Intervista al Prof. Gustavo Pietropolli Charmet

(a cura di Meri Polito)

Essere figlio è l’esperienza che accomuna ogni essere vivente, l’unica. Abbiamo chiesto al prof. Pietropolli Charmet, noto psicanalista e psichiatra, di raccontarci come si struttura la coscienza dell’essere figli e quali possono essere le conseguenze, nella vita di una persona, di una filialità ferita.

 

 

Quali sono le valenze psicologiche dell’essere figli, inteso come il sapere di avere un’origine precisa sia nello spazio che nel tempo e nel cuore di qualcuno?

Una questione che si apre progressivamente nella mente dei bambini è quella di volere ad un certo punto interrogare a fondo la realtà in cui vivono, il sistema di relazione degli adulti loro vicini per essere aiutati a capire meglio il mistero delle proprie origini. Non si diventa grandi se non si risolve questo problema. Precisamente il problema è: “Perchè mi avete fatto nascere? Chi eravate quando avete preso questa decisione? Cosa/chi vi aspettavate?”. La risposta a queste domande aiuta a capire l’importanza che si ricopre a livello personale nella dinastia della famiglia, nella storia della famiglia. Che livello di aspettativa c’è nei propri confronti rispetto alla generazione dei nonni? Qual è il compito che viene implicitamente affidato dal padre e dalla madre al figlio? È un lungo lavoro quello che il bambino fa per imparare a diventare figlio. E lo fa mentre contemporaneamente aiuta La bellezza ed il lavoro dell’essere fi gli sia il padre sia la madre a scoprire il mistero segreto del proprio ruolo e delle proprie funzioni e quindi del trasformarsi della donna in madre e dell’uomo in padre. Lo fa stimolando, proponendo, mandando segnali di gradimento e viceversa. Nel frattempo il figlio studia cosa vuol dire diventare figlio aiutando il padre e la madre a non commettere troppi errori. Negli studi psicoanalitici si pensa ai bambini come a dei piccoli “meteorologi” che devono riuscire a capire sin di buon mattino che “aria tira” e cioè se la mamma è di buono o cattivo umore, se si può fare un certo tipo di proposta oppure no, se si può tenere un certo tipo di atteggiamento. Essere figli perciò risulta un “mestiere” molto precoce che precorre quello che sarà il percorso di inserimento a scuola, nel gruppo, nelle relazioni sociali, umane, affettive decisive per gli sviluppi successivi.

In che epoca della vita si struttura la consapevolezza psicologica/emotiva dell’essere figli?

La mia opinione personale è che nel corso degli ultimi anni si sia esagerato nell’attribuire un’importanza decisiva nel futuro psicopatologico delle persone a cio che succede nei primissimi anni di vita. E vero che bisogna stare attenti o essere prudenti — ed e spettacolare cio che succede nei primi anni di vita — pero credo che nelle fasi successive alla prima infanzia (le teorie piu recenti sulla psicologia del ciclo di vita fanno pensare che la vita sia divisa in cicli) si riapra una possibilita al processo decisionale e quindi l’organizzazione del proprio funzionamento mentale puo variare in preadolescenza, adolescenza, nella fase di giovane adulto e adulto. E cosi possibile ogni volta decidere come interpretare i nuovi compiti… puo essere cosi disdettato l’imprinting originario negativo. Invece teorie dell’attaccamento, del trauma sono estremamente perentorie: e successa questa o quell’altra cosa, continuerai a soffrire di questo attaccamento insicuro per cui non ti sembrera mai di essere veramente amato, di essere veramente in grado di amare. Mi sembra che queste cose non trovino conferma in quello che ho visto e vedo nel mio lavoro. Non e cosi. C’e certamente un’influenza importante, ma si puo “disdire” il passato e ricominciare da capo. Bisogna essere un po’ fortunati, volenterosi e… di buon umore! Essere figli e un lungo lavoro, un mestiere che si impara, non solo una proiezione affettiva ma un ruolo familiare, un ruolo affettivo e anche un ruolo sociale. All’interno della microstruttura sociale che e la famiglia, questa ridistribuzione di compiti e diventata oggi importante. Adesso i compiti che vengono affidati al figlio non sono banali: il figlio non e solo il destinatario, il ricettore di ingiunzioni o di affetti, ma ha anche compiti piu complicati. Ci sono bambini che gestiscono bene i loro genitori, benissimo: hanno studiato a fondo la mamma e il papa e sanno come comportarsi non per ottenere vantaggi strumentali, ma per tenere basso il livello della conflittualita per ottenere di volta in volta cio che desiderano.

Sono molte le ferite della filialità: l’abbandono, l’incuria affettiva o fisica, gli abusi… È possibile sanare queste ferite? Sarà ancora possibile essere felici o pensare che la vita abbia un senso?

