(di Massimo Gelmini)
In uno scenario internazionale provato dalla crisi, indebolito dagli effetti della globalizzazione economica e finanziaria, esposto a tensioni sociali inedite e spaventato dall’emergenza terrorismo, all’interno dell’agenda delle politiche sovraniste o populiste trovano spazio soluzioni forti e ricette drastiche per contrastare l’immigrazione e favorire la demarcazione di ambiti (spazi simbolici o reali) da cui escludere gli stranieri non richiesti, soprattutto se poveri. In questo contesto è ritornata attuale la tecnica antichissima dell’erezione di muri innalzati a scopo difensivo, barriere invalicabili per impedire intrusioni indesiderate e delimitare lo spazio della propria sicurezza. Al confine tra Messico e Stati Uniti, Trump vuole erigere la sua muraglia, simbolo inutile di una politica miope e livorosa, scenografia spettacolare per un’esibizione di forza, intrisa di retorica e piena di contraddizioni.

Sul volo che lo portava a Panama in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, il 23 gennaio scorso, ai giornalisti che gli chiedevano cosa pensasse del muro che Trump vuole innalzare al confine con il Messico, Papa Francesco non ha avuto esitazioni: «È la paura che rende pazzi», ha affermato, invitando a leggere l’editoriale apparso il giorno prima sull’Osservatore Romano, e ha continuato dicendo: «Quelli sono i muri della paura». Qualche ora più tardi, parlando ai giovani riuniti a Panama City, li ha incoraggiati ad essere costruttori di ponti, diffidando dei costruttori di muri che seminano paure e divisioni. Il giudizio che trapela dalle parole del Pontefice è pesante e si aggiunge alle accuse di molte organizzazioni che difendono i diritti umani. Nonostante queste critiche, e a dispetto dell’opposizione del Partito Democratico e delle gravi difficoltà di bilancio per un progetto che sta diventando una personale ossessione del Presidente, Donald Trump non sembra intenzionato a desistere, ed è chiaro che — anche nel caso del probabile fallimento della politica annunciata — cercherà di cavalcare l’onda populista e sfruttare l’impatto mediatico provocato da iniziative clamorose e dichiarazioni stravaganti.
A che punto è la costruzione del muro di Trump?
In piena campagna elettorale per le presidenziali americane del 2016, Trump prometteva che avrebbe costruito un muro lungo le 2.000 miglia (poco più di 3.200 km) del confine meridionale con il Messico per bloccare gli ingressi irregolari di Latinos negli USA. Più tardi ebbe modo di ridimensionare l’ampiezza del suo progetto assicurando che l’opera avrebbe interessato più pragmaticamente solo la metà della lunghezza precedentemente annunciata e che l’orografia e le barriere naturali tra i due Paesi avrebbero fatto il resto. In realtà, da prima che Trump arrivasse al potere, esisteva già alla frontiera con il Messico — prevalentemente sulla linea di confine occidentale, tra San Diego e El Paso — una recinzione lunga complessivamente 654 miglia, iniziata da Bill Clinton, eretta in gran parte sotto la presidenza di George W. Bush e costituita da barriere per disincentivare i tentativi di oltrepassare il confine a piedi (per 354 miglia) e da delimitazioni per impedire il passaggio di veicoli (per le rimanenti 300 miglia). Ad oggi, a oltre due anni dall’inizio del mandato, non si può dire che ci siano stati molti sviluppi nella costruzione del muro, essendosi gli sforzi concentrati per lo più nella sostituzione e nel ripristino delle strutture esistenti invece che nell’edificazione di nuovi lotti. Da quando Trump è entrato alla Casa Bianca, sono stati complessivamente stanziati 1,7 miliardi di dollari per l’edificazione di nuove barriere e per interventi su quelle esistenti, per uno sviluppo totale non superiore a 124 miglia. Parte dei lavori è stata intrapresa nel 2018 e altri ne sono programmati per il 2019. In particolare, a febbraio di quest’anno era previsto l’innalzamento di nuove tratte di muro nella valle del Rio Grande, in Texas, nel territorio delle contee di Hidalgo e Starr, ma il programma è stato ostacolato dall’ostilità di proprietari terrieri che si sono opposti alla concessione delle aree per l’espansione del “sistema di protezione dei confini”, il quale — secondo recenti sondaggi — sembrerebbe riscuotere sempre meno consenso da parte della maggioranza dei cittadini americani.
Il progetto e i costi dell’opera
L’idea originaria del Presidente, annunciata con enfasi in campagna elettorale, era quella di costruire un «muro grande e bello» da realizzarsi in calcestruzzo. Una volta eletto, Trump ebbe dei ripensamenti sulla tecnica costruttiva della sua “grande opera”, e dichiarò di preferire l’acciaio che avrebbe consentito delle strutture meno occlusive tali da favorire il controllo visivo degli agenti di frontiera. Nell’ottobre 2017 furono rivelati dall’Amministrazione 8 imponenti prototipi, prevalentemente una combinazione di acciaio e calcestruzzo, nessuno dei quali sembrerebbe aver poi superato la selezione per mancanza di requisiti. Recentemente Trump ha annunciato di voler realizzare una barriera di «doghe in acciaio con forme artistiche» e, poco prima dell’ultimo lungo shutdown del Governo, pubblicando su Twitter un’immagine raffigurante una palizzata di fitti puntoni acuminati, commentava che tale avrebbe potuto essere la sua opera d’arte, «efficace ma al tempo stesso bella». Se le modalità costruttive dell’infrastruttura appaiono tuttora in via di definizione, ancora più incertezza sembra inevitabilmente esserci sui costi di realizzazione, con stime che vanno da 12 fino anche a 70 miliardi di dollari, come riportato in dettaglio in una recente inchiesta condotta dall’edizione americana di BBC News.
