Una interpretazione costituzionale

(Luca Gori, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa)

 

Ridotto all’essenziale, in termini costituzionalistici, il quesito è il seguente: è ammissibile, ai sensi dell’art. 11 della Costituzione, che la Repubblica italiana, pur non partecipando direttamente al conflitto bellico, invii all’Ucraina armi e supporti logistici? È questa la questione di fondo che ci interessa direttamente ora.

 

 

L’art. 11 in Assemblea costituente

È indubbio che l’art. 11 Cost. sia stato il frutto di un articolato dibattito in Assemblea costituente. L’Autore della disposizione, nella versione sostanzialmente vigente, fu il democristiano Giuseppe Dossetti. Fu il socialista Treves che formulò per primo la proposta di aggiungere il ripudio della guerra intesa non solo come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, ma anche come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali. L’intento era quello di andare ben al di là della condanna della guerra di conquista (sulla cui esatta definizione, anche in Assemblea costituente, vi fu un certo dibattito), accogliendo l’idea di una condanna della guerra tout court, salvo per l’ipotesi di guerra difensiva della Patria, a tutela dell’integrità del territorio dello Stato (art. 52 Cost.). Si ricorderà pure l’intervento dell’azionista Leo Valiani, che propose un emendamento con cui si intendeva affermare, in sostanza, il principio di neutralità della Repubblica (principio non accolto, nella Costituzione repubblicana). La formulazione definitiva, frutto della proposta di Meuccio Ruini (seduta del 24 marzo 1947) mirava a dare – nell’intenzione del proponente – una portata più generale al ripudio della guerra «come risoluzione delle controversie internazionali», di cui ripudio della guerra «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli» sarebbe un caso particolare.

L’utilizzo dell’espressione ripudia risulta poi particolarmente connotante. Non si tratta di un mero rifiuto, di una non accettazione o di una mera condanna. Significa un disconoscimento profondo, in una accezione giuridicamente e moralmente negativa, di un complessivo impianto di risoluzione delle controversie internazionali che mina radicalmente i valori posti alla base del patto costituzionale repubblicano.

Tuttavia, i costituenti – nel proclamare il ripudio della guerra – stabilirono, come linea di politica costituzionale, l’inserimento dell’Italia nel quadro di organizzazioni internazionali di sicurezza collettiva. La seconda parte dell’art. 11, infatti, afferma che l’Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Nell’interpretazione prevalente, quest’ultima parte della disposizione avrebbe potuto comportare il vincolo del rispetto di clausole derivanti da accordi e trattati internazionali che implicassero il ricorso alla forza armata ed eventualmente all’impiego della guerra. Si trattava forse di un aspetto non adeguatamente valorizzato, all’epoca, ma che la realtà internazionale ha posto all’attenzione degli attori istituzionali e degli interpreti con frequenza. Sembra corretto, dunque, optare per una lettura “unitaria” dell’art. 11 Cost., che offra un bilanciamento complessivo fra “ripudio” e appartenenza italiana alla comunità “organizzata” degli Stati. 

Casi di “uso della forza” costituzionalmente legittimi

Esisterebbero quindi, nel corpo dell’art. 11 Cost., almeno due casi di deroga al principio del ripudio: l’ipotesi della difesa da aggressioni esterne e l’adeguamento a decisioni degli organi internazionali (ONU, in particolare) che implichino il ricorso all’uso della forza o addirittura la partecipazione a conflitti armati funzionali, tuttavia, ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni. 

L’art. 11 Cost. vive così nella storia e deve confrontarsi con i problemi emergenti dall’evoluzione del concetto stesso di “guerra” che è mutato rapidamente rispetto a quanto potevano immaginare i Costituenti all’indomani della seconda guerra mondiale. La prassi, oggi, segnala l’esistenza di operazioni di peace keeping, di peace building, peace enforcing, interventi umanitari, interventi di stabilizzazione, ecc. Esiste, cioè, una vasta gamma di “conflitti armati” o potenzialmente tali che hanno un impatto sull’interpretazione ed applicazione dell’art. 11 Cost. 

