Intervista al dott. Federico Ratti (a cura di M. Polito e M. Parolini)
Non è semplice parlare di paura perché, sebbene tutti conviviamo con essa fin dalla più tenera età, le sue declinazioni sono tante e diversi i suoi significati per la nostra esistenza. Abbiamo allora provato a ripartire dalle domande più elementari per cercare di capire come mai oggi ci sentiamo spesso imbrigliati dentro sentimenti di paura che a volte arrivano addirittura a determinare le scelte della nostra vita. Ma cos’è allora questa paura? L’abbiamo chiesto allo psicologo e psicoterapeuta Federico Ratti, che ci ha aiutati a districarci tra i molti volti di questa indispensabile e temuta compagna di viaggio.

Che cos’è nella sua essenza la paura? Una cosa che si impara, che è legata all’ambiente in cui si vive o è un’emozione già presente nella dotazione base di ogni uomo che nasce su questa terra?
La paura non si impara, ma si prova: è una delle cosiddette emozioni primarie (assieme alla rabbia, la gioia, la tristezza, la sorpresa, il disprezzo e il disgusto), cioè innate e presenti in ogni popolazione. Le emozioni secondarie invece risentono delle variabili culturali e sociali o sono combinazioni di più emozioni primarie.
A tutti è capitato e capita di provare paura: da quando, piccoli, chiamavamo “mamma!” se qualcosa turbava il nostro sonno, a quando, adulti, evitiamo situazioni che ci spaventano. Possiamo così definire la paura come uno stato di tensione psicologico e fisico, che comporta un’attivazione utile ad aiutare la persona ad affrontare situazioni che valuta come “pericolose”. È dunque un’emozione con una funzione positiva e di protezione. Ma il termine “paura” lo utilizziamo spesso per identificare stati emotivi tra loro molto diversi che vanno dal timore, all’apprensione, alla preoccupazione, all’inquietudine fino ad aspetti patologici come l’ansia, la fobia o il panico.
Perché alcune persone sembra che non riescano ad essere felici, a sentirsi vive se non sfidando di continuo il limite e la paura che lo accompagna? Anche gli adolescenti sembrano non avere il senso della paura e del limite…
Come detto, la paura “normale” è necessaria per vivere in sicurezza e per proteggersi. Ci sono però due componenti molto importanti da tenere in considerazione quando parliamo di paura: il livello di attivazione e la sua regolazione. Riguardo all’attivazione, un segnale di paura dovrebbe scattare davanti a un pericolo autentico. Per quanto riguarda invece la regolazione, la paura dovrebbe calare non appena il pericolo sia cessato o la minaccia non è più tale (questo è il caso della paura legata alla sorpresa: ad esempio, i rumori improvvisi o le persone che sbucano alle nostre spalle). Persone diverse hanno differenti livelli di attivazione e di regolazione. Alcuni hanno livelli di attivazione e regolazione particolari e che tendono a ritrovarsi o a ricercare situazioni di pericolo perché le sensazioni fisiche e mentali che provano sono per loro piacevoli e più potenti della naturale inibizione che la paura provoca.
Per quanto riguarda gli adolescenti, la difficoltà a percepire il limite può anche avere una forte componente trasgressiva e dimostrativa rivolta verso il mondo adulto e dei pari.
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Al contrario, si assiste oggi al dilagare dei cosiddetti “attacchi di panico” di cui soffrono sempre più persone, anche giovani e addirittura bambini. Come si spiega questo fenomeno?
È il caso opposto rispetto a quanto detto prima. La paura totalmente non regolata si definisce come attacco di panico: un evento paralizzante che toglie al soggetto la possibilità di affrontare una situazione (reale o immaginaria). Facciamo però attenzione a non confondere le cose: l’espressione “sono in panico per…” può definire uno stato d’ansia che, sebben elevato, non compromette il nostro funzionamento. Gli attacchi di panico sono invece episodi di improvvisa e intensa paura con un’escalation rapida dell’ansia e si manifestano con specifici sintomi fisici. Se tali episodi si manifestano con frequenza e intensità si parla di Disturbo di Panico ed è una categoria diagnostica che necessita una presa in carico psicoterapeutica.
Come affrontare il tema della paura con i bambini? È giusto che gli adulti mostrino loro di avere paura? È giusto tematizzarla e trattarla come una componente naturale dell’esistenza, o è meglio allontanarla e privare i piccoli di questa dimensione che tanti temono destabilizzante per loro?
