Le sfide della demografia nel XXI secolo

Intervista al Prof. Alessandro Rosina (a cura di Luca Sighel)

Come sarà la popolazione mondiale di domani e come oggi si sta trasformando? Quanto questa evoluzione tocca la nostra vita e quella del nostro Paese tra invecchiamento, immigrazione, multiculturalità? Abbiamo chiesto al prof. Alessandro Rosina, demografo e docente dell’Università Cattolica di Milano, quali siano le problematiche e quali le sfide che il tema della popolazione pone sul tavolo del XXI secolo a livello globale e italiano.

 

 

Come appare dal punto di vista demografico il nostro presente e quali sono le sfide demografiche del XXI secolo?

Il XX è stato il secolo della crescita quantitativa esuberante della popolazione. Siamo passati da 1,6 miliardi a 6,1 miliardi di persone sul pianeta, grazie alla straordinaria riduzione dei rischi di morte. Nel secolo attuale l’aumento continuerà ma in modo decelerato. La demografia continua però a influenzare le condizioni di sviluppo nelle varie aree del mondo, attraverso quattro sfide intrecciate.

La prima è rappresentata dal fatto che non siamo mai stati così tanti sul pianeta. Anche se la crescita è rallentata siamo comunque oggi oltre 7,5 miliardi ed entro il 2050 si aggiungeranno altri due miliardi di abitanti. Va quindi gestito questo incremento con un modello di sviluppo sostenibile, attento all’uso delle risorse e alle diseguaglianze sociali.

La seconda sfida è rappresentata dal fatto che la crescita non è mai stata così differenziata nelle varie aree del mondo. In particolare si affacciano sul Mediterraneo due continenti con andamento opposto: l’Europa in diminuzione e l’Africa in crescita sostenuta.

Un altro aspetto importante che la demografia ci pone come sfida è il governo dei flussi migratori. Oggi viviamo in un mondo in cui, sia per scelta che per necessità, è sempre più facile spostarsi: non ci sono mai state così tante persone che oggi vivono in un Paese diverso da quelli in cui sono nate. I flussi migratori possono ridurre squilibri demografici ed economici, diventando stimolo per crescita e mobilità sociale, ma solo se diventano spinta positiva a migliorare la cooperazione tra Stati, le politiche interne di integrazione, lo sviluppo delle competenze interculturali, il valore della diversità nelle organizzazioni.

L’ultima sfida è rappresentata dalla longevità: non ci sono mai stati così tanti anziani nel mondo. Oggi non solo si vive più a lungo, ma si riduce anche la presenza delle nuove generazioni come conseguenza della denatalità. Dobbiamo quindi costruire una società in cui la presenza di popolazione matura è compatibile con la possibilità di continuare a produrre benessere in modo socialmente sostenibile.

In particolare qual è la situazione e quali sono i dati demografici del nostro Paese: come è cambiata dalla seconda metà del XX secolo ad oggi?

Nei primi decenni del secondo dopoguerra l’Italia è stata capace, meglio di molti altri Paesi, di mettere in relazione positiva crescita economica, welfare e demografia. Nei decenni successivi non è stata, invece, in grado di rimettersi in discussione, in un mondo che cambiava, ripensando il proprio modello economico e sociale in coerenza con i tempi nuovi. Questo ha frenato il potenziale contributo alla crescita delle due componenti più investite dai cambiamenti degli anni Settanta e successivi, ovvero i giovani e le donne. Siamo così diventati un Paese sempre più arroccato nel difendere diritti e benessere acquisito, anziché metterci nelle condizioni di aprire nuove opportunità e generare nuovo benessere futuro, con la conseguenza di trovarci con sempre più debito oggi e meno crescita domani. In questo contesto anche le famiglie si sono trovate schiacciate in difesa, rivedendo al ribasso il numero di figli anziché allineare al rialzo l’occupazione femminile, come invece fatto nei Paesi che hanno investito in politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia. Indebitamento e invecchiamento hanno poi eroso ulteriormente la possibilità di investimento in nuovo welfare e nuovo lavoro, producendo così un circolo vizioso dal quale è diventato sempre più difficile uscire.