Penso di si. E vero che si rimane colpiti e sgomenti dalle conseguenze che puo avere ad esempio un abuso sessuale precoce soprattutto se proveniente da figure domestiche, familiari. E proprio così: si disarticola il processo di crescita, la capacita di avere buoni rapporti. Per poter uscire da una tale situazione e necessario allora che il bambino faccia un lavoro su di se aiutato dalla rete delle relazioni degli adulti che lo circondano. È necessario aiutarlo a riprendere la crescita, ristabilendo una relazione di fiducia con gli adulti che e spezzata. La bambina che e stata molestata, abusata in famiglia è diffidente, è gravemente diffidente, non si affida, non si confida. Io lavoro da 50 anni in una comunità per bambini allontanati dalla famiglia, su decreto del tribunale, per abusi, maltrattamenti, ecc. e i risultati sono molto soddisfacenti. Ci troviamo ad avere bambini che sono come “restaurati” dal trauma originario, ma ingabbiati dentro una serie di questioni giuridiche in attesa di processi giudiziari. C’è il grosso problema di trovare loro delle famiglie. Ci sono una serie di questioni che non dipendono più dal trauma infantile precoce, perché quello è stato recuperato, ma dal contesto che non è facile perché la famiglia rimane ipotecata da ciò che i giudici hanno decretato. Io direi, in linea di massima, che in Italia abbiamo sviluppato una competenza sufficiente per organizzare risposte efficaci e intelligenti al problema dei traumi e degli abusi infantili con ottima possibilità di ripresa. Non si deve però pensare solo in termini assistenziali, ma pensare fortemente in termini educativi nel senso di una ripresa con strumenti e saperi educativi forti.

Esiste un modo differente di essere figli tra il maschile e il femminile?

Cred che le variabili in gioco siano molteplici perché dipende moltissimo dalla qualità di aspettative e di relazioni che il padre e la madre hanno con la femminilità e la virilità. Rispetto al passato, mi pare che uno dei princìpi innovativi più rispettato in Italia sia quello di regalare delle pari opportunità ai figli maschi e alle figlie femmine in famiglia. È una grande novità: alle figlie femmine oggi vengono offerte le stesse opportunità sportive, sentimentali, di apprendimento e di conoscenza di quelle offerte ai figli maschi. Si è molto attenuata la differenza di vita, di impostazione, di valore, di significato e l’invidia delle figlie femmine rispetto ai figli maschi mi sembra sia stata sostituita da un certo sentimento di superiorità non infondato. C’è un modo diverso di vivere la filialità nelle varie epoche della vita, nell’infanzia, nell’adolescenza, nella gioventù, nell’adultezza e anche nella vecchiaia? Io ho figli grandi, perché sia mio figlio sia mia figlia hanno più di 50 anni. Il fatto che io sia diventato nonno grazie a loro mi ha trasformato. L’investimento ora è più sui nipoti che sui figli verso i quali non ho niente da dire, ma ho da condividere con loro i momenti difficili, la loro vita, commentare e condividere successi e affermazioni, ecc. però il rapporto cambia moltissimo. Faccio l’esempio di cosa succede ad un figlio di 50 anni rispetto a suo padre. Rimane una relazione unica, non c’è nessun altro essere vivente con il quale io abbia una relazione come quella che ho con mio figlio/a e credo che sia così anche per loro. C’è attesa di una intesa con la paternità e con la maternità, con la filialità che è unica e specifica. Dipende molto da come si è giocata la partita in tutti i decenni precedenti. Arrivati a questo punto io ne ho 80 e loro 51 e 53 e siamo ancora padre e figli.

Onora il padre e la madre: cosa significa per un figlio dover onorare la propria origine? Ha ancora valore questo comandamento?

Oggigiorno il padre e la madre hanno cambiato in modo così radicale il loro modo di interpretare la relazione affettiva ed educativa con i figli che non so se si possa più dire “onorare”, se non inteso in modo molto simbolico, molto etico come il portare un particolare rispetto a quella persona perché è tuo padre e sentirlo in modo diverso da qualsiasi altro essere vivente. Il padre non è più il padre etico, della legge, e non vuole essere onorato, né temuto. Vuol essere amato ma in un modo tutto particolare. La madre postmoderna ha con i figli una relazione diversa dalla madre moderna. Li spinge molto verso l’autonomia. Tutti lavorano. Tutti si riempiono le agende di impegni. Non c’è più quella venerazione che era implicitamente richiesta dal padre e dalla madre. Non credo che mio padre e mia madre facessero qualcosa di speciale per farsi onorare. Venivano onorati implicitamente perché tutto il contesto simbolico, educativo, affettivo e relazionale portava a questo. Oggi come oggi a me non sembra che il padre arrivi nella cameretta e dica: «Oh, ricordati che io rappresento lo Stato, la legge, l’ordine». Mi sembra che siano loro per primi a dimettersi da questa funzione assumendone una che non richiede di essere onorati e neanche obbediti, ma di essere capiti e ascoltati. Bisognerebbe cambiare un po’ la parola, ma a me invece piace conservarla. Lo scriverei nell’anticamera del nostro consultorio: onora il nome del padre. Perché effettivamente noi lavoriamo con gli adolescenti e se c’è una presenza che serve nell’adolescenza è quella del padre. Più padre e meno madre. Se c’è il padre le cose si mettono a posto, altrimenti tutto si complica.

