Nato nel 1970. Laureato alla facoltà di scienze politiche dell’Università di Firenze, ha studiato politica e cultura dell’Irlanda all’University College di Dublino. Ha iniziato la carriera di giornalista collaborando con il settimanale Diario e con il mensile Storia & Dossier. Dopo un passato radiofonico a Popolare Network, attualmente scrive regolarmente su Avvenire, Focus Storia e Il Venerdì di Repubblica. Saltuariamente collabora, in qualità di autore e conduttore radiofonico, con la trasmissione Wikiradio di Rai Radio 3. In passato ha scritto anche per Il Manifesto, L’Unità e D-la Repubblica delle donne. Nel 2011 ha vinto il premio letterario “Firenze per le culture di pace”, dedicato a Tiziano Terzani. Esperto di politica e cultura dell’Irlanda, nel 2009 ha dato alle stampe il suo primo libro, Storia del conflitto anglo-irlandese, definito il “libro nero” del colonialismo inglese in Irlanda. Si è concentrato in particolare sulla memoria e sulle conseguenze dei Troubles, di cui è considerato uno dei principali esperti in Italia, approfondendo in particolare la figura di Bobby Sands, del quale ha recentemente curato, con Enrico Terrinoni, l’edizione italiana degli Scritti dal carcere.
Scritti dal carcere. Poesie e prose (Paginauno)
Bobby Sands, in quelle terribili condizioni, ebbe anche la forza di comporre numerose poesie e pagine di prosa, scrivendo su carta igienica e cartine di sigarette che poi faceva uscire clandestinamente dal carcere. Tradotte recentemente, sempre a cura di Michelucci, offrono l’immagine di un uomo lucido ed inflessibile, caratterizzato da una straordinaria sensibilità umana e morale che lo porterà alla scelta finale: «Oggi mi sento come un cadavere vivente, quelle gambe che una volta correvano per chilometri desiderano rivivere e tornare a correre. Corro un’altra gara nella mia mente e lo squallore che mi inghiotte e mi avvolge ride di me, mentre fisso incredulo le mie gambe e il mio corpo nudo». (Scritti dal carcere, Ed. Paginauno, pp. 181-182) Una storia triste e senza tempo che va ricordata e che deve fungere da monito per gli oppressori di ogni epoca, come bene scrisse Manzoni: «I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi. Egli era un giovine pacifico e alieno dal sangue, un giovine schietto e nemico d’ogni insidia; ma, in que’ momenti, il suo cuore non batteva che per l’omicidio» (I Promessi Sposi, cap. II).