I movimenti popolari per la libertà e la democrazia a Hong Kong e in Myanmar
(Padre Gianni Criveller, missionario Pime)
Due popoli stanno resistendo e lottando per la libertà e per la democrazia: Hong Kong e Myanmar. Sono anche due tra le più antiche e importanti missioni del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere), fondate rispettivamente nel 1858 e 1868. E ancora oggi numerosi missionari vi sono impegnati ad annunciare il vangelo della carità e della pace. Sono anche la mia missione: in Hong Kong dal 1991; in Myanmar dal 2018.

I movimenti popolari di Hong Kong
Si tratta di movimenti popolari, sia per quantità che per la qualità della partecipazione pubblica. La storia del movimento democratico di Hong Kong nasce nel 1989, con le grandi manifestazioni di solidarietà agli studenti di Piazza Tiananmen (Pechino). Hong Kong è la sola città al mondo che ogni anno commemora la strage di Pechino: nasce qui la coscienza democratica tra la gente. Grandi manifestazioni per la libertà anche nel 1997 e 2003. Nel 2014 nasce il movimento degli ombrelli dei giovani studenti: sono tanti, pacifici, ordinati e determinati, ma non sono ascoltati. Nel giugno 2019 riparte il movimento popolare: ogni domenica la gente scende in strada, fino a due milioni di cittadini per volta. Le immagini delle manifestazioni oceaniche e pacifiche sono impressionanti. Nel novembre 2019 le elezioni amministrative, con la più alta percentuale di partecipazione mai registrata, vede i candidati democratici vincere tutti i seggi disponibili.
Lo scorso 1 luglio 2020 è entrata in vigore la legge sulla Sicurezza nazionale, imposta da Pechino per mettere fine al movimento popolare di Hong Kong. Da allora si sono moltiplicati gli arresti, i processi e le condanne al carcere di numerosi leader politici e attivisti per la democrazia. Molti di loro sono cristiani, come i giovanissimi Joshua Wong e Agnes Chow, i leader più riconosciuti del movimento pacifico “degli ombrelli” (2014). Agnes, popolarissima non solo a Hong Kong, ma anche in Giappone e in Corea, è cresciuta in una parrocchia guidata da un missionario del Pime, ed era ancora ministrante quando, a 17 anni, iniziò l’attivismo studentesco, motivata, come lei stessa ha dichiarato, dalla sua fede cattolica. Joshua Wong, conosciuto in tutto il mondo, un giovane che non solo ha coraggio, ma anche lucidità e intelligenza politica.
«Non preoccupatevi di quel che dovrete dire»
La dimensione ecclesiale di quanto sta succedendo a Hong Kong è raramente messa in rilievo. Sono stati tradotti in carcere cristiani che hanno preso seriamente l’annuncio evangelico. Impegnati per la libertà, il cui autore è Gesù stesso, sono spinti dalla coscienza della dignità di figli di Dio, creati a Sua immagine, responsabili del bene della comunità degli uomini.
Non sono stati imprigionati perché cattolici. Ma sono democratici, disinteressatamente impegnati per il bene comune perché cattolici.
Il parlamentare e sindacalista Lee Cheuk-yan, 64 anni, è un amico carissimo, molto vicino ai missionari del Pime: con la moglie sindacalista e la figlia frequenta la parrocchia e la casa del Pime. Una vita tutta dedicata alla giustizia sociale, motivati dalla fede cristiana.
Dallo scorso 16 aprile Lee Cheuk-yan ha ricevuto tre condanne al carcere, per un totale di due anni e quattro mesi per “organizzazione di assemblee illegali”. Eppure Lee ha sempre operato pacificamente e svolto un’opera di moderazione nei momenti di tensione.