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 19, NUMERO 4, Dicembre 2018

 

Gustavo Pietropolli Charmet ha conseguito la Laurea in Medicina presso l’Università degli Studi di Padova, proseguendo poi il suo percorso con una specializzazione in Psichiatria all’Università di Milano. Ha lavorato come psichiatra, aiuto e primario di psichiatria all’Istituto Paolo Pini di Milano, quindi è diventato assistente e ordinario all’Istituto di Psicologia della facoltà di Filosofi a di Milano. È stato docente di Psicologia Dinamica all’Università di Milano. Tra gli incarichi ricoperti: direttore della scuola di Specializzazione in Psicologia del Ciclo di vita; presidente dell’Istituto di Analisi dei Codici Affettivi Minotauro da lui fondato e del Centro aiuto famiglia e al bambino maltrattato; responsabile scientifico dell’associazione L’amico Charly. Da circa venticinque anni è presidente del CAF Onlus Centro Aiuto al Bambino Maltrattato e alla Famiglia in Crisi. Nel corso degli anni Novanta è stato nominato dal Consiglio Superiore della Magistratura Giudice Onorario del Tribunale per i Minorenni.

Attualmente è socio della Cooperativa Minotauro, docente della Scuola di Psicoterapia dell’Adolescenza ARPAD Minotauro, Milano e Responsabile scientifico Comunità Residenziale per i disturbi della condotta alimentare Casa per la Salute della Mente di Brusson, Valle d’Aosta e Direttore Scientifico dell’Osservatorio Giovani IPRASE di Trento. È Direttore scientifico della collana “Adolescenza, educazione, affetti” dell’editore Franco Angeli Editore di Milano e dal 2015 della collana Parenting della BUR. Ha collaborato al Festival della Mente di Sarzana nel ruolo di consulente scientifico della XIV edizione (2017) e di direttore scientifico dal 2014 al 2016 (XI, XII e XIII edizione).

Principali pubblicazioni:

  • Pietropolli Charmet, L’insostenibile bisogno di ammirazione, Laterza, Bari, 2018
  • Pietropolli Charmet, M. Aime, La fatica di diventare grandi. La scomparsa dei riti di passaggio, Einaudi, Torino, 2014
  • Pietropolli Charmet, L. Turuani, Narciso innamorato. La fine dell’amore romantico nelle relazioni tra adolescenti, Rizzoli, Milano, 2014
  • Pietropolli Charmet, Non solo belli. Beati quelli che sogneranno insieme ai figli, San Paolo Edizioni, Milano, 2014
  • Maggiolini A., Pietropolli Charmet, Manuale di psicologia dell’adolescenza: compiti e conflitti, Serie di psicologia, F. Angeli, Milano, 2004
  • Pietropolli Charmet, Bignamini S., Comazzi D., Psicoterapia evolutiva dell’adolescente, Psicoterapie, F. Angeli, Milano, 2010
  • Pietropolli Charmet, Amici, compagni, complici, Adolescenza, educazione e affetti, F. Angeli, Milano, 1997
  • Pietropolli Charmet, Piotti A., Uccidersi. Il tentativo di suicidio in adolescenza, Psicologia clinica e psicoterapia, Cortina Raffaello, Milano, 2009
  • Pietropolli Charmet, Marcazzan A., Piercing e tatuaggio. Manipolazioni del corpo in adolescenza, Adolescenza, educazione e affetti, F. Angeli, Milano, 2000
  • Pietropolli Charmet., Ragazzi sregolati. Regole e castighi in adolescenza, Adolescenza, educazione e affetti, F. Angeli, Milano, 2001
  • Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte a una sfida, Psicologia clinica e psicoterapia, Raffaello Cortina, Milano 2000
  • Pietropolli Charmet., Culture aff ettive in adolescenza, Pedagogia e psicologia, CUEM, Milano, 1991
  • Pietropolli Charmet, L’adolescente nella società senza padri, Minori. Università, Unicopli, Milano, 1990