(di Stefania Giorgi)

«Oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta» (K. Gibran)

 

 

Lo scorso 1 Luglio la Chiesa ha vissuto una giornata di preghiera e digiuno proposta dal Santo Padre per puntare i riflettori sulla drammatica situazione del Libano. 

I libanesi, dall’estate precedente alla pandemia, sono piombati in una crisi economica che sta spazzando via tutti i servizi essenziali che tengono in piedi uno Stato. Un fallimento che viene da lontano, dall’incapacità a governare, dalla corruzione delle élites politiche, dai rapporti conflittuali con gli Stati confinanti, dalla guerra siriana che ha riversato migliaia di profughi e fatto scoppiare il disagio sociale mettendo a dura prova le reti assistenziali, fino all’esplosione del porto di Beirut dell’agosto scorso, per non parlare dell’emergenza sanitaria del Covid. Queste sono solo alcune testimonianze della vita quotidiana: «Da diversi mesi le interruzioni di corrente sono molto frequenti, ma da qualche settimana la situazione è peggiorata. Sono rimasta al buio anche tre giorni di seguito. Negli ultimi tempi abbiamo sì e no un’ora e mezza di corrente al giorno». Nel caldo soffocante del luglio libanese, Roula, 50 anni, docente universitaria, trascorre giorni e notti senza poter accendere il condizionatore d’aria. «Ma il problema più grosso – dice – è il cibo, dal momento che non possiamo conservare nulla in frigo». Ristoratori, ospedali e aziende subiscono gli effetti più negativi della sospensione dell’energia.

In un nuovo studio di Unicef emerge come i più piccoli stiano sopportando il peso del collasso economico. Il 77% delle famiglie non può permettersi di comprare cibo per i propri figli e il 15% ne ha interrotto l’istruzione, 1 bambino su 10 è stato mandato a lavorare. Lo Stato è in bancarotta, la Banca Centrale non ha più liquidità e, pezzo dopo pezzo, tutte le infrastrutture che tengono insieme una società si stanno sgretolando: energia elettrica, sanità (farmacie e cliniche non possono più acquistare medicine, nemmeno quelle salvavita), commercio (la valuta ha perso il 90% del suo valore e il mercato nero è diventato inaccessibile visto che i cittadini possono ritirare solo una porzione limitata dei loro averi depositati in banca).

Il governo è ancora vacante (il frutto avvelenato di antiche opposizioni ormai incancrenite e di interessi di potere egoistici) e tutto sta franando, sussidi e stipendi non sono più garantiti. Aumentano i suicidi, le proteste, gli scontri, gli incidenti dovuti alla negligenza diffusa. Ma intorno al Libano ci sono anche avvoltoi spietati che approfittano della situazione disperata e lucrano sulla pelle della gente: spesso gli speculatori trattengono il necessario che pur potrebbe arrivare nei porti (cibo, medicinali, carburante) su navi-cargo al largo delle coste libanesi, in attesa di far crescere il bisogno e gonfiare i prezzi alle stelle per guadagnare il più possibile dalla crisi. Anche la comunità internazionale, presa da altre emergenze, non interviene per assistere il popolo e la Banca Mondiale si limita a dichiarare quella del Libano la peggiore crisi finanziaria del secolo: più grave di quella dell’Argentina e di quella valutaria della Russia, la peggiore della storia mondiale degli ultimi 70 anni. Eppure le storie dei cittadini libanesi, costretti a convivere con una svalutazione della moneta che ha raggiunto il 90% e un’inflazione superiore all’80%, non hanno conquistato le pagine dei giornali o i servizi delle Tv, almeno fino a quando il primo ministro, Hassan Diab, non ha iniziato a parlare apertamente di rischio di “esplosione sociale”. Le immagini che arrivano da Beirut mostrano un Paese con cittadini stremati, costretti a lunghe file per poter acquistare gasolio, un Paese in cui oltre il 70% delle famiglie non ha abbastanza cibo e dove oggi scarseggiano anche le medicine. Subire una svalutazione del 90% significa perdere praticamente tutto.

Papa Francesco, nel discorso tenuto di fronte ai rappresentanti delle chiese cristiane libanesi convenuti per la giornata di preghiera, ha gridato il suo appello perché non ci si dimentichi del Libano che affonda: «Non desistiamo, non stanchiamoci di implorare dal Cielo quella pace che gli uomini faticano a costruire in terra. Chiediamola insistentemente per il Medio Oriente e per il Libano. Questo caro Paese, tesoro di civiltà e di spiritualità, che ha irradiato nei secoli saggezza e cultura, che testimonia un’esperienza unica di pacifica convivenza, non può essere lasciato in balia della sorte o di chi persegue senza scrupoli i propri interessi. Perché il Libano è un piccolo-grande Paese, ma è di più: è un messaggio universale di pace e di fratellanza che si leva dal Medio Oriente. […] È perciò essenziale – desidero ribadirlo – che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi. Basta ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! Basta al prevalere delle verità di parte sulle speranze della gente!. Basta usare il Libano e il Medio Oriente per interessi e profitti estranei! Occorre dare ai Libanesi la possibilità di essere protagonisti di un futuro migliore, nella loro terra e senza indebite interferenze. […] Fratelli e sorelle, si dilegui la notte dei conflitti e risorga un’alba di speranza. Cessino le animosità, tramontino i dissidi, e il Libano torni a irradiare la luce della pace».

Il patriarca cattolico maronita Bechara Raï che, insieme agli altri rappresentanti religiosi, è una delle voci forti che si batte per il Libano, esprime così la sua opinione sugli eventi: «Il Libano non è morto, ma è gravemente malato. Tutti i Paesi del mondo hanno sperimentato momenti di tenebra politica, economica, sociale o finanziaria. Noi siamo cristiani, noi crediamo che dopo le tenebre giunga l’aurora. Noi crediamo fermamente di poter ricostruire il Libano […] Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri saranno un loro e non un noi. Non ci sarà pace finché le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni. La pace non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità». 

Certo, il Libano non si salverà per un aiuto esterno, ma solo quando si riuscirà a portare al governo chi davvero vuole il bene del Paese. Ma nessuno può voltare la testa di fronte alle sofferenze odierne di cittadini intrappolati in un incubo economico che peggiora sempre più. Il Papa ci sprona ad agire per essere vicini ai nostri fratelli e amici, e il Movimento Ecclesiale Carmelitano, che a Beirut ha una Comunità, è in prima linea per chiunque voglia contribuire e dare un sostegno. Non lasciamoli soli!

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 22, NUMERO 4, Settembre 2021

 

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