
Forse hai già sentito parlare del Medioevo: si tratta di un’epoca molto lunga che va dalla fine dell’Impero Romano fino alla scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo: 1000 anni di storia.
La vita del protagonista di questo racconto si svolge proprio in quel tempo ed ha dell’incredibile, perché è la storia di uno dei più grandi ed importanti artisti di tutti i tempi.
Se ti dicessi che oggi migliaia di persone, provenienti da lontani Paesi (dal Giappone, dall’Australia, dall’India, dagli Stati Uniti, …), vengono in Italia per ammirare le opere lasciate da questo pittore e poi ti spiegassi che il suo nome è nei libri d’arte di tutto il mondo in tutte le lingue, faticheresti a credere che, quando aveva la tua età, era un piccolo pastorello, di cui il padre era solito dire: «… ha sempre la testa tra le nuvole!» e che guidava poche pecorelle nelle colline vicino a Firenze.
Il suo nome non lo conosciamo con precisione, forse si chiamava Ambrogio e, data la sua bassa statura, probabilmente era detto Ambrogiotto, ma tutti lo conoscevano e lo conoscono con il suo soprannome: Giotto. Poco sappiamo della sua infanzia e spesso le notizie e gli aneddoti sulla sua fanciullezza furono costruiti dopo la sua morte, tanto grande divenne nei secoli la sua fama.
Nacque nel 1267 e i suoi anni da fanciullo furono segnati dalla povertà: il piccolo Giotto curava quelle poche pecore, che servivano al sostentamento della famiglia.
Al mattino presto si alzava e partiva per i pascoli vicino a Firenze, all’inizio della valle del Mugello; ma sin da bambino, nelle lunghe pause, mentre gli animali brucavano, si soffermava ad osservare l’orizzonte, amava spingere i suoi occhi dai prati vicini, verdi splendenti e pieni di fiori, alle colline più lontane, che si tingevano di varie tonalità di azzurro e si confondevano nella foschia lontana. Durante le lunghe ore al pascolo, per far passare il tempo, si divertiva a disegnare per terra, sugli alberi, nella sabbia e sulle pietre, ovunque riuscisse. E furono proprio alcuni dei disegni su quei sassi, raffiguranti il gregge, che un giorno vennero visti casualmente dal più importante pittore di Firenze del tempo, il maestro Cimabue, il quale, stupito dalla bravura di quel ragazzino, andò da suo padre per chiedergli di poterlo portare con sé in città, nella sua bottega ad imparare il mestiere.
Il padre di Giotto dapprima rifiutò e solo qualche tempo dopo, viste le insistenze di Cimabue, a malincuore accettò. Subito la bravura del piccolo Ambrogio brillò, tanto che il maestro continuamente ne era ammirato e, in breve tempo, crebbe la fama di quel giovanissimo e talentuoso artista. Si racconta che un giorno Giotto disegnò su una tela una mosca talmente perfetta e realistica che il maestro Cimabue tentò più volte di scacciarla dalla tela, prima di capire che era stata dipinta.
Furono quelli gli anni in cui Giotto conobbe e rimase colpito dalla vita e dalla testimonianza di S. Francesco d’Assisi, che era morto da poco tempo ed era già venerato come Santo. I suoi frati e la potenza del suo messaggio si erano diffusi anche nella città di Firenze e avevano raggiunto oltre a Giotto anche il giovane Dante Alighieri, che sarebbe divenuto il più grande poeta italiano. L’amore per la storia e il modello di S. Francesco infiammò di entusiasmo molti giovani in tutte le città italiane. In quegli anni divenne Papa Niccolò IV, un frate francescano molto devoto, che venuto a conoscenza dello straordinario talento di quel nuovo pittore fiorentino, lo volle per compiere un’opera che ricordasse il santo di Assisi.
Giotto venne così chiamato per dipingere e decorare la Basilica di Assisi, dedicata a S. Francesco.
Sulle pareti della Cattedrale, Giotto realizzò degli affreschi, disegnando e dipingendo sul muro ancora bagnato, in modo che, asciugandosi, potesse assorbire i colori e le immagini, e grazie a questa tecnica oggi possiamo ancora ammirare i suoi meravigliosi capolavori, che ci narrano la storia e gli incontri di Francesco, il Santo che amò il Vangelo e la povertà al punto da farsi il più possibile simile a Gesù.
