Il rapporto con il tempo nella relazione educativa

(di Luca Sighel)

Più voci nel campo pedagogico ed analisi di carattere sociologico individuano nel “tempo” una di quelle categorie che la società del XXI secolo sta perdendo perché la rivoluzione comunicativa ne sta mutando i confini, i caratteri e i limiti. Ogni educatore deve fare i conti con una percezione e rappresentazione del tempo in rapida evoluzione. In molti contesti vi è una corsa al risparmio di tempo, a velocizzare processi, a riconfigurarne la durata: anche l’educazione ne deve essere coinvolta? Qual è il rapporto con il tempo nella relazione educativa?

“Dove sono i figli?”

Con questo interrogativo si apre il capitolo settimo dell’ultima esortazione apostolica di Papa Francesco, Amoris Laetitia, dedicato all’educazione, passato forse in secondo piano rispetto ad altri punti, che hanno conquistato le prime pagine dei giornali.

La domanda si articola ed approfondisce, specificandosi non come un quesito che richiama al controllo sui luoghi o gli spazi frequentati dai giovani, quanto come indagine su dove i figli siano esistenzialmente: “Dov’è realmente la loro anima, lo sappiamo? E soprattutto: lo vogliamo sapere?”.

E si riafferma, come spesso negli ultimi interventi del Santo Padre, il principio per cui il tempo è superiore allo spazio: “Se un genitore è ossessionato di sapere dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia”. Come a dire che per fare questo è necessaria una delle categorie più significative nel processo e nella sfida educativa: il tempo.

Educare ai piani temporali

Domandarsi in che modo la dimensione temporale, che avvolge e coinvolge ogni istante del nostro esistere e vivere, possa influenzare e costruire la prassi educativa, significa inserirsi certamente in un filone di ricerca che attraversa il pensiero di tutte le epoche; andare in cerca di una risposta mette in gioco e testimonia soprattutto quale sia la concezione dell’esistenza e del destino in cui si crede e in cui ci si muove.

La nostra epoca maltratta il tempo, ne sta mutando la percezione e il giudizio: il tempo è sempre di più considerato un ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo, un rallentamento della possibilità di dire, comunicare, e forse anche vivere, un’obiezione allo sviluppo, alla libertà e alla creatività. La categoria del tempo deve invece recuperare credibilità, dignità, autorevolezza.

La ricerca della velocità, quando non dell’immediatezza, della “connessione in diretta”, nella comunicazione come nelle relazioni, sta avendo come primo effetto una drastica riduzione, se non una progressiva eliminazione, dei tempi di riflessione. Contemporaneamente la febbre del consumo di fatti, notizie, news assottiglia lo spessore del tempo, togliendo valore ad oggetti, luoghi e ruoli.  Forse il primo punto da considerare è orientarsi a recuperare ed educare ai tre piani temporali (passato, presente e futuro), ciascuno dei quali porta con sé uno stadio di consapevolezza e di identità non negoziabile.

Continua a leggere

“Educare al passato” significa cercare la profondità e la memoria, avvicinare alla tradizione, facendo crescere la consapevolezza dello spessore, anche storico, della realtà individuale e collettiva, formare alla dimensione dell’intimità, facendo crescere la coscienza della storia personale ed individuale.

“Educare al presente” significa invece manifestare disposizione e disponibilità ad investire nell’impegno, nella partecipazione, senza cadere nella trappola del tutto e subito, lasciando crescere la pazienza, controllando passione e patimento e sviluppando un ardore incessante ed un tenace amore alla realtà, pur con tutte le sue complessità e contraddizioni.

“Educare al futuro”, infine, è nutrirsi di promesse, coltivando la speranza e la pace, sapendo dare credito e profondità all’avvenire. È saper rischiare. Sempre più spesso ci viene suggerita, attraverso i media, l’idea di un futuro che ci minaccia, che ci sovrasta, ci pone in pericolo e ci impedisce di confidare nel cambiamento,  nell’innovazione e nell’immaginazione di progetti e desideri.

È necessario contrastare la crescente sensibilità che il tempo sia solo un progressivo processo di invecchiamento e un lento quanto inesorabile decadimento e corruzione, che ci incute paura. Il tempo invece è donato, il tempo è una costruzione di libertà, è, come afferma il documento pontificio, uno spazio che va cercato, creato e ricreato, un terreno fertile da coltivare.

Il tempo è denaro

Il processo educativo richiede tempo: noi possiamo programmare, stabilire dei percorsi, dividerli, categorizzarli, monitorarli. Resta il fatto che la crescita del sapere e della persona avviene secondo tempi diversificati.

