(di Rosario Ribbene)

 

Non un luogo da oltrepassare con lo sguardo e la mente, né un contenitore di persone che vengono cancellate dalla società, ma un luogo ancora capace di fare sperimentare il grande valore della dignità della vita. Stiamo parlando del carcere, dove uomini e donne spesso restano intrappolati esclusivamente nella dimensione “di pena”. Eppure anche le silenziose mura di una galera possono contenere quel miracolo attraverso il quale Cristo fa nuove tutte le cose: l’Eucarestia, pane che si fa carne, corpo che si fa salvezza per ciascun uomo in qualsiasi stato di vita.

 

È proprio a partire dall’Eucarestia che ha preso vita il progetto Pane Spezzato – proposto dal cappellano del carcere Pagliarelli di Palermo fra Loris D’Alessandro e realizzato con il supporto dei volontari dell’Azione Cattolica – che vede impegnate sei detenute nella produzione – tra le mura dell’istituto di pena palermitano – di ostie da distribuire alle parrocchie diocesane. La produzione è iniziata a febbraio ma sono state donate per la prima volta alla Cattedrale e consacrate Giovedì Santo, durante la messa crismale, alla presenza dell’Arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice.

Attraverso l’Eucarestia, il ritorno alla fede

“L’idea parte da un convegno a Roma che ha interessato noi cappellani – spiega fra Loris D’Alessandro – dove è stato illustrato il progetto “Il senso del Pane” attraverso il quale vengono prodotte dai detenuti del carcere di Opera le ostie che vengono poi donate alle parrocchie di tutta Italia. Questo progetto mi è subito piaciuto e così ho deciso di portarlo a Palermo. Pane Spezzato è sicuramente il primo progetto che coinvolge delle detenute, impegnate – come volontarie – in questo servizio con grande spirito di fede, aiutate dalla preghiera e dalla partecipazione quotidiana all’Eucarestia. Abbiamo iniziato la distribuzione nelle parrocchie e nei conventi della diocesi: i parroci che ne fanno richiesta lasciano liberamente solo un’offerta in quanto non facciamo vendita”.

Un progetto che in realtà è un duplice percorso di fede, dal momento che coinvolge le detenute e i volontari dell’Azione Cattolica.

“Nel momento in cui ho proposto a queste donne di partecipare al progetto avevano quasi le lacrime agli occhi per la commozione – continua fra Loris D’Alessandro – perché danno un valore autentico a quello che stanno facendo. Qualcosa che le stravolge in modo positivo. Si sentono diverse, serene, perché vivono la loro dimensione di fede producendo le ostie, che poi diventeranno il corpo di Cristo. Adesso che la produzione è già molto evidente e che queste ostie sono state utilizzate nella celebrazione del Giovedì Santo in Cattedrale, prendono maggiore consapevolezza di ciò che producono. È una cosa che le stravolge in modo positivo, facendole vivere la pena del carcere con una prospettiva diversa. E stravolge noi che continuiamo la condivisione, all’esterno, di quel pane spezzato: un pane che fa nuove le vite spezzate, un Dio che si fa piccolo tramite le persone più fragili come chi è detenuto. Ci ha regalato grande gioia vivere l’offertorio del Giovedì Santo in Cattedrale, perché nel percorso processionale vi era anche Silvana, una detenuta del Pagliarelli in permesso speciale che accompagnava proprio quelle ostie, prodotte insieme alle sue compagne, che di lì a poco sarebbero state consacrate”.

La vecchia cucina del carcere trasformata in laboratorio

Il laboratorio è nato all’interno di due stanze della vecchia cucina della casa di reclusione che sono state opportunamente adattate per ospitare i macchinari idonei per il tipo di attività da svolgere. Dopo una prima produzione di 370 ostie che ha superato l’esame di idoneità, adesso l’intenzione è quella di produrre ogni due giorni 500 ostie piccole e 50 grandi. “Di recente abbiamo incrementato la produzione – continua fra Loris – perché le clarisse del monastero di Santa Chiara ad Alcamo ci hanno regalato altre due macchine per produrre le ostie che a breve saranno operative. Il servizio impegna, attualmente, sei detenute, ogni giorno dalle ore 13 alle ore 17.00, ma con queste altre due macchine valuteremo un eventuale potenziamento coinvolgendo altre volontarie”.

Siamo noi il pane spezzato

Pane spezzato è un progetto messo in piedi nell’arco di un anno grazie alla collaborazione dei volontari dell’Azione Cattolica Diocesana di Palermo, innestati già da tre anni nella realtà del carcere palermitano: sono proprio loro che hanno in mano il cuore dell’iniziativa. Donne e uomini che si spendono nel dono di sé stessi verso il prossimo, come Stefania Sposito, Domenico Anastasi, Giuseppe Bellanti, Daniela Giganti, Antonella Tirrito, Floriana Dolce, Valentina Arena e Giuseppe Mangano, oltre a Fra Loris D’Alessandro.

“Signore dove abiti? La domanda di Pietro risuona uguale anche a loro – spiega Stefania Sposito, volontaria dell’Azione Cattolica e coordinatrice del progetto –  in un posto dove il silenzio delle fredde mura ti costringe a pensare e ripensare al perché della cosa e ti mette in contatto forte con un io che probabilmente mai avresti voluto conoscere. Questo è quello che molte di loro si trovano a vivere. Eppure per alcune, forse per tante, è da qui che parte la strada che le conduce alla liberazione definitiva delle catene che le hanno legate. Questo è il cammino che fanno e l’essere state scelte per questo progetto le ha messe faccia a faccia con un Dio che non solo si è fatto vittima per salvarci ma che, piccolo tra i piccoli e più fragile tra i fragili, chiede in maniera insistente e ripetitiva: “fammi tu, potrai gustarmi più pienamente, potrai anche maneggiarmi”. E tutto questo, che mi piace chiamare “il miracolo del pane” spinge non solo loro, ma ognuno di noi ad una ri-generazione continua in cui abbracci il nuovo: il nuovo io, la nuova vita, il nuovo gusto di sentirti ri-accolto da braccia grandi che mai si sono stancate di te e che hanno il calore per scaldare un cuore che la fragilità aveva reso gelido”. 

