Tra scienza e coscienza
(di Stefania Giorgi)
Considerato uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi e un autentico prodigio della fisica, Robert Oppenheimer coordinò il leggendario Progetto Manhattan che nel 1945 produsse la prima bomba atomica della storia. Di fronte all’esito devastante dei bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki, tuttavia, il «distruttore di mondi» avanzò una radicale proposta per il controllo internazionale dei materiali nucleari e si oppose con fermezza alla realizzazione della bomba all’idrogeno, posizione che lo rese inviso al governo degli Stati Uniti che pure lo aveva osannato. È questa figura controversa ad essere al centro dell’ultimo film di Christopher Nolan, regista britannico di grande visione e tecnica, che pone lo spettatore di fronte a dilemmi etici più attuali che mai. Riflessione profonda sul rapporto tra scienza e potere, tra progresso e responsabilità, questo magistrale racconto proietta, attraverso la vita di un uomo, nuove luci e nuove ombre sulla storia di tutti noi.

La scienza a servizio dell’umanità?
Kai Bird e Martin J. Sherwin hanno dedicato al fisico Oppenheimer una monumentale biografia che nel 2006 ha ricevuto il premio Pulitzer — Trionfo e caduta dell’inventore della bomba atomica —, in cui si ripercorre l’intera parabola di un genio che ha cambiato la storia dell’umanità: dall’oscurità alla fama, fino all’umiliazione di trovarsi coinvolto, nel 1954, in una terribile inchiesta che avrebbe compromesso per sempre la sua reputazione.
Nolan, attingendo proprio a questa biografia, prova, in tre ore di film, a restituire allo spettatore il racconto di un uomo al centro di grandi scoperte ed enormi responsabilità, sollevando domande e trasmettendo turbamenti che non ci lasciano, anche dopo essere usciti dal cinema. Nonostante la lunghezza, il film non può descrivere appieno tutte le importanti vicissitudini, le traversie, le conquiste, le disgrazie, i dubbi, le scelte delle menti prodigiose che a vario titolo fecero parte, con il loro bagaglio intellettuale e umano, di un progetto scientifico, militare e politico cruciale per l’umanità. Al Progetto Manhattan (venne costruita dal nulla in mezzo al deserto una città segreta dove svolgere gli esperimenti) parteciparono i più grandi fisici, chimici, tecnici, ingegneri dell’epoca, moltissimi già o futuri premi Nobel (Born, Bohr, Rotblat, Feynman, Szilard, Fermi), convinti a emigrare o portati fuori dall’Europa occupata verso gli Stati Uniti, entrati in guerra nel 1941.
Fu uno sforzo economico colossale, organizzato nei minimi dettagli e con un grado di segretezza mai visto prima. Si trattava di una corsa contro il tempo per anticipare la Germania nazista che, secondo le deduzioni dei servizi segreti, avrebbe potuto arrivare per prima a costruire la bomba e ad usarla. Per questi scienziati, spesso fuggiti proprio a causa delle persecuzioni antisemite, la spinta motivazionale era quella di evitare una catastrofe ad opera di Hitler, ma si trattava anche di un traguardo scientifico inimmaginabile che li collocava agli albori di un nuovo mondo dalle enormi potenzialità energetiche.
Fu anche e soprattutto un affare di Stato. Uno Stato che voleva ottenere un primato e assicurarsi una condizione di avanguardia tecnologica e militare che fosse un chiaro messaggio verso potenziali nemici come la Russia che, conclusa la guerra, avrebbero subito alzato la testa.
Sganciare la bomba su Hiroshima e Nagasaki fu però, come ormai tutti concordano, un atto non necessario e inutilmente crudele, una prova di forza, non tanto per intimidire la Germania che da tempo non aveva le risorse e l’intenzione di proseguire la corsa al nucleare, né per impedire al Giappone di continuare la guerra nel Pacifico visto che l’Imperatore aveva già inoltrato una richiesta di resa incondizionata tramite Stalin. Fu un atto che esprimeva la volontà di potenza degli Stati Uniti. E Oppenheimer, moderno Prometeo capace di rubare il fuoco agli dei, era al vertice di quell’incredibile successo.
La bomba mise fine al conflitto mondiale, ma fu il primo atto della lunga guerra fredda che ne seguì e nelle cui maglie alla fine anche lo scienziato rimase invischiato.
Dubbi e rimorsi tardivi
Dopo aver raggiunto la gloria ed essere diventato un eroe nazionale, Oppenheimer, come tutto il resto del mondo, fu messo davanti agli esiti devastanti dell’esplosione nucleare. I dubbi che aveva evidentemente saputo mettere in disparte durante i tre anni del progetto, furono difficili da tenere a bada. Vide finalmente quello che in realtà già sapeva: nei laboratori dove la bomba veniva costruita e assemblata si erano fatte stime sulla sua potenza, sugli effetti delle radiazioni, ma anche esperimenti (occultati fino a pochi anni fa) su ignari pazienti cui venivano iniettate dosi di polonio e uranio per capire i danni sugli esseri umani. Ora era tutto visibile, tragicamente vero.
