(di Luca Sighel)
Quanto i contatti social stanno mutando il nostro modo di relazionarci con gli altri? Come cambia la comunicazione e la qualità dei nostri rapporti e qual è il gap generazionale tra adulti e giovani? La rivoluzione comunicativa che ci ha investiti sta influenzando profondamente la socialità, offre possibilità, ma porta con sé anche problematiche ed interrogativi.

Che l’avvento (e l’invasività) della rete sia una rivoluzione non è necessario dimostrarlo, che i social–media stiano cambiando non solo la modalità e le caratteristiche del comunicare, ma vadano a mutare anche l’idea di socializzare, questo è forse meno risaputo.
Provi ciascuno a pensare quante volte, da quando si è alzato questa mattina, ha avuto un contatto social attraverso un messaggio, un’email, un’emoticon (espressione simbolica usata per esprimere il proprio stato d’animo, le cosiddette “faccine”, ndr), una foto o una risposta audio.
Mentre possiamo considerare superate forme di comunicazione in rete come chat, blog e forum, a farla da padroni sono i social, intesi dai fruitori non come strumenti di comunicazione, ma come reali piazze virtuali con funzione di relazione sociale. Significa sostanzialmente che, a differenza di non troppi anni fa, quando per relazionarsi ed incontrare coetanei era necessario individuare e scegliere luoghi e momenti di incontro (locali, ritrovi, strade, centri commerciali), oggi per godere di un po’ di socialità basta connettersi a gruppi, community che sono sempre attive, giorno e notte. Lì si incontra, si conosce, ci si confida. La crescita del nostro tempo online come tempo socialmente significativo sta, forse a nostra insaputa, stravolgendo le pratiche di interazione sociale, in particolare per i più giovani, perché mentre per le generazioni degli adulti la socialità in rete si sviluppa con coloro che si conoscono o si sono conosciuti in un tempo più o meno lontano, per i giovanissimi si incontrano più persone nuove nel mondo online, operando l’inizio di un capovolgimento nella percezione di realtà, della vita e del suo soddisfacimento relazionale.
Mentre fino ad alcuni anni fa gli studi e le ricerche, nell’intenzione di mettere in guardia rispetto ad un processo di riduzione delle relazioni, si sono concentrati più sugli aspetti preoccupanti o nocivi del sovra–utilizzo della rete (pericoli che sussistono e, attualmente, in realtà sono più profondi e gravi), recentemente sono iniziate serie di approfondimenti ed indagini del fenomeno, analizzandolo e riflettendovi come un fatto antropologicamente rilevante. Ne deriva che osservare la diffusione e lo sviluppo dei social vuol dire affrontare il tema delle relazioni e dei loro mutamenti.
Social Italy
Una distinzione va operata tra Social Network (Reti Sociali) — strutture relazionali con lo scopo di connettere persone con interessi o valori comuni (religiosi, professionali, corporativi, sessuali, ecc.) — e Social Media (Media Sociali) — applicazioni, facilitatori di interazione, collaborazione e scambio di contenuti all’interno di gruppi di utenti.
Secondo gli studi analitici di Kaplan e Haenlein (2011), i Social Media si distinguono in categorie diverse: progetti di collaborazione (Wikipedia), blog e microblog (WordPress, Twitter), comunità di contenuto (Youtube, Flickr), servizi di social network (Facebook), mondi virtuali di gioco (Warcraft), mondi virtuali sociali (Second Life).
Nel nostro Paese Facebook resta il social maggiormente diffuso, anche se interessa sempre meno le fasce di età più giovani, tra le quali dilagano Instagram e Snapchat, oltre a Whatsapp che condivide una percentuale dell’89% di utilizzo (dati Censis) con il più “vecchio” Facebook (ambiente prediletto dagli over 24 e nelle fasce di adulti). In fortissima ascesa tra i più giovani è Youtube, che è passato in questi ultimi 3 anni da una capacità di penetrazione del 38% a quasi il 50%, con punte del 79% tra i più piccoli. Anche se non si tratta propriamente di un social, la viralità degli youtubers italiani e il business che vi gira attorno, ci fa comprendere cosa occupa il tempo e la mente dei nostri figli. A distanza seguono altri social come Twitter, Linkedin.
Nell’ultimo anno in Italia gli utilizzatori di internet sono aumentati del 4%, mentre l’uso dei social dell’11%, con un 17% di aumento degli utilizzatori via mobile, che significa che siamo sempre più connessi e in relazioni “scritte” o fruite attraverso messaggi vocali, visto che oltre il 70% della popolazione possiede uno smartphone.
Nel mondo, dietro al “re” Facebook, con un numero di profili attivi che sfiora i 4 miliardi (metà della popolazione globale!) e un traffico di oltre 1 miliardo di scambi al giorno, seguono le piattaforme cinesi QQ e Qzone, in crescita sono Snapchat e Blackberry Messenger, e assai promettente Kakao Talk, applicazione di messaggistica coreana. Ma stupiscono per accessi anche alcuni giochi online di strategia e interazione sociale come Clash Royale, un gioco interattivo da 100 milioni di giocatori al giorno.
