(di Teresa Gentiloni)

Un modo di vivere l’amore di Dio per un cristiano è sicuramente l’amicizia spirituale. Basti pensare che nella Parola di Dio l’amicizia ci viene presentata come un dono divino; Dio premia il giusto dandogli un amico: «Un amico fedele è una protezione potente, chi lo trova, trova un tesoro. Per un amico fedele non c’è prezzo, non c’è peso per il suo valore. Un amico fedele è un balsamo di vita, lo troveranno quanti temono il Signore» (Sir 6, 14–16).
Tutto il Vangelo è un racconto di grandi amicizie. Gesù è l’amico degli Apostoli, come della Maddalena, o del centurione, e persino dei bambini. Gesù, poco prima della Sua passione e morte, cosciente che il tempo che Gli restava per stare con i Suoi era ormai giunto al termine e volendo lasciare loro quelle parole–testamento che nascevano dal profondo del cuore e che non avrebbero dovuto mai più essere dimenticate, si manifestò come un amico tra amici: l’icona dell’amico.
Famosa è la definizione che Aelredo di Rievaulx (1110–1167) dà dell’amicizia spirituale: egli le conferisce i caratteri propri di una più grande intimità: l’amicizia diventa «il riposo nella dolcezza di una carità divenuta reciproca».
Ora all’interno del più vasto ambito dell’amicizia spirituale ci soffermeremo sull’amicizia tra laici e consacrati. Si tratta di un tipo di amicizia che ha radici profonde nella storia del Cristianesimo.
Le storie dei Santi ci raccontano di amicizie affascinanti. Tra tutte è emblematica l’amicizia tra Francesco di Sales (1567–1622) e Giovanna Francesca di Chantal (1572–1641). Lei era già vedova quando conobbe Francesco e tra loro nacque un’amicizia che è un unicum nella storia della Chiesa. La loro unione fu così totale da non poter essere spiegata con criteri puramente umani.
Scegliamo all’interno della loro vasta corrispondenza epistolare una lettera che il Santo scrive all’amica: «Gesù è nostro: che i nostri cuori siano sempre Suoi. Egli mi ha reso e mi rende ogni giorno di più, mi pare, o almeno, mi rende sempre più sensibilmente, sempre più soavemente del tutto, in tutto e senza riserve, unicamente, inviolabilmente vostro, ma vostro in Lui e per Lui» (lettera 102).
Questo brano ci fa capire che genere di tenerezza, di solidarietà di affetti, di confidenza e di apertura totale intercorresse tra loro due. Entrambi si erano totalmente dedicati a Cristo e la differenza dei loro stati di vita non era un’obiezione. La storia poi ci racconta come Giovanna fonderà con Francesco di Sales l’ordine delle Visitandine.
Santa Teresa d’Avila (1515‒1582) ci parla del grande vantaggio dell’amicizia spirituale. È attraverso conversazioni sante e buone compagnie che sorge nell’anima il desiderio delle cose eterne.
All’interno della sua opera principale, la Vita, che è la sua autobiografia, Teresa di Gesù dà un significato sempre più profondo alla cosiddetta “compagnia dei buoni”. Ella ritiene che, soprattutto al principio della vita di orazione, sia necessario trovare persone con cui consigliarsi e farsi amicizie che ci permettano di conversare della preghiera e dei progressi compiuti con essa. «Così come nel mondo si cercano conversazioni e affetti non sempre inappuntabili, se anche là si ama procurarsi amici per meglio ricrearsi e godere di più con il racconto vicendevole dei propri vani piaceri, non vedo perché si debba proibire a chi comincia seriamente ad amare e a servire Iddio di confidare a qualcuno le sue gioie e i suoi travagli, patrimonio naturale di chi si dedica all’orazione» (Vita, cap.7, 20). Tipico di un’anima che prega è voler condividere questa esperienza con gli altri: è come se si accenda in loro il desiderio di comunicare questa passione perché chi parla con Dio in solitudine ne gioisce e riassapora certi momenti parlandone con altri. Non è vanagloria, ci rassicura Teresa, ma un santo desiderio di sostenersi a vicenda.
Insomma essere persone di preghiera era difficile allora come oggi e questo tipo di vita non la si può intraprendere da soli, non fosse altro che per un desiderio di umiltà! Chi sa di fare un certo percorso desidera condividerlo con una compagnia di amici veri: “i buoni”, come li definisce Teresa; quelli per cui i legami non si fondano né sugli aspetti esteriori, né sugli interessi particolari e mondani ma sull’amor di Dio, almeno sulla ricerca dell’amore di Dio.
Teresa sa di avere una compagnia di amici che appartengono a diversi stati di vita (un prete, una vedova, un uomo sposato e un religioso domenicano) con i quali condivide le grandi caratteristiche dell’amicizia spirituale: la scelta, il numero ridotto, la confidenza, l’apertura totale e l’essere disposti a dare la vita l’uno per l’altro.
Da questo punto di vista, la libertà delle relazioni vissute dalla Santa — che ricordiamo essere una monaca di clausura — è davvero sconvolgente.
Leggiamo le sue parole: «Tra noi cinque che ora in Cristo ci amiamo vorrei che si formasse come una specie di accordo, affinché come altri oggi si uniscono in segreto contro la Maestà di Dio per ordire scellerataggini ed eresie, così noi ci uniamo per disingannarci a vicenda, correggerci dei nostri difetti e spingerci a servire meglio il Signore… Però dobbiamo farlo in segreto, perché oggi un tale linguaggio non è più di moda» (Vita, cap.16,7).
Concludo accennando ad un aspetto ancora più particolare dell’amicizia spirituale tra laici e consacrati, che è quello della direzione spirituale. La parola direzione può apparire rigorosa, ma essa copre una delle realtà più fraterne. Si tratta, infatti, di rispondere all’attesa di tutti quelli che cercano veramente un fratello secondo il Vangelo, un fratello che li aiuti a discernere tra realtà e illusione nella loro vita spirituale, un fratello che insegni loro i cammini di Dio e li aiuti a percorrerli.
Certamente, Dio non ha bisogno di nessuno, ma «Dio avanza con l’uomo a passo d’uomo», ci direbbe Giovanni della Croce: la Parola di Dio viene a noi attraverso le nostre parole di uomini, meglio ancora, attraverso le parole della Chiesa. È la legge dell’Incarnazione che giustifica e reclama ciò che noi chiamiamo “direzione spirituale”: essa non è che un caso particolare dell’aiuto reciproco che Gesù ha voluto tra i suoi discepoli. Prima di essere affare degli specialisti, essa è dunque affare di fratelli, poiché Cristo ha voluto affidarci gli uni agli altri, nel momento stesso in cui si donava a tutti: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati».
In tutti i casi appena accennati di amicizia tra i diversi stati di vita direi che uno solo è lo scopo ultimo delle buone amicizie tra laici e consacrati: i consacrati tenderanno nelle loro amicizie con i laici a divinizzare il mondo e i laici tenderanno nelle loro amicizie con i consacrati ad umanizzare la Chiesa. E questo sempre per la maggior Gloria di Dio!
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 18, NUMERO 2, Giugno 2017