Improvvisa arriva la proposta di fra Loris per il coordinamento del progetto, tanto da sembrare folle. “Convinta che era Dio stesso che mi stesse chiedendo la cosa – racconta Stefania ‒ mi sentii di rispondere subito si, anche a nome degli altri volontari che come me ad allora facevano catechesi in carcere. E Dio che è provvido con i suoi doni, dona sempre il centuplo: le mura di quei locali della vecchia cucina adibita a laboratorio ormai diventata casa calda ed accogliente dove prende forma nella sapiente mescolanza di semplici materie prime, farina ed acqua, quello che poi diverrà il corpo del Dio Salvatore; la bellezza della catechesi eucaristica che ricrea i nostri animi assopiti; le lacrime di chi si pente degli orrori commessi; i caldi sorrisi che riempiono l’aria; la serenità donata dalla preghiera ininterrotta che si fa durante la manifattura delle ostie, che unisce il carcere con la città. Questo è ancora quello che io chiamo “il miracolo del pane”. 

Nonostante il recente avvio del progetto si registra un buon numero di sacerdoti che ha aderito all’invito del Vescovo Lorefice – in occasione della messa crismale – di attingere alla produzione di Pane spezzato. Proprio durante quella messa del Giovedì Santo, ad esempio – sono state interamente usate le 2000 ostie piccole e le 250 grandi. L’invito del vescovo ha avuto eco anche fuori dai confini diocesani con ordini di ostie provenienti da Messina e Trieste.

“Fare catechesi in carcere è qualcosa di speciale – racconta Domenico Anastasi, altro componente del progetto e volontario dell’Azione Cattolica ‒ è riaffermare che il cuore e l’anima dell’impegno missionario è la formazione. È rispondere all’invito del magistero di Papa Francesco di una Chiesa in uscita verso le periferie esistenziali. All’inizio del nostro cammino insieme ai fratelli detenuti ero convinto di poter essere un tramite per far loro incontrare il Signore, invece già dal primo incontro sono stato io ad incontrare il Signore attraverso i miei fratelli reclusi. Da qualche mese ancora un’altra opera meravigliosa del Signore: aiutare le nostre sorelle ad entrare in un contatto molto intimo col Signore. Aiutarle a fare le particole che saranno consacrate durante la celebrazione eucaristica. Un processo che non è solo quello materiale del mescolare ma è un percorso spirituale che mescola preghiera e formazione eucaristica, sorrisi e pianti, speranze e delusioni. Il progetto Pane spezzato è un modo per le sorelle di sentirsi più vicine al Signore e alla Chiesa. E’ il loro modo di riscattarsi, è il nostro modo di fare la volontà del Signore”.

La logica del dono

“L’unica prospettiva possibile del progetto – afferma Stefania Sposito – è che il seme piantato continui a dare i suoi frutti – con tempi e modi che il Signore stabilirà ‒ nell’avvicendarsi di cappellani, volontari e detenuti; il progetto sa già come andare avanti. Ciò è adesso nascosto ai nostri occhi, ma sono certa che “il miracolo del pane” continuerà a ripetersi giorno dopo giorno”. 

Se la logica dell’esistenza di Gesù è il dono totale e se questo dono è l’Eucaristia – il Corpo e la vita del Figlio – nell’Eucaristia, in cui riceviamo in dono “il corpo di Cristo dato per noi e per tutti”, ogni promessa di Dio si compie, anche quella che parte da una esistenza ferita, inquinata ed irrimediabilmente corrotta agli occhi della società degli uomini. È proprio questa la dimensione del progetto.

La parola alle donne

Abbiamo chiesto alle sei donne coinvolte nel progetto di dirci brevemente cosa rappresenti per loro il lavoro che stanno facendo.  Ed ecco le loro risposte che sono come un unico grande, corale inno di speranza: le abbiamo lasciate così come ci sono state riferite con semplicità e sincerità.

Mi ha aiutato ad essere più serena.  Ora non sento più angoscia. Mi dà la forza per superare tutto. 

Dà tranquillità lo stare qui perché sentiamo il Signore con noi. 

Da quando è iniziato il progetto, dimentichiamo che siamo “dentro”. C’è solo il pensiero di venire qui e lavorare per il Signore. 

Ci sentiamo realizzate. Lo facciamo con gioia. Il Signore ci dà la forza. 

Lo facciamo con amore, come dono, come pensiero per il Signore che ci ha aiutato in questo momento.

Io a breve sarò fuori, ma mi dispiace lasciare questo “lavoro” che mi ha dato tanto, anche se non so spiegare cosa di preciso, ma prima di entrare qui non trovavo mai tempo per andare in chiesa. Adesso ci vado regolarmente e ogni sera ho il mio momento di intimità con Lui, nella preghiera.

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 20, NUMERO 2,  Luglio 2019

Da sinistra Stefania Sposito, Domenico Anastasi, Giuseppe Bellanti, Daniela Giganti, Antonella Tirrito, Floriana Dolce, Valentina Arena e Giuseppe Mangano, Fra Loris D’Alessandro, insieme al vescovo di Palermo