(di P. Aldino Cazzago ocd)

I mesi di lockdown appena trascorsi sono stati vissuti e spesso definiti come un «tempo sospeso», sospeso tra un “prima” a tutti noto e un “dopo” faticoso da pensare ancor prima che da vivere. Moltissime attività, svolte quotidianamente da milioni di persone, hanno improvvisamente smesso di essere esercitate: quelle lavorative e quelle scolastiche, quelle civiche e quelle del tempo libero, quelle sportive e quelle ricreative, fino a quelle religiose nella forma pubblica.

 

 

Vivere in tempi di pandemia

In questa paralisi della società e delle sue articolazioni sociali, costrette a forzate inattività, molte persone hanno semplicemente subito quanto stava accadendo. Intervistato da la Repubblica alla fine dello scorso mese di luglio, il grande direttore d’orchestra Riccardo Muti diceva: «Mi preoccupa quello che vedo in giro: un senso di vuoto, ignoranza, si è persa la voglia di sapere, la voglia di bellezza. Il virus ha ammazzato la cultura e la televisione invece di approfittarne ha continuato nell’intrattenimento, che ci vuole, ma non solo quello» (25 luglio 2020). 

Altri, invece, hanno fatto esperienza di una nuova articolazione del proprio tempo e di ciò che si poteva creare per non vederlo passare sotto gli occhi, sempre uguale un giorno dopo l’altro. Qualcuno ha riscoperto una passione per la pittura,  per il bricolage e  per la cucina. 

Altri si sono accostati all’arte e alla bellezza grazie ai tour virtuali che i maggiori musei italiani hanno reso possibili a moltissimi navigatori, esperti o profani che fossero, in tema d’arte. Un esempio  di questi tour è quello messo in atto dalla Galleria degli Uffizi di Firenze. Ogni giorno numerosi utenti dei suoi profili Instagram e Twitter hanno  potuto vedere e conoscere, tramite fotografie e video, le storie dei quadri esposti nelle sale. L’iniziativa è stata presentata da Eike Schmidt, direttore del museo, con questo sintetico ed efficace slogan: «Evitiamo ogni contagio, tranne quello della bellezza».

Il gradimento dell’iniziativa testimonia una volta di più una verità  ripetuta spesso: l’importanza dell’arte e della bellezza nella vita delle persone e nel loro modo di dare significato al trascorrere del tempo. Lo storico dell’arte ed ex-direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci lo ha espresso molto bene: «Noi viviamo perché immaginiamo delle forme di bellezza. Non c’è speranza […] senza una qualche idea di bellezza» (Arte e bellezza, La Scuola, Brescia, 2011). 

Sia detto per inciso, nel pieno dei giorni del lockdown anche la stessa idea di tempo è stata sottoposta a una imprevista e, forse, salutare scossa. Come ha scritto Gerolamo Fazzini nel suo frizzante Siamo tempo (L’abbiamo scordato?) (EMI, Verona 2020) non è vero, anche se ci illudiamo che sia così, che «abbiamo tempo», noi «siamo tempo». 

Certo molti hanno sperimentato l’importanza dell’arte e della bellezza in situazioni personali e contesti sociali ben prima di questo «tempo sospeso». Infatti il desiderio della bellezza, la cui consistenza non si riduca ad un effimero estetismo, è una struttura stabile della persona. Si può dire della bellezza e del suo desiderio ciò che a Vienna, il 12 settembre 1983 Giovanni Paolo II disse dell’arte: «Sia l’individuo che la collettività hanno bisogno dell’arte per interpretare il mondo e la vita, per gettare luce sulla situazione epocale, per comprendere l’altezza e la profondità dell’esistenza. Hanno bisogno dell’arte per rivolgersi a ciò che supera la sfera del puramente utile e che quindi promuove l’uomo. Hanno bisogno della letteratura e della poesia: della loro parola talvolta morbida e delicata ma anche profeticamente adirata, che spesso matura meglio nella solitudine e nella sofferenza».

Generare anticorpi

Il  Covid-19 non si è limitato a devastare la vita delle persone e a condurne numerose altre alla morte, ma ha inoculato altri virus nel corpo della società e delle sue articolazioni intermedie: famiglie, comunità civili, associazioni… Essi sono sotto gli occhi di tutti e rispondono al nome di chiusura, diffidenza, indifferenza verso l’altro, odio e nuove forme di povertà umane e sociali. Parlando agli aderenti alla Scholas Occurrentes il 5 giugno scorso Papa Francesco ha detto che «in questa nuova crisi che l’umanità sta affrontando […] la cultura ha dimostrato di aver perso la sua vitalità». 

