(di Ricky Barone)

 

Siamo le persone che stavamo aspettando

Fuori dalle rovine della guerra dell’odio

Un amore come il nostro non si è mai visto prima

Siamo le persone che stavamo aspettando

Siamo le persone dalla mano aperta

Le strade da Dublino a Nôtre Dame

Le  costruiremo meglio di prima

Siamo le persone che stavamo aspettando

(We are the people by Martin Garrix, Bono, The Edge)

 

 

Quante volte abbiamo canticchiato We are the people, inno dei Campionati Europei di calcio 2020, spostati causa Covid nel 2021 e vissuti da noi italiani come una lunga cavalcata vincente, dalla prima all’ultima partita, dall’11 Giugno all’11 Luglio? Un brano che mette al centro i valori di solidarietà, di fratellanza e di pace, e che invita a ricostruire un mondo migliore, dopo aver pazientemente aspettato. Una vittoria attesa per ben 53 anni, la seconda per l’Italia ai Campionati Europei, dopo quella del 1968, in Italia. Questa edizione, la sedicesima, per la prima volta si è svolta in maniera itinerante, toccando diverse città (Roma, Amsterdam, Baku, Bucarest, Budapest, Copenaghen, Glasgow, Londra, Monaco, Siviglia e S. Pietroburgo). Idea certamente interessante, che però ha creato parecchi problemi logistici a causa dei quali difficilmente verrà riproposta.

Come spesso succede, soprattutto in un torneo breve e intenso, giunto tra l’altro dopo due stagioni difficili e con impegni molto condensati causa Covid, il pronostico della vigilia, che attribuiva alla Francia il ruolo di indiscussa favorita e che assegnava all’Italia pochissime chances, è stato ribaltato dai risultati conquistati sul terreno di gioco. Citando il grande Nereo Rocco, che sosteneva che “il calcio è come la vita”, alla fine il verdetto è stato stabilito dal campo, come la vita è determinata dalla realtà. Una volta di più il calcio si è confermato gioco di squadra, il premio è andato alla squadra migliore e non a quella con le individualità migliori. Non che nell’Italia non giochino bravi giocatori, ce ne sono sicuramente tanti, alcuni ottimi (Jorginho, Chiesa, Spinazzola, Chiellini e Bonucci, Verratti, Barella, Insigne) e un potenziale fuoriclasse (Donnarumma), però è certo che il valore aggiunto dell’Italia è stato il gruppo, costruito con sapienza, competenza e straordinaria capacità di gestione dal selezionatore Roberto Mancini, il vero fuoriclasse dell’Italia.

Partiamo però dalle dichiarazioni fatte dal difensore centrale Leonardo Bonucci al termine della finale, giocata contro la squadra padrona di casa, l’Inghilterra, a Londra, nello stadio di Wembley:  «L’abbiamo fatto davvero, è incredibile. È incredibile veramente, se solo penso a dove eravamo partiti. Il bello è che quando toccano il fondo i veri uomini trovano la forza per risalire. Noi dobbiamo dire grazie ad un grande allenatore, a un grande presidente, a un grande gruppo, a grandi tifosi, a una grande squadra e alla grande squadra che c’è dietro le quinte. Questo trofeo è merito di tutti quanti, è merito di una grande nazione che nonostante tutte le difficoltà è arrivata a questo evento con la gioia e l’emozione dei grandi. Ed è veramente uno spettacolo, ce lo godiamo e la coppa verrà a Roma con noi, non resterà qui!».

