(Lella Tomasini)

Non a destra, non a sinistra, non al centro, ma in alto
Don Primo Mazzolari
Direte che non c’è un alto in politica e che, se mai, vale quanto la destra, la sinistra, il centro. Nominalismo mistico in luogo di un nominalismo politico: elemento di confusione non di soluzione.
È vero che una nuova strada non cambia nulla se l’uomo non si muove con qualche cosa di nuovo, e che un Paese può andare verso qualsiasi punto cardinale e rimanere qual è. Ma se gli italiani fossero d’accordo su questo fatto, la fiducia della toponomastica parlamentare sarebbe felicemente superata.
Fa comodo ai neghittosi credersi arrivati per il solo fatto di muoversi da destra invece che da sinistra. Saper la strada o aver imbroccato la strada giusta non vuol dire camminarla bene o aver raggiunto la mèta.
Il fariseismo rivive in tanti modi e temo che questo sia uno dei più attuali.
La giustizia è a sinistra, la libertà al centro, la ragione a destra. E nessuno chiede più niente a sé stesso e incolpa gli altri di tutto ciò che manca, attribuendosi la paternità di ogni cosa buona.
Non dico che siano sbagliate le strade che partono da destra, da sinistra o dal centro: dico solo che non conducono, perché sono state cancellate come strade e scambiate per punti d’arrivo e di possesso.
La sinistra è la giustizia – la destra è la ragione – il centro libertà. E siamo così sicuri delle nostre equazioni, che nessuno s’accorge che c’è gente che scrive con la sinistra e mangia con la destra: che in piazza fa il sinistro e in affari si comporta come un destro, che l’egoismo di sinistra è altrettanto lurido di quello di centro, per cui, destra, sinistra e centro possono divenire tre maniere di «fregare» allo stesso modo il Paese, la Giustizia, la Libertà, la Pace?
L’alto cosa sarebbe allora?
Una destra pulita, una sinistra pulita, un centro pulito, in virtù di uno sforzo di elevazione e di purificazione personale che non ha nulla a vedere con la tessera.
Come ieri per la salvezza non contava il circonciso né l’incirconciso, così oggi non conta l’uomo di destra né l’uomo di sinistra, ma solo la nuova creatura: la quale lentamente e faticosamente sale una strada segnata dalle impronte di Colui, che arrivato in alto, si è lasciato inchiodare sulla Croce a braccia spalancate per dar la sua mano forata a tutti gli uomini e costruire il vero arco della Pace.
(Don Primo Mazzolari, “Adesso” Anno 1° n. 3, Martedì 15 febbraio 1949)
Questa democrazia
Don Primo Mazzolari
Mi dovrei vergognare di porre in maniera quasi fascista un problema che di solito vien espresso in termini opposti. Di questa spregiudicatezza, che non è solo verbale, prendo atto prima che mi venga rinfacciata.
Tra un disordine democratico ed uno di marca opposta non faccio differenza.
Non mi interessano i regimi: mi interessa l’uomo, unicamente l’uomo e la sua salvezza. Parlo di salvezza temporale, introduzione a quella eterna. Se fui antifascista fin dall’inizio, se lo sono tuttora e fortissimamente senza rimpianti e senza guadagno, la ragione è una sola: il fascismo spegne l’uomo.
Se ho creduto e credo nella democrazia gli è perché ci ho visto e m’ostino a vederci , nonostante tutto, la salvezza dell’uomo.
Ma questa democrazia, l’aria di questa democrazia che ci viene da Parigi come da Mosca, da Londra come da Roma, da Asti come da Reggio Emilia e dall’ultimo comune d’Italia, non è l’aria dell’uomo. E molti pretendono che si mostri un volto contento e che inneggiamo alle nostre felici e progressive sorti!
No, vi diciamo che stiamo male, tanto male. Ma non soltanto perché non c’è da mangiare abbastanza, poche scarpe, pochi vestiti, poche case, poco lavoro, poco di tutto ciò che soddisfa il bisogno primordiale e aiuta a fare l’uomo. Anche se avessimo tutte le cose di cui sopra e altre in aggiunta, se non ho l’uomo, la democrazia, benché solennemente dichiarata dalle costituzioni, è niente.
Come si può salvare una cosa che non abbiamo? Non dico che non esista, non dico che non possa esistere, dico che almeno noi non l’abbiamo ancora, e forse anche altri, almeno in quella quantità e di quella qualità che decantano.