Nell’udienza dello scorso 6 aprile, di fronte al giudice, Chuek-yan ha riletto la sua vita e la sua condanna alla luce della passione di Gesù, che qualche giorno prima aveva rivissuto nei riti della settimana Santa. «Credo che Gesù è andato incontro al suo destino sulla croce per la nostra salvezza. È stato arrestato, condannato e mandato a morte da Pilato, come un prigioniero politico. Non aveva commesso alcun crimine, se non di servire i poveri, gli oppressi e di predicare il vangelo. L’ideale della mia vita è l’impegno per i diritti del lavoro, dei poveri e degli oppressi e per la democrazia. Ho combattuto per 43 anni e ora, nonostante l’amarezza, continuerò a lottare».
La moglie Elizabeth mi ha detto: «Mio marito ha coscienza di non aver fatto niente di male. Ha fede in Dio, e non si è pentito delle sue scelte di vita».
Lee Cheuk-yan non è l’unico cristiano ad essere stato condannato. Con lui, tra molti altri, anche Martin Lee, il padre della democrazia di Hong Kong. È un avvocato di 82 anni, fondatore del Partito Democratico, tra gli autori della Carta Costituzionale della città. È un credente che partecipa alla Messa tutti i giorni, e vi legge le letture. Lo ricordo presente ai principali eventi della comunità cattolica. Non mancava mai neanche al ricevimento del Consolato Italiano per la festa della Repubblica del 2 giugno. Martin Lee, forse in ragione della sua età ragguardevole, è stato condannato, ma la pena sospesa. Aveva dichiarato che avrebbe voluto seguire i giovani in carcere, condannati per quegli stessi ideali di libertà e democrazia per i quali lui ha speso la sua vita.
Cattolica è la mite intellettuale e avvocato Margaret Ng, 73 anni. La ricordo la notte del ritorno di Hong Kong alla Cina, il primo luglio 1997: era a fianco di Martin Lee al balcone del palazzo del Parlamento. Chiesero la libertà e la democrazia, come promesse dalla nuova Costituzione della città. Condannata a 12 mesi (sospesi), davanti al giudice ha fatto una dichiarazione assai evocativa rivolgendosi a San Tommaso Moro, patrono della professione legale. «Fu processato per tradimento perché non aveva piegato la legge alla volontà del re. Le sue ultime, famose parole sono ben conosciute; mi permetto però di adattarle leggermente per farle mie: Sono una buona servitrice della legge, ma prima ancora del popolo. Perché la legge deve servire il popolo, non il popolo la legge».
Le parole davanti al giudice di Lee Cheuk-yan e Margareth Ng fanno pensare a quelle di Gesù: «Quando sarete arrestati, non preoccupatevi di quel che dovrete dire e di come dirlo. In quel momento Dio ve lo suggerirà» (Mt 10, 19). Questi fratelli e sorelle sono i confessori dei nostri giorni: meriterebbero più riconoscimento. Ma il nostro tempo e questo mondo non amano la libertà.
Tra gli altri cristiani in prigione vorrei ricordare anche la mite parlamentare Cyd Ho e l’impresario Jimmy Lai.
La tragica situazione in Myanmar

La soppressione del movimento popolare di Hong Kong, l’arresto dei parlamentari democratici, la cancellazione delle elezioni, l’utilizzo della pandemia per imporre leggi liberticide in nome della sicurezza nazionale sono state come un segnale: si può fare. Il mondo non guarda. E così i militari del Myanmar, lo scorso primo febbraio, hanno sospeso le elezioni vinte dal partito di Aung San Suu Kyi del novembre 2020, e hanno imposto, per la terza volta nella storia recente, la legge marziale.
Le immagini della resistenza del popolo del Myanmar hanno una grande forza evocativa. In particolare la foto di suor Ann Rosa Nu Tawng (congregazione di San Francesco Saverio) che, lo scorso 28 febbraio a Myitkyina, nello stato di Kachin, ha fermato in ginocchio un plotone armato di polizia.
Ad oggi, mentre scrivo (31 maggio), il bilancio della tragedia è orribile: le persone uccise in modo cruento hanno superato le 840, la gran parte giovanissimi che manifestavano pacificamente. Sono migliaia le persone arrestate e torturate, tra cui molti giovani prelevati dalle loro case nottetempo. Siamo di fronte al martirio di un popolo, che non può più sopportare la crudeltà dell’esercito e dei suoi generali, vere e proprie organizzazioni criminali.