Se però alcuni scienziati avevano avuto il coraggio di tirarsi indietro quando ormai era chiaro che la guerra si stava concludendo, la sua posizione rimase ambigua. Oppenheimer andò fino in fondo, anche quando Truman gli chiese una valutazione su quali città sganciare l’ordigno.
Eppure, e lo si vede anche nel film, il fisico era un pensatore profondo e radicale, la cui mente affondava nel mistico, nel metafisico e nell’esoterico. Ma il “distruttore di mondi” (citazione del testo sacro indiano Bhagavadgītā che Oppenheimer studiava in sanscrito) non si pentì mai davvero della sua creazione. Stando a quel che il film stesso ci mostra, non ebbe il minimo dubbio sull’uso di un’arma di distruzione di massa, un’arma costruita apposta per uccidere “il giusto e l’ingiusto” senza distinzione. I dubbi morali semmai arrivarono dopo, con la guerra fredda, quando il nemico divenne l’Urss. Allora si oppose allo sviluppo della bomba H, iniziò ad avere incubi sulla distruzione del mondo e si prodigò affinché tutti i segreti fossero condivisi dalla “comunità internazionale” (cioè con i sovietici). Da falco, divenne colomba. Ma nell’epoca del maccartismo, nella caccia alle streghe contro i comunisti, non gli vennero perdonate le sue simpatie per certi ambienti, e le sue frequentazioni passate tornarono alla luce per minare la sua credibilità e affidabilità. I suoi scrupoli morali, le sue posizioni politiche, il suo aperto sostegno ai negoziati di controllo della proliferazione delle armi nucleari, lo fecero precipitare dalle stelle alle stalle, dai vertici degli apparati scientifico-militari USA al sospetto di collusione con l’Unione Sovietica, da eroe della nazione all’esclusione dall’accesso alle informazioni più segrete e sensibili. Verrà riabilitato anni dopo, solo quando una commissione del Senato avrà chiarito la strumentalità delle accuse mossegli.
Non siamo di fronte a un film celebrativo, ma a una rappresentazione di quelle dimensioni tutte umane — la passione per la scoperta, per la scienza, la vanità, la sete di gloria, il valore di una copertina del Time — che possono far sentire molto in alto senza mai per questo liberare gli uomini dalla loro meschinità.
La potenza delle immagini
I film di Nolan hanno uno stile molto riconoscibile e risultano sempre impressionanti sotto il profilo percettivo, e dunque emotivo; è un costruttore maniacale della messa in scena, ossessionato da un’elaborazione narrativa del racconto mai basata su una consequenzialità lineare e da una potenza visiva sempre presente.
Anche qui per esempio, come ci ha abituati spesso in altri suoi film (Tenet, Inception, Interstellar), il regista gioca con il tempo narrativo e stravolge passato, presente e futuro della vita del protagonista ricomponendola in un mosaico di interpolazioni cronologiche, evidenziate qui attraverso l’uso del colore (per il punto di vista soggettivo) e del bianco e nero.
Immagini e suono non sono un semplice corollario ma vogliono essere uno strumento, un ulteriore linguaggio di cui si avvale, insieme alla sceneggiatura e al montaggio, per far arrivare allo spettatore tutta la potenza di un messaggio, di una storia, forse rischiando un disequilibrio tra un eccesso di forma e il contenuto del racconto. Immagini di grande impatto travolgono lo spettatore per farlo entrare nella inquietante bellezza della materia e della sua incontrollabile natura, quel mondo subnucleare quantistico fatto di particelle invisibili ma la cui potenza potrebbe distruggere chi le osserva.
Ancor di più ci si potrebbe stupire, in questo suo ultimo film, dell’uso parossistico della musica e del sonoro che accompagna tutte le scene, alternando silenzi assordanti a effetti roboanti. Una presenza insistita, come un pensiero fisso che batte e ribatte, martella, penetra nella mente, la occupa costantemente, fino a diventare disturbante e oppressiva come il senso di colpa che probabilmente rappresenta. La musica ridondante di Oppenheimer (opera dello svedese Goransson) è forse presente per farci sentire l’incertezza del protagonista, la vastità delle sue ossessioni, la forza della sua ambizione, l’esaltazione del raggiungimento di un punto inarrivabile della storia, ma anche l’abisso di un rimorso lacerante a cui non sa dare un senso.
Con l’aiuto di un cast stellare (Cillian Murphy e Robert Downey Jr. su tutti, ma anche Matt Damon, Casey Affleck, Kenneth Branagh ed Emily Blunt tra gli altri), Nolan ci offre un biopic atipico, forse incompiuto dal punto di vista prettamente storico, ma oltremodo suggestivo nel presentarci la figura di un uomo eccezionale, un genio, un visionario che è rimasto schiacciato dalle sue scelte. Non un nuovo Galileo vittima dell’oscurantismo del sistema, ma un uomo capace di “vedere” ciò che era ancora invisibile alla conoscenza e contemporaneamente cieco di fronte all’umanità.
© Dialoghi Carmelitani, ANNO 24, NUMERO 3, Ottobre 2023