Un muro per fermare l’invasione
A che serve il muro? Per Trump è indispensabile, come ha dichiarato in un discorso tenuto a inizio anno, per arginare l’invasione, una «crescente crisi umanitaria e di sicurezza ai nostri confini meridionali», che coinvolge «migliaia di immigrati clandestini». Contrariamente a quanto affermato dal Presidente, i dati mostrano che gli attraversamenti illegali lungo il confine con il Messico sono diminuiti considerevolmente negli ultimi 18 anni: nel 2000 venivano arrestate 1,6 milioni di persone mentre nel 2018 le persone fermate sono state 400.000. Le espulsioni sono cresciute notevolmente sotto la presidenza Obama che contribuì a investire risorse economiche e organizzative per sorvegliare la frontiera, lungo quello che può essere tranquillamente definito il confine tra nazioni in pace più militarizzato nel mondo, grazie al dispiegamento imponente di forze armate speciali adibite al presidio della linea di confine, la Border Patrol. Nonostante il grande impegno profuso in queste azioni di contrasto, la questione dell’immigrazione irregolare non è stata risolta (sono circa 11 milioni gli immigrati senza permesso di soggiorno negli USA) e anche questa fissazione di Trump di erigere un nuovo muro, oltre che un anacronistico simbolo di una politica migratoria tronfia, irrigidita e respingente, rischia di risultare tremendamente inutile rispetto agli obiettivi che si vorrebbero raggiungere.
La quota maggiore di immigrazione illegale negli States è infatti dovuta non agli ingressi, bensì alle permanenze oltre la scadenza dei visti concessi. Basti osservare che secondo fonti del Dipartimento per la sicurezza nazionale (DHS), nel 2018 più di 700.000 persone entrate legalmente nel Paese non hanno rispettato la data ultima attesa per la loro partenza. Il muro non fermerà l’immigrazione non autorizzata, per contrastare la quale servirebbero altre misure, che però danneggerebbero settori economici importanti come quello del turismo.
Il muro potrebbe risultare inefficace anche rispetto all’altro obiettivo dichiarato da Trump, quello di fermare il traffico di droghe pesanti importate negli Stati Uniti. Se è vero infatti che la maggior parte dell’eroina che entra negli Usa è di provenienza messicana, è altrettanto verificato (lo sostiene l’Agenzia federale antidroga statunitense, DEA) che il trasferimento di sostanze stupefacenti avvenga prevalentemente attraverso porti legali di ingresso, tramite la pratica del contrabbando e dell’occultamento all’interno di trasporti privati e commerciali, e solo una minima percentuale venga introdotta in corrispondenza delle zone comprese tra i punti di ingresso, dove oggi si vorrebbe espandere la barriera.
All’ombra del muro, abusi e violazioni
Il 40% dei migranti fermati alla frontiera tra Messico e Stati Uniti è costituito da minori. Molti di coloro che arrivano al confine provengono dalle crisi dell’America Centrale, spesso sono famiglie con bambini che scappano dalla violenza e fuggono dalla povertà; sopraggiunti al confine si arrendono alle autorità americane e invocano lo stato di rifugiati per motivi umanitari, richiedendo protezione per non tornare nel luogo da cui provengono e nel quale rischiano la vita. Nessun muro, per quanto solido, invalicabile e “artistico”, potrà impedire la loro richiesta di aiuto e l’invio legittimo ai servizi per la concessione dell’asilo. E le invettive lanciate da Trump contro le carovane di campesinos, poveri, donne e bambini, trattati alla stregua di criminali e considerati una minaccia per la sicurezza del suo Paese, risuonano come espressione della paura e dell’odio e provano l’ottusità di una politica che non sa affrontare realmente i problemi — né riconoscerne le cause — ma solo proporre soluzioni sensazionalistiche e inefficaci.
Da tempo, organizzazioni umanitarie denunciano gravi violazioni di diritti dei richiedenti asilo al confine tra Usa e Messico, da parte di entrambi i Paesi. L’impatto delle politiche sull’immigrazione introdotte dal presidente Trump ha causato respingimenti illegali alla frontiera e la detenzione illegale di migliaia di famiglie, compresi bambini e neonati, nei centri per immigrati degli Usa. Amnesty International ha riportato casi di famiglie con bambini e neonati in detenzione per oltre 600 giorni. Risale al giugno scorso l’episodio, documentato dalle immagini di un video diffuso da una Ong di giornalismo investigativo, di bambini separati dai genitori arrestati al confine tra il Texas e il Messico e rinchiusi in un centro di detenzione. La vicenda aveva creato qualche temporaneo imbarazzo all’Amministrazione, inducendo il presidente a correggere in parte le misure di “tolleranza zero” imposte contro i migranti.
Questo accade all’ombra del muro. Un paese che non ha il coraggio di adottare politiche serie e concrete in tema di immigrazione e si limita ad erigere muri rischia di rimanere intrappolato nelle proprie posizioni, precludendosi anche ogni possibilità di futuro. Il coraggio della fraternità, di cui tratta l’editoriale citato da Papa Francesco, è invece l’unico antidoto alla chiusura sterile e impaurita che oggi governi e istituzioni dovrebbero assumere per affrontare le sfide del nostro tempo: «La fraternità è fondamentale, è nei fratelli, in questa apertura dei nostri legami, la fonte della forza che ci permette di affrontare la paura».
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 20, NUMERO 1, Dicembre 2019