Conoscere e capire alcune recenti tendenze politiche
Intervista al Prof. Damiano Palano (a cura della Redazione)
Nell’attuale dibattito politico ci si confronta con un fenomeno nuovo indicato con il nome di “sovranismo”. Le forze politiche sovraniste, sia in Italia che in Europa (ma in collegamento con quanto accade in altre regioni del mondo, come negli USA), sostengono la necessità di una riaffermazione della sovranità nazionale (politica, giuridica e culturale), in particolare nei riguardi degli organismi sovranazionali e di altri fattori che potrebbero metterla a rischio. Ma sovranismo e sovranità possono essere considerati termini e concetti sinonimi? Quale teoria è realmente all’origine del riferimento alla sovranità? Su questi ed altri temi Dialoghi propone l’intervista a Damiano Palano, professore ordinario di Filosofia Politica presso l’Università Cattolica di Milano: un contributo di grande rilievo, per capire meglio il tempo presente e le prospettive future, anche in vista delle ormai prossime consultazioni europee.

Sovranità e sovranismo sono due termini e due concetti distinti, anche se oggi si rischia di usarli come sinonimi: quale definizione e quali differenze li riguardano? Quanto è importante un approccio (anche) culturale a questi temi, per evitare o correggere eventuali distorsioni linguistiche e pratiche?
Il termine sovranismo è un’invenzione recente, mentre il concetto di sovranità è uno dei pilastri del pensiero politico moderno. Nell’ordine politico moderno la sovranità è lo specifico potere di cui è dotato lo Stato. Si tratta di un potere a due facce: una interna e l’altra esterna. Per quanto concerne la dimensione interna, uno Stato è infatti l’organizzazione che esercita un governo effettivo sulla popolazione che risiede su un determinato territorio. In questo senso, lo Stato è “sovrano” — all’interno dei propri confini — perché superiorem non recognoscens, ossia perché il suo potere è originario e non deriva da alcuna autorità superiore (politica, religiosa o di altro). Dal punto di vista esterno, uno Stato è “sovrano” perché fa parte della comunità internazionale, e cioè perché gli altri Stati lo riconoscono come “sovrano”. In questo senso, la sovranità è un principio organizzatore delle relazioni interne a ciascun singolo Stato e il perno su cui si regge il sistema interstatale. Si tratta però di un principio che inizia a essere insidiato già a partire dall’inizio del Novecento, dall’emergere di una serie di tendenze che vengono a limitare la sovranità degli Stati. Ed è contro queste tendenze che nasce il sovranismo. Con questo termine si indicano infatti soprattutto le posizioni che si oppongono al trasferimento di funzioni a organizzazioni sovranazionali. Già il movimento Unione e Fraternità Francese, fondato dal cartolaio francese Pierre Poujade alla metà degli anni Cinquanta, profilava i tratti del sovranismo contemporaneo, perché si batteva contro la costituzione della Comunità Economica Europea. E proprio in Francia, anche se più tardi, il sovranismo conosce declinazioni di destra e di sinistra. Per la destra, si tratta di difendere identità nazionale dall’omologazione culturale e da ogni rischio di “contaminazione” proveniente dall’esterno. Per la sinistra, si tratta piuttosto di contrapporsi alla globalizzazione capitalista.
Da un punto di vista storico‒politico, qual è la radice della teoria della sovranità e attraverso quali passaggi, a partire da essa, si è giunti al fenomeno attuale del sovranismo, con le sue traduzioni pratiche?