Il nostro linguaggio ha però reso il tempo un bene con una precisa quotazione, il lessico che frequentemente utilizziamo è segnato dal campo semantico del tempo=denaro. Nell’ultimo secolo per la società industriale il tempo è divenuta merce pregiata. Il concetto di lavoro è strettamente connesso con il tempo, che noi dividiamo e utilizziamo per valutare sempre, dagli scatti delle telefonate ai bilanci annuali, dalle tariffe dei parcheggi ai salari, negli interessi, nei prestiti e negli investimenti. Il tempo è speso, guadagnato, perso, risparmiato o sprecato.

Il tempo costa, ma dal punto di vista educativo invece il tempo è la materia di cui sono impastate le relazioni, le quali hanno bisogno che, letteralmente, “si perda tempo”. Amare è perdere tempo, o meglio riempire il tempo di presenza e vicinanza.

Interrogarsi sulla quantità di tempo e sulla qualità del tempo, che dedichiamo all’educazione di noi stessi e di coloro che sono a noi vicini e di cui abbiamo la responsabilità, è una disciplina, che ha bisogno di essere scelta, seminata e alimentata.

Il tempo-schermo

Le ore e le giornate scorrono per molti adulti, e la quasi totalità dei ragazzi e giovani, davanti ad uno schermo, che nell’età prescolare e/o scolare è un buon baby sitter, capace di tranquillizzare anche i più agitati: la sua potenza ipnotica ha, come spiegano gli esperti di comunicazione, effetti non positivi e talvolta devianti, soprattutto nell’età dello sviluppo, non favorisce, a differenza di quel che si crede, la concentrazione, né l’attenzione, anzi ne crea una particolare tipologia, che inibisce lo sviluppo di altre capacità tra cui l’empatia e le capacità relazionali, la riflessione, il senso critico. Il tempo schermo è divenuto una delle compagnie principali per bambini e ragazzi, che nel corso degli ultimi due anni hanno preferito passare più tempo seduti davanti ad uno schermo: il 48% dei bambini (dati Istat) passa davanti a Tv o videogiochi più di 3 ore al giorno e un altro 10% vi dedica 5 ore. Se ci si sposta poi nella fascia adolescenziale i dati sono decisamente in aumento, come a dire che probabilmente un ragazzo medio passa più tempo con lo youtuber di turno che con suo padre. Anche la scelta di un’attività fisica o una disciplina sportiva sostenuta con continuità è in calo soprattutto tra i preadolescenti italiani e fotografa un processo di progressiva chiusura dei nostri ragazzi nell’ambito della loro stanza, dove la relazionalità è, in percentuale crescente, vissuta nelle piazze dei social (Youtube, Instagram, WhatsApp, Snapchat).

Rallentare il tempo

La natura del rapporto educativo si sostanzia quindi di tempo, ne abbiamo bisogno come dell’aria e dell’acqua. Non è immaginabile una relazione di tipo educativo che prescinda dal tempo: l’istante è il campo di battaglia, ma la maturazione richiede il passo della durata.

Siamo invece abituati ad affrettare i tempi, per giungere subito a godere del risultato, cerchiamo una sorta di operazione transgenica che faccia evolvere il Dna del rapporto educativo, esorcizzando i tempi e sostituendoli con surrogati attraverso la mediazione di contenuti e contatti. La necessità del tempo è sentita sempre più lontana da noi ed ogni volta che viene affrontato l’argomento, ci pare si riferisca ad un tempo non più reale.

È necessario imparare o reimparare a darsi tempo e formare i nostri figli a saper attendere, avere pazienza, accettare il patimento del lento progresso, l’arida sfida del rifiuto e della provocazione. Attendere e pazientare sono la base della vera fiducia nel futuro, di quella resistenza che sa aspettare il cambiamento, lo accompagna, lo cura, non lo forza, perché sa che, perché duri, deve essere autonomo, responsabile e consapevole.

Da qui la proposta di alcuni pedagogisti a “rallentare”, a decelerare in campo educativo (Elogio dell’educazione lenta, Joan D. Francesch), a concedersi maggior tempo per osservare, riflettere, progettare, per approfondire, costruire o ricostruire le relazioni, spesso sostituite dai “contatti”, per cercare soluzioni non immediate ed essere in grado di affrontare situazioni complesse.

Perdere tempo, che si traduce nel cercare e condividere spazi di tempo, è un atto tanto necessario, quanto controcorrente, una vera rivoluzione di sguardo e di cura, la solida speranza per una crescita educativa stabile e permanente.

«[…] Pertanto il grande interrogativo non è  dove si trova fisicamente il figlio, con chi sta in questo momento, ma dove si trova in un senso esistenziale, dove sta posizionato dal punto di vista delle sue convinzioni, dei suoi obiettivi, dei suoi desideri, del suo progetto di vita. Per questo le domande che faccio ai genitori sono: “Cerchiamo di capire dove i figli veramente sono nel loro cammino? Dov’è realmente la loro anima, lo sappiamo? E soprattutto lo vogliamo sapere?”» (Amoris Laetitia, cap.7 n.261).

 

© Dialoghi Carmelitani, ANNO 2016, NUMERO 2, Giugno 2016