(di P. Antonio Maria Sicari o.c.d.)

«La religione è causa di violenza», anzi la violenza è depositata nel suo stesso Dna, tanto che, per sradicarla, bisognerà distruggerle assieme. Questi sono ormai gli slogans ricorrenti, sbandierati come verità auto-evidenti, che non hanno nemmeno bisogno di essere provate. Trascuriamo per ora l’evidente autogoal di chi progetta la violenza per eliminare la violenza. Andiamo subito alla radice del problema, che mette in questione la stessa fede in Dio.

La violenza: “rapina” dell’Assoluto

Se si riflette sul rapporto tra violenza e Dio, due sono in fondo le possibilità poste come premessa:

  • Dio ha creato l’uomo a Sua immagine e somiglianza” (Gen 1,27), come sostengono le grandi religioni;
  • l’uomo ha creato Dio a sua immagine”, come sostengono masse di non credenti, di varie e incontrollate denominazioni.

Da queste due diverse premesse, possono quindi discendere due diverse conclusioni:

Se è vera la prima ipotesi, la violenza religiosa non può avere origine in Dio, ma deve averla in noi stessi. Se, infatti, la violenza fosse in Dio stesso e nel disegno secondo cui ci ha creati, noi saremmo fatti a immagine della Sua “violenza dominatrice” ed essa ci sembrerebbe addirittura ovvia e non ci scandalizzerebbe affatto.

Se è vera la seconda ipotesi (che è quella di tutti i non credenti, alla scuola di Feuerbach), anche in questo caso la violenza religiosa viene dall’uomo che ha immaginato Dio proprio nel tentativo di “assolutizzare” l’umano. E, dopo averlo immaginato, non ha potuto far altro che cercare di realizzare violentemente la sua “immaginazione”.

In ambedue i casi, l’origine della violenza consiste in una “rapina dell’Assoluto”:

  • i non credenti la producono tutte le volte che divinizzano i propri progetti e li organizzano in “sistemi” (ideologici, sociali, politici, economici, ecc.), pretendendo di farlo perfino “scientificamente”;
  • i credenti la organizzano quando cedono (o hanno ceduto) a un peccato originale che consiste, appunto, nel “voler essere come Dio” e decidere da sé “il bene e il male”.

Continua a leggere

I veri dati della storia

Ma si possono aggiungere altre considerazioni dal punto di vista storico–scientifico. Quando si verifica la violenza dei credenti (quella commessa in quanto credenti), non necessariamente dev’essere attribuita alla loro religione, ma piuttosto «ai limiti culturali con cui essa viene vissuta e si sviluppa nel tempo» (Giovanni Paolo II, Assisi 1986). In ogni caso le manifestazioni storiche in cui essa si è espressa sono piuttosto contenute. I tre volumi dell’Encyclopedia of Wars di Ch. Phillips e A. Axelrod evidenziano che “nella lista delle principali 1763 guerre della storia, meno del 7% hanno avuto una causa religiosa e generato meno del 2% di tutte le persone uccise in guerra”.

Quando, invece, si verifica la violenza dei cosiddetti non–credenti per imporre “sistemi assoluti” essa tende appunto ad essere assoluta: le due ultime guerre mondiali, i milioni di vittime provocate dal nazismo, dallo stalinismo, dal comunismo cinese, cambogiano, albanese (etc. etc.) nell’ultimo secolo sono una evidenza storica, non confutabile.

E ciò è talmente vero che gli stessi sostenitori della tesi — difesa in decine di pubblicazioni, secondo cui le religioni (soprattutto quelle monoteistiche) sono intrinsecamente violente — messi davanti all’evidenza delle immani violenze prodotte nel secolo scorso da sistemi esplicitamente atei, si sono trovati costretti ad affermare che anche questi sono stati comunque dei “sistemi religiosi”.

A questo punto cadono tutti nel paradosso (chiaramente forzato) secondo cui: dato che la religione è intrinsecamente violenta, tutto ciò che è intrinsecamente violento è religioso.

Il peccato è radice di violenza

Il che ci rimanda alle affermazioni iniziali: all’origine di tutto, dato che non può esserci un Dio assolutamente violento (perché se così fosse, l’uomo da Lui creato sarebbe incapace di riconoscere la violenza come male), ci deve essere per forza un peccato originale di natura sua violenta, compiuto dall’uomo (e contro Dio stesso!).

Aveva insomma ragione Chesterton quando riteneva che il dogma sul peccato originale fosse quello “più scientificamente provato”. Il che lascia spazi amplissimi a riconoscere la plausibilità e la bellezza del discorso cristiano, secondo cui la fame di Assoluto, propria dell’uomo, viene da Dio stesso, che l’ha trasmessa all’uomo, creandolo a Sua immagine.

Questa fame avrebbe voluto saziarla Dio stesso, donandosi all’uomo ed entrando in comunione con lui; ma l’uomo ha voluto, fin dall’origine, rivolgerla contro il suo Creatore. Dio, però, non ha abbandonato l’uomo a se stesso, ma ha iniziato con lui una “storia di salvezza”, per rieducarlo a comprendere e desiderare l’Assoluto come dono.

Nella “pienezza di questa storia” ha mandato il Suo stesso Figlio, fatto uomo e Salvatore dell’uomo, il quale ci ha mostrato e insegnato che la forza di Dio si esprime esclusivamente come Amore indifeso, fino ad accettare la violenza su se stesso.

La bellezza del Dio crocifisso

Nessuno che abbia respirato l’atmosfera del culto cristiano o contemplato la bellezza dell’arte cristiana ha mai assorbito germi di violenza: l’icona del Natale e quella della Vergine Madre col suo Bambino tra le braccia parlano di infinita tenerezza; quella dell’Ecce Homo o del Crocifisso parlano dell’abbandono indifeso di un Amore che continua a perdonare e a donarsi.

Perfino la gloriosa Maestà di Dio Padre è stata cristianamente rappresentata con le braccia spalancate per sostenere il Figlio Crocifisso. E il Risorto vittorioso ha scelto di manifestarsi per la prima volta nella freschezza del mattino, in un giardino paradisiaco, davanti a una donna innamorata.

Che cosa ci sia di violento in un presepio o in un crocifisso, i nostri teorici della non violenza o i fautori della violenza religiosa che se ne sentono offesi, dovrebbero chiederlo a S. Francesco d’Assisi che ha inventato la prima rappresentazione natalizia ed è morto riproducendo sul proprio corpo le stigmate della passione di Cristo, per troppo amore.

Il cristianesimo nella storia

La violenza umana, pertanto, continua nella storia e a volte anche i cristiani si lasciano trascinare: ma ciò accade là dove l’uomo continua a tentare d’impadronirsi dell’Assoluto (dovunque e comunque creda di riconoscerlo, sia proclamandosi credente, sia proclamandosi ateo, o qualunque altra cosa). Ma il cristianesimo resta comunque, nella storia, il luogo più evidente (anche se non unico) dove, prima o poi, la violenza viene sempre riconosciuta come peccato, e dove non mancano mai testimonianze affascinanti “dell’intimo legame esistente tra il rapporto con Dio e l’etica dell’amore” (San Giovanni Paolo II).

La storia cristiana ha conosciuto ombre di violenza, ma è tutta illuminata da splendori di santità. E di bellezza.  Anche deriderla e non volerlo riconoscere è violenza. 

 

© Dialoghi Carmelitani, ANNO 17, NUMERO 1, Marzo 2016