Alcune note sul “mistero grande”, le Messe e i protocolli…

(di Fabio Silvestri ocd)

Io, la storia, costituisco un pezzo indispensabile nel meccanismo, nell’organismo dell’eternità, un pezzo non solo inevitabile, ma indispensabile. Ciò che è al cuore… ciò che costituisce il proprio del cristianesimo è questo incastro… questo innesto, questo aggiustamento di due pezzi, così straordinario, così inverosimile, l’uno nell’altro…: il temporale nell’eterno e l’eterno nel temporale… Tuttavia noi navighiamo costantemente tra due… “bande” di preti (mancati): i preti laici ed i preti clericali… I preti laici che negano l’eterno del temporale, che vogliono disfare, smontare l’eterno dal temporale, da dentro al temporale; ed i preti clericali che negano il temporale dall’eterno, che vogliono disfare, smontare il temporale dall’eterno, da dentro all’eterno. Ma gli uni e gli altri non sono affatto cristiani, poiché la tecnica stessa del cristianesimo, la tecnica ed il meccanismo della sua mistica, della mistica cristiana, è questo… è l’aggancio di un pezzo, di un meccanismo, in un altro; è questo innesto di due pezzi, questo aggancio singolare, mutuo, unico, reciproco, che non si può disfare: non-smontabile, dell’uno nell’altro e dell’altro nell’uno; del temporale nell’eterno, e (soprattutto, ciò che più spesso viene negato, ciò che è in effetti la cosa più meravigliosa), dell’eterno nel temporale”.

(Charles Péguy, Véronique. Dialogo della storia e dell’anima carnale)

 

 

La storia, ci ricorda Péguy, non è mai stata un dettaglio.

Ma, dopo quell’Evento, è diventata qualcosa di più: non è più solo storia.

Così, quando si tratta di cose che riguardano la storia di Dio con l’uomo, nessuno (né preti clericali, né “preti laici”) potrebbe pensare di “smontare” quel mirabile meccanismo, quell’ “incastro”, quell’unione. Né privando il tempo dell’Eterno, né privando l’Eterno del tempo.

Il Figlio di Dio – che è l’Eterna Parola, cioè la Ragione Eterna del mondo – ha infatti unito a Sé l’umanità e lo ha fatto per sempre. In modo indissolubile: il divino e l’umano si appartengono, reciprocamente.

Nozze non facilmente descrivibili, dice San Paolo: “questo mistero è grande, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!” (Ef 5,32). E, soprattutto, nozze non più scioglibili: nessuno potrebbe farlo, perché ciò che Dio ha unito, l’uomo non osi (non potrebbe) separarlo (cfr. Mt 19,6).

Quello che Dio ha fatto in Gesù Cristo.

Lo ha fatto quella volta, una volta sola. Lo ha fatto in quel luogo. Lo ha fatto con quel corpo. Lo ha fatto con quei gesti e con quelle parole. Lo ha fatto con quella morte. E, quella volta, lo ha fatto per sempre.

Per questa ragione, quando di questi tempi (di coronavirus) ci si è confrontati con ciò che lo Stato può chiedere o non chiedere ai cristiani, con ciò che la Chiesa può decidere o non decidere, con ciò che la coscienza del singolo sacerdote può obiettare o meno… prima di ogni altra cosa servirebbe ricordarlo. Ricordare ciò che dà senso a tutto. Ricordarlo per tutto e a tutti, “preti clericali” e “preti laici”. Il cuore della domanda, allora, diventerebbe uno solo. Restandone, nello stesso tempo, il punto di partenza: il mistero grande è quello del Dio fatto carne, del Tutto nel frammento, dell’Universale nel particolare, che è diventato norma e criterio per capire la realtà e, poi, per servirla.

Nel concreto, di conseguenza, sarà necessario innanzi tutto ricordare ciò che lo stesso Maestro ha insegnato: “rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio” (Mt 22,21). E Gesù non dice pagare, né dare, ma rendere. Perché ciò che porta l’immagine dello Stato, allo Stato sia restituito: sia valutato, regolamentato, protocollato… Lo Stato ha infatti il diritto di orientare, indicare, sanzionare, in tutto ciò che direttamente gli compete. E, ancora di più, ha diritto e dovere di farlo in tempo di emergenza, quando in gioco c’è la salute e la vita di molti.

Ma, nello stesso tempo – anzi prima ancora – lo Stato non pensi mai di poter sottrarre a Dio ciò che è Suo. Non potrebbe farlo, con accordi o protocolli, neanche la Chiesa. Perché, se è vero che tutto è di Dio – e a Lui va resa l’obbedienza originaria della vita – tuttavia c’è qualcosa che Gli appartiene, che è Suo, più di ogni altro dono. Senza alcuna negoziazione possibile.