La paura è un’emozione che ci accompagna lungo la vita e che, di conseguenza, cambia: intorno all’ottavo mese di vita, la distinzione tra ciò che è familiare e ciò che non lo è può favorire l’insorgere di paure nei confronti di persone e oggetti “estranei”. In età prescolare, i bambini si mostrano intimoriti al momento della separazione dai propri genitori. Crescendo, le paure possono avere un substrato immaginativo (ad esempio il personaggio di una fiaba o di un cartone animato). Attorno ai quattro anni, i bambini diventano sensibili verso piccoli animali ed elementi naturali quali la tempesta, i tuoni e i fulmini che sono ulteriori stimoli paurosi. Sicuramente una delle paure più comuni in questa fase evolutiva è la paura del buio. Col passare degli anni, in età scolare, le paure sono relative ad agenti reali al di fuori di sé (la scuola, il contesto sociale, …) e si modifica anche il vissuto emotivo del bambino che inizia a provare vergogna per aver avuto paura. Verso gli otto anni, la paura della morte, degli incidenti e delle malattie può diventare molto comune. Negli anni successivi, con picco durante l’adolescenza, le paure coinvolgono il confronto tra l’immagine di sé e il mondo esterno: la paura di fallire, di essere respinti dal gruppo dei pari, di essere derisi.
Le paure evolvono, ma sono sempre presenti nella nostra vita. Non è dunque utile, anzi è potenzialmente dannoso, negare la paura dei bambini o deriderla o mostrarci come uomini o donne che non hanno paura di nulla. Possiamo sostenere un bambino o un adolescente spaventato ascoltandolo e aiutandolo a raccontare ciò che lo spaventa, avendo rispetto della sua emozione e provando con lui a trovare delle soluzioni o delle strategie per affrontare le situazioni più complesse.
La paura dell’altro è un sentimento sempre più vivo nelle nostre comunità, caratterizzate ormai da diffidenza e chiusura crescenti, con conseguente perdita di solidarietà, accoglienza e libertà verso gli altri, anche nelle situazioni più quotidiane: chi più si azzarda a mostrare il minimo disappunto verso manovre improprie di altri autisti? Chi non ha paura di potenziali malintenzionati che si avvicinano ai propri figli? Chi non si sente perennemente minacciato di essere raggirato, truffato o derubato da qualche imbroglione di turno? Chi non prova un minimo di diffidenza verso chi chiede aiuto per strada? Per non parlare della diffidenza verso il diverso, lo straniero… Come si può arginare o combattere questo fenomeno?
Il tema è molto delicato e riguarda la distinzione tra il pericolo reale ed il pericolo percepito. Il primo è un dato oggettivo, legato a statistiche e numeri. Il secondo è il grado di pericolosità che attribuiamo e, siccome ognuno di noi percepisce la realtà a modo suo, spesso valutiamo le cose in modo erroneo. Questa è la forza dell’autoinganno (spesso condizionata, se non manipolata, da chi ha il compito di fornirci le informazioni sulle quali basare le nostre valutazioni). Come fare a difenderci dall’autoinganno? Conoscendo maggiormente i dati di realtà (quanto è davvero pericoloso prendere un aereo? Quanto mettersi al volante dopo aver bevuto? Quante volte accade qualcosa di spiacevole ai nostri figli nel percorrere da soli il tragitto tra casa e scuola? …) e cercare di porsi la domanda: la mia ansia è legata a un pericolo reale o percepito?
La paura collettiva è un fenomeno che sta purtroppo crescendo nelle nostre città a seguito dei numerosi attentati terroristici. Come è possibile affrontarla? Nelle recenti immagini di Barcellona, durante le manifestazioni in ricordo delle vittime, si sono visti striscioni con la scritta Io non ho paura. È davvero possibile non avere paura?
La possibilità statistica di essere coinvolti in un attentato è estremamente bassa, ma è una paura che si è molto diffusa perché quelli terroristici sono atti estremamente violenti e sui quali non abbiamo potere, cioè la possibilità di determinare le cose. L’episodio della notte della finale di Champions League in Piazza San Carlo a Torino (più di 1500 feriti per un falso allarme) fotografa perfettamente questo fenomeno.
Se la paura diventa collettiva assume dimensioni ancora più gravi, ma è nella collettività che si può trovare la forza per superare questi momenti. La manifestazione dopo l’attentato di Barcellona va in questo senso. Detto che lo slogan non è a mio parere ben pensato, perché nega un sentimento che tutta la comunità ha certamente provato, il messaggio è però chiaro: da soli siamo spaventati a passeggiare nella nostra città, insieme possiamo ripartire!
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 18, NUMERO 3, Settembre 2017

Federico Ratti. Psicologo e psicoterapeuta di indirizzo psicodinamico, si occupa di sostegno e psicoterapia per bambini, adolescenti ed adulti per problemi d’ansia, d’umore, relazionali e di autostima. Laureato in Psicologia di Comunità presso l’Università San Raffaele di Milano, è specializzato in Psicoterapia del Ciclo di Vita – Infanzia, Adolescenza e Famiglia – presso l’Università degli Studi di Padova. Da anni lavora nel territorio bresciano a stretto contatto con le realtà scolastiche attraverso gli sportelli di ascolto e progetti di Prevenzione e Educazione alla Salute.