(Lella Tomasini)

 

Un giovanissimo soldato russo in lacrime in mezzo ad alcuni ucraini che gli danno da mangiare e lo aiutano a parlare al telefono con la madre. 

Il video gira sui social e mostra il giovane militare russo, che probabilmente è stato preso prigioniero, mentre beve una tazza di tè e mangia qualcosa. Scosso e con gli occhi gonfi. Al suo fianco una donna ucraina cerca di calmarlo, offrendogli il suo telefono per comunicare con la madre in Russia e rassicurando la madre russa della buona salute del figlio.

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«Solo chi perdona può parlare di pace e teorizzare sulla non violenza.

Non vorrei essere frainteso.

È vero: la pace è conquista, cammino, impegno. Ma sarebbe un brutto guaio se qualcuno pensasse che essa sia semplicemente il frutto dei nostri sforzi umani o il risultato del nostro volontarismo titanico o una merce elaborata nelle nostre cancellerie diplomatiche o un prodotto costruito nei nostri cantieri popolari.

La pace è soprattutto dono che viene dall’alto. È la strenna pasquale che Gesù ha fatto alla terra. È il regalo di nozze che ha preparato per la Sua sposa. Con tanto di marchio di fabbrica: “Made in Cielo”.

Qual è allora il ruolo degli operatori di pace? Quello di non respingere il dono al mittente. È, in particolare, quello di rendere attuale e fruibile per tutti questo regalo di Dio. Mi spiego con immagini. Gesù è sceso sulla terra tormentata dalla sete. Con la Sua croce, piantata sul Calvario come una trivella, ha scavato un pozzo d’acqua freschissima. Una volta risorto, ha consegnato questo pozzo agli uomini dicendo: “Vi lascio la pace, vi do la Mia pace”. Ora tocca a noi attingere l’acqua della pace per dissetare la terra. A noi, il compito di farla venire in superficie, di canalizzarla, di proteggerla dagli inquinamenti, di farla giungere a tutti.

La pace, dunque, è dono. Anzi, è “per–dono”. Un dono “per”. Un dono moltiplicato. Un dono di Dio che, quando giunge al destinatario, deve portare anche il “con–dono” del fratello.

E qui il discorso si fa concreto. Come possiamo dire parole di pace, se non sappiamo perdonare? Con quale coraggio pretendiamo che siano credibili le nostre scelte di pace a livello di massimi sistemi, quando nel nostro entroterra personale prevale la legge del taglione? Come possiamo rifiutare la “deterrenza” e respingere la logica del missile per missile, se nella nostra vita pratichiamo gli schemi dell’“occhio per occhio e dente per dente”? Quali liberazioni pasquali vogliamo annunciare, se siamo protagonisti di stupide smanie di rivincita, di deprimenti vendette familiari, di squallide faide di Comune? Chi volete che ci ascolti quando facciamo comizi sulla pace, se nel nostro piccolo guscio domestico siamo schiavi dell’ideologia del nemico?

Solo chi perdona può parlare di pace. E a nessuno è lecito teorizzare sulla non violenza o ragionare di dialogo tra popoli o maledire sinceramente la guerra, se non è disposto a quel disarmo unilaterale e incondizionato che si chiama “perdono”.

La pace, che va costruita nella storia, – afferma ancora don Tonino – è un’acqua che scende dal cielo: ma siamo noi che dobbiamo canalizzarla affinché, attraverso le condutture approntate dalla nostra genialità, giunga a ristorare tutta la terra. La pace è opera della giustizia (cfr. Is 32,17; Sal 85, 11) ma, in ultima analisi, è una persona da seguire: la stessa persona di Gesù. Per questo, anche se viviamo un’esperienza frammentata di pace, scommettere su di essa significa scommettere sull’uomo. Anzi, sull’uomo nuovo. Su Cristo: Egli è la nostra Pace. E Lui non delude».

 

Don Tonino Bello

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 23, NUMERO 1, Aprile 2022