In particolare dalla metà degli anni Settanta alla metà degli anni Novanta siamo passati da 2,1 a 1,2 figli in media per donna, scivolando e rimanendo tra i Paesi con più bassa fecondità al mondo.

Come i mutamenti demografici in atto costringono a ripensare le età della vita e le consuete immagini che abbiamo di giovinezza, età adulta, anzianità, vecchiaia?

Nelle società del passato la durata di vita era mediamente molto breve a causa degli alti rischi di morte a tutte le età. Non solo viviamo oggi in un mondo in cui arrivare a 65 anni in buona salute è diventato un obiettivo alla portata di tutti, ma ogni nuova generazione arriva a tale traguardo in migliori condizioni fisiche e cognitive rispetto a quelle precedenti. Abbiamo abbattuto i rischi di morte in età infantile prima e giovanile e adulta successivamente, ma stiamo, inoltre, creando spazio per nuove fasi della vita nelle età che tradizionalmente venivano considerate “anziane”.

Questo cambiamento qualitativo deve poter essere favorito sia da un punto di vista culturale che di politiche adeguate, in modo da mettere le persone nella condizione di cogliere le nuove opportunità di vivere nel modo migliore ogni fase di una lunga vita attiva. Ma di prepararsi al meglio anche ad affrontare la fragilità sperimentata in età sempre più avanzata.

È quindi cambiato anche il rapporto tra le generazioni?

Il rapporto tra generazioni è in forte mutamento sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Da un lato, soprattutto nel nostro Paese, il crollo della natalità ha depotenziato la presenza nella scena economica e sociale delle nuove generazioni a fronte di un accentuato aumento della popolazione anziana. D’altro lato, la rapidità delle trasformazioni del mondo in cui viviamo rende molto diverse le esperienze delle varie generazioni nella fase giovanile, con conseguenze sulla loro identità e sul loro sguardo sul mondo. Questo può essere un arricchimento, se viene favorito un dialogo e interscambio costruttivo tra generazioni, sia nella società che nel mondo del lavoro. Ma può diventare anche fonte di tensioni e conflitto, se prevale una competizione al ribasso che restringe spazi e opportunità delle nuove generazioni.

Molto delicata è la condizione dell’essere giovani oggi in una società, come quella italiana, che invecchia: quali sono le priorità e le scelte da intraprendere e come affrontarle in un Paese come il nostro?

L’impatto della pandemia rischia di rendere ancora più fragile la condizione dei giovani, ovunque nel mondo e in particolare in Italia. Le crisi economiche tendono, infatti, a colpire maggiormente le nuove generazioni, ma è proprio su di esse che maggiori sono anche le conseguenze negative di medio e lungo periodo.

Per rilanciare il Paese dopo lo shock subìto con la pandemia di Covid-19 è allora necessario ripartire da ciò che la demografia mette al centro del cambiamento, ovvero il rinnovo generazionale, sia quantitativo che qualitativo. Le grandi risorse messe in campo per rispondere all’emergenza devono, in questa prospettiva, diventare anche parte di un progetto di reindirizzamento degli investimenti sulle scelte che accompagnano e rafforzano l’entrata qualificata e la presenza solida dei giovani nei processi di sviluppo sociale ed economico del Paese.

Questo significa, prima di tutto, chiarirsi cosa significa oggi formare bene le nuove generazioni e prepararle al meglio per capire la realtà che cambia (ancor più dopo la pandemia); in secondo luogo aiutarle a dotarsi di competenze adeguate e avanzate per farsi parte attiva del suo miglioramento (dentro e fuori il mondo del lavoro); come terza priorità accompagnare i percorsi di ingresso nel mondo del lavoro con strumenti che aiutino a far incontrare al punto più elevato competenze richieste e competenze formate (aggiornate e riqualificate); ed, infine, incentivare all’interno delle aziende e delle organizzazioni la valorizzazione del capitale umano specifico delle nuove generazioni aiutandolo a diventare leva per la transizione verde e digitale.