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Perchè i social?
Non è raro che un adolescente sia iscritto a più piattaforme social — fino ad un numero per gli adulti incomprensibile — che utilizza a seconda dei periodi e delle mode, anche perché appartenere a più reti giudica e fornisce valore alla personale reputazione web.
La spasmodica ricerca di visibilità, l’accettazione acritica della propria esposizione e la superficialità con cui si posta in rete materiale personale (foto, confidenze, dati riservati, talvolta intimi: la self–disclosure, auto–rivelazione di sé, conscia o inconscia), non distinguendo tra il contesto privato di una conversazione offline e l’esposizione pubblica online, preoccupa soprattutto a causa della scarsa, a volte assente, consapevolezza della perdita di proprietà di tutto quel che viene affidato/donato alla rete.
La comunicazione avviene attraverso l’utilizzo di contenuti diversi (testuali, video, audio, fotografici), la condivisione sociale su piattaforme e dispositivi eterogenei (PC, smartphone e tablet), il coinvolgimento attivo dei membri della rete e l’immediatezza con cui si possono discutere e condividere informazioni. E le motivazioni della social–mania vanno dal semplice divertimento al mantenimento del contatto con i propri amici, all’esigenza non contrattabile di non restare fuori, socialmente esclusi, impossibilitati ad identificarsi in un gruppo e appartenervi, alla possibilità di nuovi incontri alla ricerca di un luogo, dove si cerca compensazione sociale.
Social–amicizia: pericoli e potenzialità
Ma quale è la natura di queste relazioni amicali virtuali?
Le amicizie online hanno tendenzialmente breve durata, anche per questo motivo si autoconsumano emotivamente in un tempo molto rapido e con accelerazioni improvvise, la velocità non consente di intessere un legame di vera fiducia, che viene spesso confusa con l’intimità, a cui si è spinti dall’anonimato ed è favorita dall’ambiente social.
La possibilità di muoversi in rete, nascondendo la propria identità, rende tutto più facile e più dolorosa l’eventuale e inesorabile rottura, ma, contemporaneamente, amplifica un sistema di menzogne, che contribuiscono a costruire il profilo di chi si mette in relazione.
Il rapporto virtuale diviene, per taluni che vivono nella vita reale una qualche fatica o disagio relazionale, una possibilità di riscatto sociale, non solo la possibilità di sopravvivere ai fallimenti veri, ma anche facilitare una relazione, che non necessariamente deve passare da un incontro reale, così la virtualità del profilo evita la mediazione della corporeità.
I nuovi media danno l’impressione di essere strutturalmente sociali e quindi capaci di colmare la solitudine diffusa a macchia d’olio tra grandi e piccoli.
Non vanno sottaciute alcune caratteristiche e limiti di internet, che influenzano la modalità relazionale degli individui.
Secondo alcuni studiosi, tra cui Carl Susstein di Harvard, la rete ci radicalizza e le sue strade ci indirizzano verso stanze dove sia più facile trovare conferme, “alleati”, omogeneità, “amici”. Siamo accompagnati in luoghi dove ci si trova con i propri simili: è rassicurante, ma progressivamente ci isola, intrappolandoci in gusci privati. La rete esalta le affinità e raggruppa secondo interessi, opportunità, gusti e scelte.
Se da un lato vi è apertura al contatto con degli sconosciuti, che possono però rendere maggiormente vicini ed accessibili agli adolescenti molti pericoli, da più parti si evidenzia come il tempo online rubi e consumi ore e occasioni che potrebbero essere dedicate alle amicizie già esistenti o alla ricerca di altre. È la teoria del disimpegno, che giudica la rete come una minaccia al benessere psicologico e sociale e associa alla crescita delle attività in internet la diminuzione della comunicazione in famiglia, tra il gruppo dei coetanei e l’aumento di stati giovanili depressivi e di solitudine.
Inoltre l’ambiente social è il grande mercato in espansione, terreno fertile per pubblicità e vendita di ogni tipologia di prodotti, social commerciali, da Amazon a Groupon, fino a Tinder, applicazione in forte espansione, che si occupa di smerciare incontri al buio con livelli progressivi di coinvolgimento. Nel 2014 le ricerche del Connected World II hanno identificato con la sigla F.O.M.O, Fear Of Missing Out, una fobia crescente che sviluppa la paura di perdersi qualcosa quando non si è connessi alla rete, l’incapacità di rinunciare ad internet è avvertita come esclusione ed emarginazione sociale. William Hobbs, a conclusione dei recenti studi curati all’Università californiana di San Diego, ha ribadito come l’interazione in internet appaia “salutare” ai legami personali, se mantiene le sue caratteristiche di complementarietà ed integrazione delle relazioni offline e non assume il carattere di esclusività.
L’educazione al pensiero critico e alla relazione reale sono due strade che nel mondo digitalizzato non possiamo considerare ovvie o già date e che ci impegnano come adulti in un’informazione e formazione permanente.
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 18, NUMERO 2, Giugno 2017