Particolarmente tragica è la repressione contro il popolo Kachin, una delle 136 etnie che compongono la nazione. Aspirano a salvaguardare la loro specificità culturale e religiosa (un terzo della popolazione è cristiana) ed impedire lo sfruttamento delle risorse naturali a favore esclusivo del governo centrale e della Cina. Da sessant’anni i Kachin sono in conflitto con il potere centrale. Si tratta di una delle più lunghe guerre civili al mondo. Da decenni la gente vive in fuga e in campi profughi, con le devastanti conseguenze sociali e familiari che ne conseguono. Ugualmente drammatica è la situazioni dei Careni nello stato centrale di Kayah. Lì ci sono le diocesi di Loikaw e Pekhon, fondate dai missionari del Pime, e importanti centri di vita cattolica e di evangelizzazione per tutto il Myanmar.
La nuova cattedrale di Pekhon è stata attaccata. Nella vicina diocesi di Loikaw il 27 maggio, Alfred Ludu e Patrick Boe Reh, due 18enni cattolici, sono stati uccisi mentre portavano aiuto agli sfollati nella città di Demoso. Poco lontano nel villaggio di Kayan Tharyar, forze armate hanno attaccato la chiesa, uccidendo quattro fedeli e ferendone molti di più, uomini e donne. Nella città di Loikaw è stato ucciso un volontario del seminario regionale. Sono decine di migliaia le persone che hanno abbandonato le case e sono in fuga per la loro salvezza. I conventi di suore accolgono e proteggono molte di loro.
Il Myanmar, una volta conosciuto come Birmania, si stava faticosamente incamminando verso un futuro di speranza e possibilità. Dopo la crudele dittatura militare, durata dal 1962 al 2011, che ha isolato il Paese e impedito lo sviluppo, è precipitato ancora nel terrore. I giovani sono disperati e pronti a morire piuttosto che la loro vita sia lasciata in mano ai militari.
I missionari del Pime evangelizzano in Myanmar dal 1868. Fratel Felice Tantardini, sepolto a Taunggyi, è considerato un santo dal popolo cattolico. In Myanmar hanno speso la loro vita i beati Clemente Vismara, Alfredo Cremonesi, Paolo Manna e Mario Vergara, quest’ultimo beatificato con il catechista Isidoro Ngei Ko Lat.

Deng Jia Xi, 19 anni, simbolo della reazione al colpo di Stato militare in Myanmar, uccisa da un proiettile alla testa (Foto @Corriere-Web-Sezioni)
Il Myanmar è una terra di fede buddhista. Nel 2007 molti monaci sono stati impegnati in prima fila per la libertà nel corso della rivoluzione di Saffron, un termine che indica il colore dorato del saio buddhista. Ora sono anche i cattolici a scendere in strada con la gente. Il coraggio e la disponibilità della gente del Myanmar a donare la propria vita sono una testimonianza del primato della dignità umana e dell’aspirazione alla libertà. Ogni giorno veniamo a conoscenza di storie strazianti di ragazzi e ragazze inermi, coraggiosi e uccisi senza pietà. Purtroppo questi nostri amatissimi fratelli e sorelle vanno incontro a sofferenze e sconfitte. Questo nostro tempo, questo mondo non ama la libertà.
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 22, NUMERO 3, Giugno 2021
Gianni Criveller, teologo e sinologo. Da 30 anni studia, scrive e insegna nella Grande Cina (Taiwan, Macau, Hong Kong e Repubblica popolare cinese). Esperto di culture, religioni e diritti in Cina; studioso di Matteo Ricci, delle strategie missionarie e della controversia dei Riti cinesi. Scrive anche di letteratura e attualità. Dal 2017 è preside dello Studio teologico missionario internazionale del PIME, Monza. Autore di numerosi saggi tradotti in varie lingue, collabora con varie istituzioni accademiche in Italia e all’estero. È missionario del PIME.