Bisogna infatti ricordare che l’Italia nell’ultimo decennio non aveva conseguito risultati eclatanti: eliminata al primo turno nel mondiale del 2010, seconda ma strapazzata in finale dalla Spagna (che ci sconfisse 4-0) agli Europei del 2012, eliminata al primo turno ai mondiali del 2014, eliminata ai calci di rigore contro la Germania ai quarti di finale dei campionati Europei del 2016, ma soprattutto non qualificata per la fase finale dei mondiali del 2018 in Russia.  Ed è proprio da qui che dobbiamo partire, da quel fatidico 13 Novembre 2017 allo stadio Meazza di Milano, dal pareggio interno, 0-0 contro la Svezia, che aveva sancito l’esclusione dell’Italia dai mondiali di Russia 2018, vinti poi dalla Francia. Come ha detto Bonucci, che in quella partita contro la Svezia era presente, con Chiellini, Immobile, Jorginho e Florenzi, i grandi uomini sanno però rinascere dalle ceneri, non si perdono d’animo, e trovano proprio nella sconfitta, nell’umiliazione, la forza per ripartire.

E così è stato, complice l’arrivo come guida tecnica di Roberto Mancini, capace di guardare in faccia i propri calciatori come dei figli, di aspettarli, di incoraggiarli e di essere chiaro e sincero anche nell’esclusione di qualcuno. Una guida sicura, stimata e apprezzata da tutti. Lo dimostra il fatto che nessun calciatore, nemmeno durante le sostituzioni, nemmeno tra quelli rimasti a casa, si sia mostrato polemico o irritato nei suoi confronti. Il merito di Roberto Mancini, oltre ad aver dato un gioco moderno e costruttivo all’Italia, spesso accusata, soprattutto dagli avversari, di praticare un calcio conservativo, sparagnino, tendente solo al risultato (il famoso calcio all’italiana), è stato di essere riuscito a  creare un gruppo di amici, capaci di applicare in campo i legami costruiti al di fuori, di aiutarsi, di fare lo sforzo per il compagno in difficoltà, di incoraggiare, di sostenere, di mirare al bene comune prima che al proprio bene. Questo ha reso coeso il gruppo, ha fatto di tante individualità una squadra, ha dato fiducia, forza e coraggio. «Sembravamo studenti in gita alla conquista del campionato Europeo» ha dichiarato Spinazzola, grande protagonista di questi Campionati, fino alla partita contro il Belgio, durante la quale si è rotto il tendine di Achille.

Non indifferente è stata anche la scelta, in un contesto che spesso non valorizza le glorie del passato, di aver riproposto in Nazionale lo zoccolo duro della strepitosa Sampdoria di trent’anni fa, Gianluca Vialli, Attilio Lombardo, ma anche Fausto Salsano, Alberico Evani e Giulio Nuciari, che hanno dato tanto in termini di competenza, esperienza e amicizia. Nel suo percorso l’Italia, dopo aver superato agevolmente la fase a gironi, ha messo in campo tutte le proprie doti, che nel calcio non sono solo quelle tecniche e atletiche. Ha saputo superare difficoltà inattese contro l’Austria, sconfitta 2-1, ha battuto con grande caparbietà il Belgio di Lukaku e Van Bruyne (2-1), è stata resiliente contro la Spagna, che ci ha irretiti con una grande possesso palla, 1-1 al termine dei tempi supplementari ma eliminata poi ai calci di rigore e infine ha vinto in maniera esaltante la finale contro i padroni di casa inglesi, sostenuti nel mitico Wembley Stadium da 58.000 spettatori, contro uno sparuto gruppo di 6.600 tifosi italiani.