Credo che nessuno mi voglia far credere che tutta la democrazia consista nel fatto che uno può dire o stampare un’opinione diversa dagli altri. (…) Democrazia è riconoscere che al mondo ci siamo in tanti e con diritti uguali e che c’è posto per tutti se glielo lasciamo: e pane. E aria, e terra e acqua per tutti, se non glielo rubiamo o distruggiamo. Democrazia è far vivere… Il modo di uccidere non importa. Se ti ammazzo con mitra sono forse antidemocratico? E se ti ammazzo con portafoglio, secondo la regola della buona creanza borghese, sono forse democratico?
Democrazia vuol dire non soltanto le strade sicure, le banche sicure, ma anche il pane, anche la giustizia, anche il lavoro sicuro. Vuol dire far lavorare e aver voglia di lavorare per non essere a carico di nessuno, finché ci possiamo provvedere da noi; che non ci deve essere uno Stato che fa tutto e dei cittadini che si lasciano far tutto, quasi fossero pensionati o mantenuti.
Democrazia vuol dire che l’andare in chiesa o il non andarci, avere un’opinione o un’altra, quando è un’opinione da galantuomo, si possa averle senza essere messi alla berlina.
Democrazia vuol dire… facciamo punto. Credo che gli accenni bastino a persuaderci che da noi la democrazia è una sconosciuta… da noi e… fuori.
C’è molta baraonda, molta anarchia, nessuna voglia d’andar d’accordo da una parte, dittature progressive dall’altra, e uno star bene da difendersi a qualunque costo in altri Paesi. Ma lo star bene non è democrazia. Vi sono famiglie mal congegnate che tirano avanti rispettosamente perché lui e lei e i figli possono spendere e spandere. Sol per questo sembrano persone per bene. Noi, che siamo affamati ed umiliati, ci cazzottiamo e ci spariamo, e siamo tentati d’andare a prendere aria sui monti, col mitra a tracolla. Il gentiluomo può starci senza l’uomo (almeno certi gentiluomini di nostra conoscenza), mentre la democrazia non ci può stare senza l’uomo. Quindi urge salvare l’uomo, non la democrazia. Non si salva né si fa democrazia perdendo l’uomo, come veniamo facendo in Italia e dappertutto.
Non mi spaventano le strade poco sicure, l’ordine che non c’è, la giustizia che non c’è; mi spaventa il declino, la scomparsa, la morte dell’uomo. Sta spegnendosi la dinastia che vale più di ogni altra, la sola che ha diritto di regnare, l’unica che possiede le chiavi del regno di Dio.
Antropocentrismo? No, umanesimo senza mutilazioni, né in basso, né in alto. Democrazia, ordine, giustizia, pace, libertà, benessere… se manca l’uomo, miti pericolosi che ci riportano nel mondo della violenza. Neanche la felicità si impone. Nessuna più grande infelicità di una felicità comandata. L’eccessivo potere dello Stato, dei partiti e delle fazioni non è che la misura del crescente spegnimento dell’uomo. Il temporale si impossessa di tutto ciò che lo spirituale abbandona.
Oggi gli uomini non si uniscono più per volersi bene di più, ma per garantirsi contro il rischio di vivere. Se pretendiamo per mezzo dello Stato o della chiesa o del partito di garantirci contro i rischi legittimi e indispensabili che non si possono rifiutare senza disonorarci, un uomo non è più un uomo, ma un gregario.
Bisogna resistere all’istinto gregario che è una creazione allucinante di tutti i dominatori di marca reazionaria o progressiva. Lo Stato, continuato in questo modo, che è poi lo Stato di ieri e di oggi, non ha che un rivale, l’uomo.
Non l’uomo reazionario, brutale e stupido, non l’anarchico intellettualoide, non il comunista fanatico e barricadero, ma l’uomo capace di imporre a sé stesso la sua disciplina, senza riceverla da nessuno.
Ciò che fa paura ai gerarchi di tutti i regimi è l’uomo, la cui vera soddisfazione è di fare, nel bene, ciò che vuole e nell’ora da lui scelta, pagando con la solitudine e la povertà la testimonianza della sua interiore libertà. La democrazia ha bisogno di tali uomini, che si donano o si rifiutano, ma che non si vendono o si conformano per non essere scomodati.
Chi ci salverà da questa democrazia, che come la dittatura, per far più presto a riportarci verso un totalitarismo universale non può sopportare che uomini mediocri?
Bernanos dà voce alla mia certezza: «Tra questo immenso gregge e il totalitarismo universale, via senza uscita in cui sta per ingolfarsi la storia, non ci siamo che noi, cristiani, non per fermarlo, ma per riceverlo al passaggio. Noi siamo l’ultima tappa prima del lavoro senza scopo della distruzione senza limiti, della servitù senza scampo».
(25 settembre 1946)
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 23, NUMERO 3, Settembre 2022