Quel che sbalordì tutti al tempo, e che ancor oggi ci lascia a bocca aperta, fu la capacità di rappresentare la natura: le piante, le rocce, gli animali, i volti delle persone. Ma noi sappiamo che Giotto, ormai quasi adulto, non fece altro che ricordarsi le lunghe ore passate a contemplare il paesaggio, gli animali, la natura della campagna fiorentina e i volti delle persone che incontrava quando, fanciullo, portava al pascolo le sue pecorelle e disegnava sulle rocce.
Giotto divenne da allora per tutti il maestro della natura, che aveva imparato ad amare da Francesco e che la sua pittura celebrava come il cantico delle Creature del santo «Laudato sii, mio Signore, per tutte le tue creature…».
Queste opere lo resero molto famoso e per questo molti lo cercarono per affidargli la realizzazione di numerosi capolavori e cominciò così a girare per le città di tutta Italia. Nel frattempo si innamorò di una giovane fiorentina, che divenne sua moglie e con cui ebbe otto figli ed organizzò una scuola dove, come il suo maestro Cimabue, avviare all’arte ragazzi che avessero capacità e amore per la pittura.
Oltre alla sua bottega d’arte, Giotto creò anche un laboratorio tessile che, basandosi su suoi disegni e motivi ornamentali, produceva tessuti e stoffe; nella seconda parte della sua vita fu anche architetto, dedicandosi alla costruzione di varie opere.
All’inizio del 1300, anno in cui Papa Bonifacio VIII decise di celebrare il primo Giubileo (un anno di festa per l’anniversario della nascita di Gesù), Giotto fu chiamato a Padova da un ricco mercante, Enrico Scroveni, per affrescare una cappella che, attraverso le pitture, potesse raccontare alla gente la storia di Gesù e della Madonna. Il lavoro da subito fu frenetico e Giotto lavorò due anni per riprodurre gli episodi più importanti della vita di Gesù e le Storie della Vergine Maria e fu guidato da alcune idee che fece divenire ispirazione delle immense pareti, che ancor oggi possiamo ammirare.
Negli affreschi vediamo tutto il mondo, il passato, il presente e il futuro, il Paradiso e l’Inferno, ma soprattutto notiamo il suo obiettivo di rappresentare la bellezza, attraverso lo splendore dei suoi colori, e l’armonia di tutto il creato, attraverso la natura e i molti animali che popolano le scene del Vangelo. Ma Giotto fu soprattutto attento all’umanità dei volti e dei sentimenti e alle espressioni delle persone che incontrarono Gesù. E così ci colpisce la tenerezza con cui Maria avvolge Gesù appena nato, l’intensità degli sguardi dei discepoli, la profondità del cielo azzurro che tutto copre e circonda, ma anche il dolore per la sua morte, che avvolge e sconvolge gli uomini, le donne e gli angeli in cielo che partecipano alla sofferenza di tutto il mondo.
Questa fu l’opera a cui Giotto dedicò più attenzione e passione e scopriamo, nei diversi episodi della vita di Cristo, tutti gli intensi sguardi ed i gesti amorevoli e decisi di Gesù, come fosse un Vangelo illustrato. Nelle diverse scene Giotto rappresentò il volto di Gesù decine di volte, sempre un po’ diverso, tentando di trasmettere la forza di quei Suoi occhi, che sapevano amare profondamente al primo sguardo. Lo stesso sguardo che anni prima aveva scoperto in S. Francesco.
Nella sua lunga vita, conclusasi a Firenze all’età di 70 anni (per quel tempo un’età molto anziana), mastro Giotto amò profondamente il suo lavoro, che continuò fino all’ultimo giorno, tra pennelli, polveri e terre da cui ottenere i colori, sempre in compagnia degli allievi, che desideravano imparare dal più famoso e grande pittore del tempo. Ma mai si fermò la sua ricerca per riuscire a guardare, onorare, venerare e dipingere la natura e le persone, quella umanità e quella bellezza che Dio aveva creato dal nulla, che Francesco aveva cercato di amare fino in fondo come Gesù e che il piccolo Ambrogio aveva iniziato a disegnare su tante rocce nei pascoli vicino a casa.
Illustrazioni Cristina Pietta . Testo Luca Sighel