossibile, dettata da pressioni e aspettative che di fatto si rivelano patriarcali. Complimenti esagerati producono persone schiave, e le donne elogiate in questo modo così ideale spesso si smarriscono nel desiderio altrui. È così che nelle nostre chiese si trovano ancora diverse donne dissolte nella cura, nel sacrificio e nell’abnegazione di storie sbagliate, magari per somigliare a una Maria muta che non ha alcun legame con le sovversioni del Magnificat. Accanto a loro, però, ci sono donne — magari più difficili e più scomode — che hanno grande confidenza con il mistero e che parlano, decidono e agiscono con un’autorità imprevista venuta da quella stessa confidenza. Quando dunque mi chiedono quale sia la specificità teologica, intellettuale, affettiva delle donne, rispondo sempre con una contro–domanda: ma perché non ci chiediamo mai quale sia la specificità teologica, intellettuale, affettiva degli uomini? Non si tratta di una provocazione fine a sé stessa, ma di un rilancio: il mondo maschile è chiamato oggi a riscoprire la parzialità del proprio discorso, del proprio sguardo, del proprio posizionamento: è solo così che ci sarà posto per noi, reali compagne di viaggio.
La vita della Chiesa è stata declinata per secoli secondo il linguaggio e il sentire “maschile” e questo orientamento è attualmente oggetto di forti istanze critiche. Oggi, tuttavia, è in atto anche una riscoperta del valore e della differenza della donna al livello della ricerca storica, capace di recuperare il vissuto prezioso di molte figure femminili (sconosciute o già note), che hanno illuminato in modo speciale il loro tempo e le relative dinamiche socio–culturali. Quali esempi significativi si potrebbero citare?
Le tradizioni patriarcali sono certamente in crisi, anche se qualcosa di quel mondo passato ancora resiste, come per esempio alcune forme di paternalismo e di clericalismo, o certi atteggiamenti da fratello maggiore un po’ troppo sicuro di avere ragione. Tuttavia molte trasformazioni sono già avvenute e hanno avviato un nuovo immaginario. Anche sul piano teologico i risultati non mancano: penso anzitutto al lavoro esegetico sui personaggi femminili nelle Scritture e nella tradizione — su cui ormai ci sono tantissime pubblicazioni (cfr. www.teologhe.org/pubblicazioni) —, al ripensamento creativo dei trattati teologici in chiave di genere (penso in particolare alla collana Exousia del Coordinamento delle Teologhe Italiane), ma anche ai tentativi di rilettura di temi attuali come quello della crisi ambientale e climatica, che ci ha ispirato nel corso online di quest’anno, dedicato appunto alle eco–teologie delle donne (www.teologhe.org/corso-teologia-delle-donne). Il materiale da discutere, dunque, non ci manca.
Lei è oggi Presidente del CTI, il Coordinamento delle Teologhe Italiane: può dirci in breve qual è il lavoro della vostra Associazione e quali sono gli obiettivi principali del vostro progetto?
Il Coordinamento delle Teologhe Italiane è ecumenico e riunisce donne che — in diverse condizioni lavorative, esistenziali e ministeriali — studiano, discutono, scrivono e testimoniano la ricchezza del vangelo con una scommessa precisa: che la loro differenza liberata possa essere un punto di osservazione privilegiato per smascherare i pregiudizi di genere e per riscoprire il tesoro della sapienza femminile che la nostra storia ha spesso sotterrato e tradito. Nel CTI, aggiungo, ci sono anche uomini particolarmente sensibili a questa storica distorsione. Sono uomini consapevoli della loro parzialità, uomini che si domandano quale maschilità oggi sia necessaria al vangelo e, in generale, alla giustizia del mondo. Con loro noi vogliamo fare alleanza.
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 23, NUMERO 4, Dicembre 2022
Lucia Vantini, nata a Verona il 17 gennaio 1972. Sposata con Alberto dal 1995 e con tre figli: Matteo, Anna e Chiara. Ho una formazione sia filosofica sia teologica e cerco di incrociare le due discipline. Da giugno 2021 sono presidente del Coordinamento delle Teologhe Italiane. Insegno Teologia Fondamentale e Filosofia della Religione all’Istituto di Scienze Religiose a Verona, Antropologia Filosofica e Teologica allo Studio San Zeno di Verona. Le mie ultime pubblicazioni sono Il segreto dell’alba, per Nerbini (2020), e Educazione per ITL (2022).