Dalla medicina sappiamo che ogni anticorpo che il nostro organismo produce reagisce unicamente ad un dato antigene per distruggerlo e non ad altri. Di fronte a questa situazione è necessario allora dare inizio ad un’opera di rigenerazione dell’intero tessuto sociale. A giudizio di Papa Francesco quest’opera di guarigione deve partire da tre parole: gratuità, senso, bellezza. Nell’occasione precedentemente  menzionata egli affermava: «Non dimenticatevi mai di queste tre parole: gratuità, senso, bellezza. Possono sembrarvi inutili, soprattutto oggigiorno. Chi si mette a fare una società cercando gratuità, senso e bellezza? Non produce, non produce. Eppure da questa cosa che sembra inutile dipende l’umanità intera, il futuro».  La nostra convivenza ha assoluto bisogno di questi anticorpi per vincere gli antigeni, i virus, prima evocati.

Ben prima che milioni di persone venissero toccate dal Covid-19, Papa Francesco aveva usato l’immagine dell’anticorpo necessario a vincere i virus «dei nostri tempi». L’8 dicembre 2017, in occasione della tradizionale preghiera in Piazza di Spagna per la festa dell’Immacolata, si era espresso con queste parole:

«O Madre, aiuta questa città a sviluppare gli “anticorpi

contro alcuni virus dei nostri tempi:
l’indifferenza, che dice: “Non mi riguarda”;
la maleducazione civica che disprezza il bene comune;
la paura del diverso e dello straniero;
il conformismo travestito da trasgressione;
l’ipocrisia di accusare gli altri, mentre si fanno le stesse cose;
la rassegnazione al degrado ambientale ed etico;
lo sfruttamento di tanti uomini e donne.
Aiutaci a respingere questi e altri virus
con gli anticorpi che vengono dal Vangelo».

L’anticorpo della bellezza

Dovendo limitarci a uno dei tre anticorpi sopra elencati optiamo per quello della bellezza. Dicendo bellezza non pensiamo in prima battuta a qualcosa di cui si discute nelle accademie o nei salotti, ma a uno dei fili che intreccia o dovrebbe sempre intrecciare la complessa e, a volte, dolorosa trama della vita. Può accadere che questo filo, sotto forma di un’opera d’arte, venga a risanare un po’ le ferite di un tessuto che ne era sprovvisto. Un esempio di questo salutare intreccio è stata la visita alla Cappella Sistina  che, su invito di Papa Francesco, centocinquanta clochard hanno potuto vivere in assoluta tranquillità il 26 marzo 2015. Al termine della loro visita avrebbero volentieri sottoscritto le parole che nel 1989 il poeta russo Josif Brodskij, premio Nobel per la Letteratura nel 1987, scrisse nel suo inno a Venezia e alla sua bellezza: «[…] la bellezza è sollievo, dal momento che è innocua, è sicura. Non minaccia di ucciderti, non ti fa soffrire» (Fondamenta degli incurabili, Adelphi, Milano 1991). 

La bellezza è un filo che cresce, accompagna e arricchisce le varie età dell’esistenza. Esso cerca di intrecciarsi con altri fili che riconosce simili a sé ed è per questo che gli amanti della bellezza cercano altri amanti della bellezza. La bellezza in tutte le sue manifestazioni cerca condivisione e crea legami. Per Josif Brodskij «la bellezza è là dove l’occhio riposa» (Fondamenta degli incurabili).

Quando questo filo manca per molto tempo, la vita diventa debole, si ammala e non comunica più la gioia del vivere. Come ha scritto il poeta e scrittore spagnolo Manuel Vilas «la bellezza è qualcosa di semplice, di umile, che riguarda il quotidiano. […] La bellezza è qualcosa di concreto, che dunque si può raccontare, si può narrare» (Corriere della Sera, 20 gennaio 2019).

Qualche riga prima di quelle che abbiamo sopra citato, Antonio Paolucci aveva affermato: «Gli uomini devono salvare la bellezza che hanno avuto in temporanea consegna e invece la stanno distruggendo. Il compito di salvare la bellezza spetta agli uomini e se non lo fanno peggio per loro, perché la bellezza esiste comunque» (Arte e bellezza). Papa Francesco lo ha ripetuto con il suo stile: «Questo mondo è pieno di bellezza! Come possiamo disprezzare i doni di Dio?» (Christus vivit, n. 144).

Per chi ha il dono della fede, la bellezza è un itinerario che conduce alla realtà ultima, a Dio ed è per questo che essa è, o dovrebbe essere, di casa nella vita dei cristiani e della loro comunità. Dovrebbe esserlo anche nei luoghi, nelle chiese, dove essi si raccolgono per far memoria di Dio, del Suo amore per essi e per rinsaldare in Lui il legame tra loro. «Tu sei bellezza» ripeteva San Francesco nelle sue Lodi di Dio Altissimo. Sarebbe una contraddizione se in questi luoghi la bellezza fosse assente. Come ha scritto Jean Clair «un Dio senza la presenza del Bello è più incomprensibile di un Bello senza la presenza di Dio» (Culto dell’avanguardia e cultura di morte, in M. Forti – L. Mazas, La bellezza. Un dialogo tra credenti e non credenti, Donzelli, Roma 2013).

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 21, NUMERO 2, Ottobre 2020