C’è un Paese nel centro America, affacciato sull’Oceano Pacifico, dove inizia e si svolge la storia di un ragazzino di nome Oscar. É El Salvador, un minuscolo Stato, molto popolato, il cui nome significa Il Salvatore e questo ricorda come quella terra lontana sia dedicata a Gesù. Quando 5 secoli fa quei luoghi furono conquistati dagli spagnoli, nel 1524 venne fondata la città di San Salvador, divenuta poi  la capitale, che fu consacrata a Gesù, il Salvatore dell’umanità.

Oscar nacque in una piccola cittadina, Ciudad Barrios, sulle montagne, nell’interno del Paese, dove, per il clima caldo dovuto alla sua vicinanza all’equatore, le colline sono tutte coltivate con piante di caffè.

Avete mai osservato un piccolo chicco di caffè? Scuro e tondeggiante con una riga in mezzo. È un piccolo seme che si trova all’interno delle bacche rosso fuoco prodotte dalla sua pianta verdissima e dalle foglie lucenti: la pianta del caffè. Il chicco, ancor oggi come tanto tempo fa, viene estratto, fatto tostare e poi macinato: unendosi all’acqua calda produce una delle bevande più amate nel mondo.

Oscar, cresciuto tra queste colline e piantagioni, ben presto imparò dai suoi genitori un grande amore per la sua terra ed il suo popolo, ma scoprì dentro di sé un amore ancora più profondo per Gesù e così venne inviato in un’altra città per continuare la scuola che, nel suo paese, arrivava solo fino al terzo anno della scuola primaria.

Da subito Oscar si mostrò molto appassionato allo studio e già sicuro di iniziare la strada per diventare sacerdote: tutti i suoi professori lo consideravano un ragazzo intelligente, capace e buono, dal carattere docile. Il superiore del Seminario di San Miguel decise allora di mandarlo a Roma, dove Oscar divenne sacerdote a 25 anni nel dicembre del 1942.

Erano anni molto difficili ed in Europa infuriava la seconda guerra mondiale; la situazione si aggravò quando il suo Paese, El Salvador, dichiarò guerra all’Italia, schierandosi con gli avversari del nostro Stato. Oscar fu costretto a tornare in America, ma venne catturato e portato con un altro confratello in un campo di prigionia a Cuba, dove trascorse un periodo molto duro.

Ritornato finalmente in Salvador, Oscar iniziò a prendersi cura come parroco della sua gente in sperduti villaggi. Pur mostrandosi sempre molto tranquillo e calmo, si diede molto da fare, cercando di aiutare tutti, soprattutto i più poveri che, a causa dello sfruttamento da parte di alcune famiglie molto potenti, erano moltissimi. Cominciò così a realizzare gruppi ed organizzazioni per permettere alle famiglie, che non avevano niente, di sopravvivere: dall’associazione dei giornalai ad una di lustrascarpe. Soprattutto mostrò il suo amore per i più giovani ed i bambini: le intere sue giornate erano dedicate alle persone, che ad ogni ora lo cercavano.

La gente cominciava a conoscerlo, anche fuori dai luoghi dove viveva, tanto che quando si spostava nei posti più lontani, dove non c’erano strade, trasporti ed elettricità, la gente numerosa veniva a prenderlo con gli animali per trasportarlo ed accoglierlo con grande entusiasmo. Per questa sua fama, venne chiamato a diventare segretario di un vescovo in una delle grandi città.

Fu in quel momento che, ancor più chiaramente, capì che quelli che governavano il suo amato Paese erano pochi, molto ricchi, preoccupati dei loro affari e per niente della povera gente. Il Salvador attraversava uno dei momenti più difficili della sua storia: era scoppiata da tempo una guerra civile e il potere venne preso dai militari che si mostrarono molto ostili e violenti con la Chiesa e con i sacerdoti che difendevano il popolo. Spesso vi erano attentati e anche nelle città venivano usate le armi contro chi protestava.

In tutta questa pericolosa situazione, Oscar continuava la sua missione e molti vedevano in lui una persona da seguire e di cui ci si poteva fidare, soprattutto per le parole che pronunciava durante le sue messe: le sue prediche e i suoi discorsi erano pacati, come lui era sempre stato, ma erano anche molto sinceri e decisi: denunciava apertamente coloro che commettevano prepotenze e ingiustizie. Si opponeva a chi sfruttava i poveri, facendo i propri interessi, ricordando che Dio li amava e li proteggeva e che Gesù, venuto per la salvezza di tutti, aveva dato agli uomini il comandamento dell’amore, non dell’odio e della morte.

Nel 1967 Oscar fu trasferito nella capitale San Salvador e nel 1970 venne nominato vescovo della città. Quella cerimonia, a cui erano presenti anche il capo del governo e i suoi ministri, fu un grande evento e segno per tutto il popolo salvadoregno, che vedeva in lui il difensore dei più deboli: la S. Messa venne celebrata da un padre gesuita, Rutilio Grande, amico di Oscar Romero ed anche lui impegnato nel diffondere il Vangelo e nell’aiutare i poveri. 

La loro amicizia crebbe e anche il loro impegno nell’educare e far crescere il popolo, opponendosi alle violenze e alle oppressioni del potere, che senza nessun freno, entrava nelle chiese, sparava ai fedeli, spesso minacciava sacerdoti o requisiva e rubava nei luoghi dove vivevano i religiosi. Fu proprio padre Rutilio il primo ad essere ucciso dai soldati. In quel momento Oscar comprese ancora più profondamente quanto fosse importante annunciare l’amore di Dio e contrastare chi seminava morte ed odio. 

In breve tempo divenne lui stesso uno dei nemici dei potenti al potere: si fecero girare molte voci che lo mettevano in cattiva luce, ma più si scatenavano contro di lui, più le sue parole di pace arrivavano lontane. Le sue prediche venivano trasmesse alla radio ed erano ascoltate anche fuori dal suo Paese. Cominciarono ad arrivargli minacce e intimidazioni, ma lui proseguì, come sempre, la sua missione.

Dopo l’ennesima strage di innocenti il vescovo Oscar Romero chiese, in un famoso discorso, alla polizia ed ai soldati, di deporre le armi con queste parole: «Vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!». Tutti i giornali del potere si scagliarono contro di lui. Il giorno seguente, il 24 marzo del 1980, stava celebrando la S. Messa nella cappella dell’Ospedale della Divina Provvidenza, dove erano ricoverati, assistiti dalle missionarie carmelitane di Santa Teresa, malati molto gravi e dove aveva deciso di vivere, vicino ai più sofferenti. Mentre alzava l’Eucaristia, venne colpito da dei colpi di fucile. Morì poco dopo.

Nell’ottobre del 2018 il Papa lo ha dichiarato Santo, lui, il pacifico Oscar, martire dei poveri: un uomo innamorato di Dio e della sua giustizia. Vi ricordate quel piccolo chicco scuro di caffè? È un po’ la storia di Oscar: come il chicco, cresciuto tra le montagne, anche lui si è lasciato macinare, sacrificando la sua vita, per diffondere nel mondo e nella Chiesa il profumo del Vangelo, della sua vita con Gesù e la sua testimonianza.

 

Illustrazioni Cristina Pietta – Testi Luca Sighel

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 24, NUMERO 1, Aprile 2023