La dottrina moderna della sovranità nasce nel XVI e XVII secolo, nella grande fucina teorica della “ragion di Stato”. Una serie di pensatori — che sono quasi sempre anche “consiglieri del principe” — costruisce la “finzione” dello Stato. In precedenza, la parola “stato” indica soltanto una condizione sociale e giuridica (lo status), oltre che l’insieme degli strumenti ad esso associato. Per Machiavelli lo “stato” del principe (o della repubblica) è soltanto costituito dal gruppo di collaboratori fidati che collaborano alla gestione del potere. Pensatori come Giovanni Botero iniziano invece a raffigurare lo Stato come una “persona”, ossia come un soggetto vivente, dotato di specifici interessi. Per effetto di un simile passaggio, possono distinguere l’interesse “personale” del principe dall’interesse dello Stato. E sono dunque in grado di rappresentare il principe, che esercita materialmente il potere, come un semplice “funzionario”, che serve una causa più alta: la “ragion di Stato”. Un grande teorico della sovranità è Jean Bodin, per il quale l’esistenza di un unico centro di potere sovrano è una condizione essenziale per garantire l’ordine sociale. Come scrive nel 1576, la sovranità è quel potere «assoluto e perpetuo» che è proprio dello Stato. Poi naturalmente l’edificio teorico della sovranità moderna trova il suo compimento con il Leviatano di Thomas Hobbes, per cui il potere “sovrano” dello Stato è la condizione per superare il bellum omnium contra omnes. A un certo punto, però, la dottrina della sovranità si modifica, perché, con la rivoluzione francese, la sovranità diventa la sovranità del popolo. Se fino a quel punto lo Stato coincideva per molti versi con il re, con la rivoluzione è il popolo, o meglio il popolo‒nazione, a diventare il “sovrano”. Ma né il popolo né la nazione esistono davvero, nel senso che sono rappresentazioni mutevoli, immagini ridefinite dai rapporti di forza. Dunque, dal punto di vista dottrinario, come recita la nostra Costituzione, «la sovranità appartiene al popolo», anche se, di volta in volta, muta il volto del concreto soggetto che è chiamato a esercitare quel potere sovrano “in nome del popolo”.
Perché, dopo un lungo periodo di prospettive sovranazionali — sia di carattere politico‒istituzionale che economico — si riafferma oggi la domanda di un rispetto della sovranità nazionale? Ci sono valori che la recente costruzione europeista e mondialista ha rischiato di trascurare o di banalizzare, ma che chiedono di non essere dimenticati?
Le risposte possibili sono molte. Una è squisitamente politica e riguarda l’Europa. Non c’è dubbio che il progetto di integrazione europea sia stato portato avanti “nonostante” le opinioni pubbliche nazionali, ma spesso senza un loro appoggio consapevole. Il punto non è tanto che gli Stati nazionali abbiano “ceduto” sovranità, quanto piuttosto che questo potere sia stato consegnato a quelle che di solito si chiamano «istituzioni non maggioritarie», e cioè a istituzioni che non rispondono ai cittadini. Il sovranismo può dunque essere considerato come una reazione a questo modo specifico di costruire l’Ue. Ma naturalmente ci sono altre chiavi di lettura. Parlando dell’Italia, il Censis ha ritratto un Paese preda di un “sovranismo psichico”, e cioè di un atteggiamento in cui i timori per il futuro si associano al rancore nei confronti soprattutto degli stranieri. Al di là dell’analisi, mi pare che questa sia una dimensione cruciale. Naturalmente la globalizzazione ha prodotto notevoli conseguenze sulle nostre società. Ma il senso di frustrazione e di insicurezza che sta esplodendo nei ceti popolari europei va al di là di questo. Le promesse di sicurezza e protezione del sovranismo non possono essere soddisfatte da barriere doganali, o da muri più o meno robusti, non solo perché simili rimedi sono inefficaci in un mondo globalizzato, ma perché le ansie e i nemici di cui il sovranismo si alimenta sono anche (seppur non solo) immaginari. Come ha osservato Francis Fukuyama, abbiamo creduto che un mercato globale ed efficiente potesse garantire una società ordinata, mentre abbiamo sottovalutato l’importanza che le identità e le appartenenze hanno nella vita delle persone.