La finale, giocata l’11 Luglio, lo stesso giorno della vittoria dei campionati del Mondo del 1982, è stata al cardiopalma e si è conclusa, come la semifinale contro la Spagna, ai calci di rigore, dopo l’1-1 al termine dei 120 minuti giocati. La squadra dei Tre Leoni era partita meglio, in vantaggio dopo soli 2 minuti ad opera di Shaw. L’Italia, dopo alcuni momenti di sbandamento, anche tattico, è riuscita però a ritrovarsi, ha cominciato a macinare gioco (61% contro 39% il possesso palla per l’Italia al termine della partita) ha recuperato campo, ha creato occasioni ed è riuscita poi in mischia su calcio d’angolo a conquistare il pari con Bonucci, grande protagonista di questi campionati e della finale, nella quale è stato eletto Star of the match, dopo una stagione mediocre con la Juventus. La partita è stata intensa, giocata con grande impegno dalle due squadre che si sono trovate, stanchissime, sul risultato di parità dopo 120 minuti. Ed ai rigori siamo stati ancora una volta più bravi noi, anche se non impeccabili, perché ne abbiamo sbagliati due, a fronte dei tre sbagliati dalla squadra inglese. Donnarumma, il portiere dell’Italia, è stato decisivo, parando i tiri degli ultimi due rigoristi inglesi, i giovani Bukayo Saka e Jadon Sancho. Una vittoria meritata, conquistata da uomini veri, nonostante le bordate di fischi subiti durante l’Inno nazionale e per tutta la partita, al cospetto dei reali d’Inghilterra, William e Kate con il piccolo George.

Un trionfo che ci rende orgogliosi, soprattutto per la maniera con il quale è stato ottenuto, con caparbietà e determinazione ma anche con leggerezza e senza ansia, quasi col sorriso sulle labbra, con la volontà di affrontare a viso aperto qualsiasi avversario. Un gioco più moderno e propositivo rispetto a quello storicamente proposto dagli Azzurri, che ha stupito gli osservatori internazionali. Gli italiani sono un popolo dai valori importanti e questa straordinaria vittoria lo ha dimostrato a tutta Europa e a tutto il mondo. Gli inglesi invece, nonostante la bella prestazione fornita da una squadra giovane e talentuosa non ne sono usciti molto bene. Le insistenze nel non ascoltare le voci della Ue (Merkel e Draghi in primis) circa il cambio di sede o almeno la riduzione del numero di spettatori per la finale, causa aumento dei casi Covid in Inghilterra, gli insulti ai tifosi italiani, i fischi all’Italia, l’uscita dallo stadio da parte dei supporters inglesi (compreso il Principe William con famiglia) prima delle premiazioni e infine il togliersi (quasi tutti) la medaglia del secondo classificato, in sfregio ai vincitori, sono state macchie che contrastano pesantemente con il tanto decantato fair play inglese, alle quali ha cercato di mettere una pezza capitan Kane con dichiarazioni in linea con i valori dello sport: «Non avrei potuto dare di più, i ragazzi non avrebbero potuto dare di più. Stavamo giocando contro l’Italia, una squadra molto buona. I rigori sono la sensazione peggiore al mondo quando si perde. I ragazzi hanno fatto tutto il possibile, semplicemente non era la nostra serata».

Bella e inedita l’immagine del Presidente della Repubblica Mattarella esultante con le braccia alzate, un gesto che speriamo incoraggi il rilancio dell’intero Paese, dopo le stagioni buie della pandemia.

Ci sembra giusto concludere con le splendide parole, tratte da un discorso del Presidente americano Roosevelt, espresse da Gianluca Vialli, grande campione anche nella sofferenza e amico fraterno nonché braccio destro di Roberto Mancini, due giorni prima della finale:

Non è colui che critica a contare, né colui che indica quando gli altri inciampano o che commenta come una certa azione si sarebbe dovuta compiere meglio. L’onore spetta all’uomo nell’arena. L’uomo il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue. L’uomo che lotta con coraggio, che sbaglia ripetutamente, sapendo che non c’è impresa degna di questo nome che sia priva di errori e mancanze. L’uomo che dedica tutto se stesso al raggiungimento di un obiettivo, che sa entusiasmarsi e impegnarsi fino in fondo e che si spende per una causa giusta. L’uomo che, quando le cose vanno bene, conosce finalmente il trionfo delle grandi conquiste e che, quando le cose vanno male, cade sapendo di aver osato. Quest’uomo non avrà mai un posto accanto a quelle anime mediocri che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta.

Franklin D. Roosevelt

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 22, NUMERO 4, Settembre 2021