E dunque sono Suoi, in modo unico, i Sacramenti. Cioè tutto ciò che rende presente, attuale e viva quell’unica volta… il presente attivo, reale e vicino di quell’unico Amore, che si esprime oggi ripetendo parole e gesti di Cristo, oggi come allora. Ed è Suo, in modo unico, anche l’uomo, con il suo volto e il suo senso. Perché il mistero dell’uomo è di essere immagine di Dio, per la sua natura (anche) spirituale, e di esserne la somiglianza, per la sua libertà generata dalla Libertà di Dio. E tutto questo accade ad un livello molto più profondo di ciò che le concrete norme del vivere, del guarire e del preservare la salute rappresentano per lo Stato. Nel Figlio, infatti, là dove l’Eterno si è congiunto al temporale, è scritto il destino di ogni uomo. “Congiunto” per sempre – come potrebbe attestare “l’autocertificazione” dell’Amore – venuto incontro al tempo per una necessità non differibile.

Così, mentre la vita ricomincia, prudentemente, a distendersi… Mentre la vita riparte di nuovo, dopo lo shock di questi due mesi… la cosa più importante, quella di cui tutti i credenti dovrebbero sentire subito la nostalgia e il diritto, sia quella di poter tornare a questo Centro da cui tutto prende vita. Di lasciarsene anzi nuovamente e pienamente afferrare, come da qualcosa che non è mai venuto meno ma che, ora, chiede di essere guardato più di prima.

Torniamo lì, in Galilea, per capire Chi è risorto. Torniamo al suo coinvolgimento, impressionante, nelle pieghe di questa nostra storia. E restituiamo a Lui i diritti nuziali del Suo eterno viaggio. Quelli che dicono come e quanto siamo accolti, ad ogni istante, in questo abbraccio. È il Salvatore, viene per noi.

Così, se è vero che la Chiesa è davvero e ovunque il Suo corpo mistico, intessuto di Spirito e volti, e lo resta anche nella distanza, tuttavia quanto ci apparirà più nuovo, adesso, concreto e vivo il dono di una Comunità, cioè di quel pezzo di Chiesa destinato a me, che ogni giorno mi raggiunge, attraverso sguardi, parole, luoghi e incontri…

E, se è vero che è possibile pregare in ogni luogo, perché il Signore ascolta sempre, tuttavia non è vero che ogni luogo è uguale agli altri, come ci insegna la verità dell’Incarnazione: per cui sarà diverso, e sarà dolce, poter tornare ora fisicamente in casa Sua, nelle Sue chiese, davanti ai Suoi tabernacoli, per celebrare ed adorare la Sua Presenza.

E, se è vero che è possibile desiderare il Suo perdono, restando in attesa (e nel voto) di poterlo ricevere, come sarà liberante poter tornare ora ad accoglierlo personalmente nella confessione, cioè in quel sacramento in cui tutto l’amore della Sua croce si concentra per me e, più visibilmente, mi impegna in un rapporto.

E, infine, se è vero che la Sua Grazia può raggiungermi ovunque, anche grazie alla Comunione spirituale – e che il dono di una sola Messa raggiunge anche gli estremi confini della terra – tuttavia come sarà diverso tornare a ricevere personalmente il Corpo e il Sangue di Gesù, del mio Signore… sulle mie labbra, nel mio cuore, nella mia vita: “In verità, in verità vi dico: se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me ed io in lui” (Gv 6,53-56).

Per tutte queste ragioni, oggi abbiamo serie ragioni per credere che anche lo Sposo divino abbia desiderio – forse più di prima e sempre più di noi – che questo intimo abbraccio possa tornare ad accadere, con ciascuno in modo unico!

D’altra parte, è vero: non c’è stato un tempo sempre uguale, in questi mesi che hanno sconvolto il mondo. C’è stato il tempo della confusione, del dramma e dell’incredulità. C’è stato il tempo della giusta prudenza. C’è stato il tempo del dialogo e di alcune decisioni.

Ma ora non si perda più tempo. E, anche per definire i modi adeguati di questo incontro da tornare a permettere, da tornare a celebrare, non si ceda ad altri la Gloria di Dio. Non la ceda la Chiesa! La onori! Si torni alla verità infinita di quel Cuore, che nell’Eucaristia è interamente presente. E a quel Cuore si restituisca il Suo diritto, pagato con il Sangue…

È il diritto della Gioia. Quella eterna, immensa, dolcissima e terribile, che da sola può scuotere le fondamenta del Cielo e della terra: quando il Creatore si unisce intimamente alla Sua creatura, in un abbraccio senza fine… in ogni Eucaristia.

In fondo, solo questo è il diritto dell’Amore.

È il diritto dello Sposo.

 

Egli è qui.

È qui come il primo giorno.

È qui, tra di noi, come il giorno della sua morte.

In eterno è qui, tra di noi, proprio come il primo giorno…

(Charles Péguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco).

 

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 21, NUMERO 1, Giugno 2020