L’Unione Europea, in particolare, sembra ancora mancare di una sua reale unità interna: unità di valori, culturale e di popoli. Che cosa ci si può attendere dalle prossime consultazioni europee e qual è il loro rilievo, anche a fronte del richiamo sovranista? Sono possibili paralleli con altri contesti?
I sondaggi dicono che nel prossimo Parlamento di Bruxelles le forze “populiste” ed “euroscettiche” faranno un balzo in avanti e che per questo sarà difficile formare una maggioranza. Tutto ciò probabilmente non comporterà una “disintegrazione” dell’Unione europea, ma semplicemente renderà ancora più difficile realizzare riforme indirizzate verso un’unione anche politica. Anche perché sembra improbabile che un’alleanza politica tra i vari sovranismi possa dare origine a un nuovo progetto comune. Alcuni sovranismi, paradossalmente, richiedono in realtà una maggiore condivisione degli impegni a carico degli Stati, mentre altri sono nettamente contrari. Ma, a dispetto di tutte queste contraddizioni, non penso ci si debba attendere un “riflusso” del sovranismo o del populismo. Piuttosto, il rischio è quello di un’ulteriore polarizzazione. E l’Europa non è l’unica a essere esposta a questo pericolo. Ci sono infatti analogie importanti tra il sovranismo europeo e molti di quei fenomeni che contrassegnano l’ascesa del populismo globale, negli Usa, in Brasile, in Messico, in India, nelle Filippine. E d’altronde il sovranismo ha molti elementi in comune con il nazionalismo, il protezionismo, l’isolazionismo e il nativismo. Tutti questi fenomeni si intrecciano d’altra parte con la crisi dell’ordine internazionale liberale e con la progressiva ritirata degli Usa. Mentre l’egemone globale abbandona il suo ruolo di gendarme del mondo, tornano infatti ad avanzare gli Stati nazionali. E l’arma con cui puntano a ristabilire l’onore perduto è quasi sempre proprio la “riconquista” (spesso solo illusoria) della sovranità.
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 20, NUMERO 1, Aprile 2019
Damiano Palano è Professore ordinario di Filosofia politica. Insegna presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Dal novembre 2017 è Direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica.Fa parte del comitato direttivo della «Rivista di Politica» e di “Filosofia politica”, del comitato di consulenza di «Notizie di Politeia. Rivista di etica e scelte pubbliche», del comitato scientifico della rivista «Governare la paura. Journal of Interdisciplinary Studies» (ISSN 1974-4935), del comitato di redazione di «Vita e Pensiero», del comitato direttivo del Centro di Ricerca “Arti e mestieri” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Membro del Collegio dei docenti della Scuola di dottorato in “Istituzioni e Politiche” della Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; del collegio scientifico del Master in “Economia e Politiche Internazionali” (MEPIN) di Aseri (Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali – Università Cattolica del Sacro Cuore) e Università della Svizzera Italiana. Fa parte del Comitato di gestione dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (Aseri) – Facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Collabora alle pagine culturali del quotidiano «Avvenire». Tra i suoi lavori: Il potere della moltitudine. L’invenzione dell’inconscio collettivo nella teoria politica e nelle scienze sociali italiane fra Otto e Novecento (Vita e Pensiero, Milano 2002); Geometrie del potere. Materiali per la storia della scienza politica in Italia (Vita e Pensiero, Milano 2005); Volti della paura. Figure del disordine all’alba dell’era biopolitica (Mimesis, Milano 2010); Fino alla fine del mondo. Saggi sul ‘politico’ nella rivoluzione spaziale contemporanea (Liguori, Napoli 2010); La democrazia e il nemico. Saggi per una teoria realistica (Mimesis, Milano 2012); Partito (Il Mulino, Bologna, 2013); La democrazia senza partiti (Vita e Pensiero, Milano 2015); La democrazia senza qualità. Le «promesse non mantenute» della teoria democratica (Mimesis, Milano, 2015); Populismo (Editrice Bibliografica, Milano 2017).