(Lella Tomasini)

 

Questo è stupefacente.

Che quei poveri figli vedano come vanno le cose

e che credano che andrà meglio domattina.

Che vedano come vanno le cose oggi

e che credano che andrà meglio domattina.

Questo è stupefacente ed è proprio

la più grande meraviglia della Nostra grazia.

E Io stesso ne sono stupito.

 

Charles Péguy

 

Fra tutti gli effetti disastrosi della pandemia di Covid-19 ce n’è uno che si sta facendo avanti, strisciando silenzioso e per questo poco avvertito: una specie di paralisi dell’anima (Simone Weill). Quando paura e terrore diventano stati d’animo durevoli, possono agire come veleni  mortali di fronte a una sventura che sembra surclassare le forze umane e possono diventare una malattia, pericolosa quanto il male che l’ha provocata. San Tommaso scrive, citando Aristotele: «È principalmente nel resistere alla tristezza che alcuni sono detti forti». Resistenza alla tristezza, al tedio, all’accidia, che ostacolano il compimento del bene.

Inscatolati nei limiti dei diversi lockdown, tra le schizofrenie della politica e le contraddizioni della scienza, rischiamo di lasciarci vincere dal sentimento della fatalità e di perdere la fiducia nella possibilità di affrontare le paure che provengono dalla pandemia.  Oppure, al contrario, ci impegniamo a credere di essere forti, più forti di un qualunque virus e di poter confidare ciecamente nelle umane risorse. “Andrà tutto bene” scrivevamo sugli striscioni arcobaleno, appesi alle finestre delle case nella primavera scorsa, quando la pandemia cominciava a mostrare il suo volto. Ma non è andato tutto bene e non sta andando tutto bene. Nessuna delle due strade, quella di poterci garantire una sicurezza basata sulle nostre sole forze, o quella di gettare la spugna di fronte ad un male più grande di noi può rivelarsi accettabile né tantomeno risolutiva.  

È arrivato il momento di rispolverare una virtù passata di moda, ma particolarmente preziosa nei tempi delle crisi: la virtù della fortezza, uno dei sette doni dello Spirito Santo. Una forza spirituale e morale che consente di non lasciarsi andare quando ci sarebbero tutte le condizioni per farlo. Oggi potremmo chiamarla anche resilienza per indicare la «capacità che ha la persona di non mollare, di restare aggrappata alla parete, di non scivolare giù nei vari pendii di cui è fatta la vita personale e civile» (Luigino Bruni). La fortezza, infatti, non si esprime nell’aggressività, bensì nel resistere e nasce dal conoscere e accettare i propri limiti, prima condizione per vincere la paura. Se non ci sapessimo vulnerabili, non riusciremmo mai ad essere coraggiosi, saremmo solo inutilmente spavaldi, millantatori.

Questo però non significa che dobbiamo semplicemente stringere i denti e andare stoicamente avanti. Il carburante della fortezza sta nel desiderio del bene, nella volontà e nella fiducia di ottenerlo, pur riconoscendo le nostre fragilità. Fiducia nel bene è il nome della speranza. La forza di continuare ad andare avanti in questi lunghi e imprevedibili momenti di dolore e paura chiede la capacità di sperare e per sperare, diceva Péguy, bisogna essere molto felici. Bisogna aver ricevuto una grande grazia. La grande grazia all’origine della nostra speranza è bene espressa da queste parole di Don Primo Mazzolari: «l’amore di Cristo alla terra nessuno lo può rubare. Noi lo possiamo crocifiggere, gli possiamo aprire il cuore; ma non possiamo impedire al Signore di volerci bene!». Questa grazia può vincere la paralisi dell’anima. Perché il saperci amati da Dio ci mette in moto, al servizio di una carità fattiva e coraggiosa, capace di conservare la possibilità della gioia anche in condizione di perdurante e pervasiva malattia e difficoltà.

C’è un legame stretto tra fortezza e fede, fede nell’opera di Cristo e dell’uomo;  tra fortezza e speranza di chi aspetta, nell’operosità e nella pazienza, la sua manifestazione; tra fortezza e carità che la rende credibile.

Ancora Mazzolari: «L’umanità tutta ha bisogno di vedere come si pensa, come si lavora, come si costruisce e si governa la casa e la città in vista del Regno di Dio». 

Questo è ciò che, come cristiani, possiamo dare al mondo in questo momento.

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 22, NUMERO 1, Febbraio 2021