Per utilizzare il titolo di un suo libro, perché e come il futuro non invecchia?

Ciò che caratterizza il futuro è l’essere diverso dal presente. Se desideriamo un futuro migliore dobbiamo allora prendere l’impegno di riconoscere tale diversità e aiutarla a farsi valore. Il futuro, quindi, non invecchia se diamo spazio e mettiamo nella condizione di dare il meglio di sé a ciò che è nuovo: alle nuove generazioni, alle nuove fasi della vita, a chi viene attratto nel nostro Paese. Se invece prevarrà l’idea che i giovani sono un problema, il vivere a lungo un problema, gli immigrati un problema, allora anche il futuro sarà un problema.

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 22, NUMERO 2, Aprile 2021

Il futuro non invecchia - Alessandro RosinaViviamo in un tempo e in un mondo che per la prima volta sperimentano un allungamento della vita ben oltre età che in passato erano inimmaginabili e, al contempo, assistiamo ad una riduzione della natalità. Vi sono squilibri significativi tra Paesi e continenti: alcuni invecchiano, altri sono giovani e si affacciano sulla scena internazionale. In questo panorama, la tecnologia ed il progresso riducono distanze e hanno un grosso impatto sulle dinamiche socio–economiche e sul paesaggio antropologico del nostro oggi e del prossimo futuro. Sono questi i temi di approfondimento del prof. Alessandro Rosina, demografo e docente dell’Università Cattolica di Milano, che in questo libro offre, accanto ad una rappresentazione ed analisi degli andamenti statistici ed evolutivi della popolazione, intensi spunti di riflessione sul presente e sulle scelte che oggi andranno a toccare il futuro nostro e delle nuove generazioni. Ampia e molto interessante è la spiegazione della diversità tra le generazioni susseguitesi e che oggi formano il panorama delle diverse età, così come approfondita è la trattazione su cosa significhi essere generazione, come si configurino oggi le età della vita (giovinezza, maturità, vecchiaia), quali siano gli squilibri generazionali e se sia possibile ricercare un’alleanza tra le generazioni ed una valorizzazione di tutte le fasi della vita. Anche per questo, l’ultimo capitolo del testo offre una sorta di decalogo per un futuro che non invecchia; un percorso che parte ed arriva all’idea che attribuire valore significa creare e generare nuovo valore, ma questo comporta accettare la sfida del cambiamento e di un mutamento dei modelli socio–economici che ci hanno guidato fin qui. Si tratta di una sfida globale sia per le società che per l’individuo: per entrambi è la chiamata ad una vita piena… a tutte le età.

Alessandro RosinaAlessandro Rosina è professore ordinario di Demografia nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, dove dirige il Center for Applied Statistics in Business and Economics. Già membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Statistica, attualmente collabora nei consigli direttivi con varie università su temi di ricerche statistiche e finanza (Milano–Bicocca–Padova). Ha insegnato in varie Università italiane, compiendo anche periodi significativi in Paesi europei come visiting scientist. Dal 2015 al 2019 è stato direttore del Dipartimento di Scienze Statistiche. Collabora con numerose riviste di demografia ed unisce ad un’intensa attività di consulenza — in ambito scientifico o formativo per i più importanti Centri di ricerca ed Osservatori nazionali privati ed istituzionali — la partecipazione come esperto a varie Commissioni ministeriali. È attualmente coordinatore del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo. È presidente delle associazioni InnovarexIncludere e Mappa Celeste–Forum per il Futuro. È membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia, del Comitato di Direzione di Osservatorio Senior e di Futura Network. Fa inoltre parte della redazione di ItalianiEuropei ed è co–coordinatore dell’Alleanza per l’Infanzia. È autore di numerose pubblicazioni, che affrontano i temi demografici a partire dalle trasformazioni in atto e future. www.alessandrorosina.it