Basterà citare l’evoluzione del concetto nella guerra del Golfo (1990), del Kosovo (1999), in Afghanistan (2001) e in Libia (2011). Ma anche il problematico e divisivo caso della guerra contro l’Iraq (2003). In altri termini, per comprendere la portata applicativa dell’art. 11 Cost. ci si deve rifare costantemente all’ordinamento internazionale ed alle definizioni che esso recepisce in merito alla conflittualità internazionale che si manifestino anche oltre la forma estrema e della guerra “in senso classico”.

Il caso ucraino

Si potrebbe proporre così una interpretazione dell’art. 11 Cost. alla luce dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. Quest’ultima disposizione riconosce «il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale». Il Consiglio di sicurezza – come noto – non ha potuto deliberare, a causa del veto russo, ma l’Assemblea generale, nella risoluzione del 2 marzo 2022, ha condannato con chiarezza l’aggressione russa (e si sorvola volutamente, in questa sede, sulle difficoltà di funzionamento delle Nazioni Unite). A ciò si aggiunga che anche il diritto internazionale consuetudinario riconosce il diritto di legittima difesa individuale e collettiva, consentendo l’intervento armato di terzi stati in aiuto di uno Stato aggredito. 

L’art. 11 Cost. parrebbe non vietare l’utilizzo della forza per prestare assistenza a uno Stato che reagisca ad un attacco armato, offrendo forme di soccorso all’aggredito, prestato anche tramite invio di armi, così come la discesa in campo diretta. Ciò è certamente conforme al diritto internazionale generalmente riconosciuto, ma anche alla disciplina pattizia. In tale prospettiva, la scelta italiana del supporto all’Ucraina risulterebbe pienamente in linea col diritto internazionale e, quindi, col diritto costituzionale. Ciò è vero a condizione che l’invio di armamenti all’esercito ucraino sia funzionale, in via esclusiva, alla reazione ad un uso illegittimo della forza da parte di un aggressore esterno; se, invece, tali armi fossero utilizzate per attacco, tale condizione di ammissibilità scomparirebbe. 

Ciononostante, non sono mancate da tempo voci critiche rispetto a questa ricostruzione. Già dai tempi della Guerra del Golfo, si argomentava che l’art. 11 Cost. non potesse essere una sorta di ‘delega in bianco’ al diritto internazionale, bensì consentisse una limitazione di sovranità della Repubblica (e al tempo stesso un impegno positivo), condizionata all’effettivo perseguimento, da parte delle organizzazioni internazionali in questione, della pace e della giustizia tra le Nazioni. Cosicché, laddove i trattati internazionali avessero consentito l’utilizzo della guerra, sebbene a determinate condizioni, essi si sarebbero posti in contrasto con la Costituzione. Altrimenti, la portata del “ripudio” sarebbe attenuata, esposta alle contingenze ed agli accordi fra gli Stati nelle organizzazioni internazionali. Accogliendo questa linea, tuttavia, si apre la via a una sorta di “neutralità” che l’art. 11 – se letto nella sua globalità – non pare accogliere. 

Le questioni aperte

Il dibattito, quindi, rimane aperto. Ma accanto alle questioni di più stretta attinenza con l’art. 11 Cost. e con la nozione di “guerra” ivi accolta, ve ne sono almeno due che meritano di essere segnalate. 

In primo luogo, occorre domandarsi seriamente come risponde l’organizzazione costituzionale dei poteri ad una crisi di questa portata. In che modo il Parlamento, espressione della sovranità nazionale, è coinvolto? Quali indirizzi riesce ad esprimere al Governo? Quale regime di trasparenza e di conoscibilità deve essere assicurato alle scelte concrete compiute dal Governo italiano (non si può dimenticare che gli elenchi di materiale bellico forniti all’Ucraina sono coperti da segreto)? Quale ruolo spetta al Capo dello Stato, nell’esercizio dei suoi poteri costituzionali? Su questo l’art. 11 Cost. non interviene, ma – come è facile intuire – si tratta di una questione che incide profondamente sulla sua portata. 

In secondo luogo, l’aver individuato una via di risoluzione possibile delle questioni giuridiche non esclude la necessaria, impellente riflessione sulle vie da perseguire per ottenere la pace. La liceità costituzionale del supporto militare all’Ucraina, in altri termini, non fa venire meno l’obbligazione costituzionale a “ripudiare” la guerra in quanto tale ed a “perseguire” un «ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». Non possiamo dimenticare questo “dover essere” costituzionale.

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 23, NUMERO 2, Giugno 2022