Intervista a Sua Eminenza il cardinal Robert Sarah (a cura di Luca Sighel)
Il Cardinal Robert Sarah è prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Arcivescovo emerito di Conakry (Guinea). Il giorno 10 febbraio è stato gradito nostro ospite presso la Scuola Madonna della Neve di Adro per incontrare i ragazzi della scuola secondaria di primo grado e del biennio dei licei. È stato un dialogo denso di domande sulla sua personale vocazione e sul suo apostolato, sul mondo di oggi, sulla Chiesa, i giovani ed il futuro. Sua Eminenza ha continuato in quel fine settimana una serie di incontri a Nuvolento e a Brescia dove, ospite anche del vescovo della città, monsignor Pierantonio Tremolada, ha celebrato la S. Messa.

Come può la chiesa annunciare la verità della nostra fede oggi, in tempi in cui il mondo, soprattutto quello occidentale, ha bisogno di una nuova evangelizzazione?
Noi dobbiamo seguire il mandato di Gesù, che ha detto ai Suoi discepoli di andare per il mondo per insegnare il Vangelo, cioè la Passione, la Morte e la Resurrezione di Gesù Cristo. S. Paolo ai Corinzi scrive: «Io non voglio sapere altro, se non il Cristo, e questi crocifisso» (1Cor 2,2). Non abbiamo niente di diverso da annunciare, se non ripetere la sofferenza, la morte e la resurrezione di Cristo per la salvezza del mondo e dire che non conosciamo nessun altro nome per la salvezza degli uomini e del mondo se non il Suo. Questa deve essere la certezza della Chiesa Cattolica: il suo primo dovere è annunziare Cristo, non parlare di altro (ad esempio di ecologia). Non è nostra competenza. E questo annuncio va fatto non solo a parole, ma con la testimonianza della nostra vita. S. Paolo, S. Pietro e tutti i martiri sono morti per questo, per annunciare Cristo. Giovanni Paolo II, nella Redemptoris Missio, dice che siamo soltanto all’inizio dopo 2000 anni. Il Papa Santo ha percorso il mondo intero, in lungo e in largo con i suoi viaggi, per dire una sola parola, cioè “Cristo”, ma lo ha raccontato anche con il suo corpo. Sono stato presente alla morte del Santo Padre Giovanni Paolo II e all’ultimo momento della sua vita, quando voleva parlare, non riusciva più a dire una parola, ma si leggeva nel suo corpo, distrutto dalla malattia, il Vangelo; nella sua sofferenza, nella sua distruzione fisica, l’annuncio di Cristo. Forse noi scriviamo molto, parliamo molto (se non troppo) ma l’annuncio rimane solo un’intenzione! Oggi l’Occidente, che ha portato il Vangelo in Africa ed in Asia, rifiuta Gesù Cristo e il Suo Vangelo, rifiuta Dio e vuole contaminare con questo rifiuto il mondo intero. Noi dobbiamo seguire soltanto gli apostoli, gli uomini e le donne, come Giovanni Paolo II e Madre Teresa, che abbiamo visto con sofferenza ed umiltà testimoniare Gesù.
Come sta camminando la Chiesa nel continente africano e qual è la visione dell’Occidente dal punto di vista del continente africano?
Gli ultimi papi hanno avuto uno sguardo particolare e positivo verso l’Africa, hanno incaricato l’Africa di una missione: la nuova patria di Cristo è l’Africa. Ricevete Cristo con il vostro cuore: Lui trasforma la vostra personalità, la vostra cultura, i vostri costumi. La vera inculturazione è l’incarnazione, lasciare che Dio invada la nostra umanità, non per rimanere umani, ma per divinizzarsi. Come afferma S. Ireneo, Dio si è fatto uomo, perché l’uomo diventi Dio. Davvero bisogna aiutare l’Africa a diventare la vera patria di Cristo, ricevendolo interamente, in modo che trasformi il suo modo di vedere e giudicare le cose, la sua cultura e tutti noi. La Chiesa africana è giovane e fragile, ma può approfittare dell’esperienza della Chiesa del Vecchio Continente e della vostra tradizione. Avete avuto un’enorme esperienza teologica, liturgica, spirituale: tutta la ricchezza che Dio ha suscitato in voi può essere ora un vantaggio e un nutrimento per la Chiesa africana. La Chiesa in Africa sta crescendo, vuole ricevere Cristo. Cristo deve diventare veramente africano e così Lui trasformerà gli africani in Cristo. Papa Benedetto ha affermato che il polmone spirituale del mondo è l’Africa: è come una missione, un appello a diventare il polmone che fa respirare il mondo intero. Ma dobbiamo soffrire per questo, come hanno fatto i primi martiri dell’Uganda, che sono morti crudelmente. Cristo non vuole che rimaniamo africani, ma che diventiamo Cristo. La differenza la fa Dio, non gli uomini e dunque i Papi hanno dato un compito all’Africa: quello di aiutare l’umanità intera con la sua vita, la sua testimonianza e la sua dedizione totale a Cristo. Penso che l’umano sia meraviglioso e santo, perché creatura di Dio; ma Dio lo ha creato perché l’umano, attraverso la sua Incarnazione, diventi Dio.
Eminenza, Lei ha avuto, nel tempo, grandi responsabilità all’interno della Chiesa, guidando la Congregazione per la disciplina per il Culto Divino. È uscito da poco il suo ultimo libro “Il catechismo della vita spirituale”: cosa l’ha spinta a scrivere questo libro e qual è il messaggio che vuole comunicare?
Il dono più prezioso che il Signore ha dato alla Chiesa sono i Sacramenti, per rimanere con noi, per non abbandonarci e lasciarci soli. Per primo il Battesimo, perché noi diventiamo come Lui figli di Dio. Non si tratta quindi solo di un rito, di un’abitudine, di un costume: nel Battesimo siamo immersi nella Trinità. Se dimentichiamo questo, il Battesimo è solo un rito. Ma se invece sono nella Trinità, devo vivere della Trinità, dell’amore e della santità della Trinità, della sua comunione ed armonia. La stessa cosa vale per gli altri Sacramenti, a cominciare dalla Cresima, che spesso è invece il momento in cui purtroppo molti ragazzi lasciano la Chiesa; fino al matrimonio, che oggi è in crisi come Sacramento. L’Eucaristia è il centro, la fonte e il cuore della vita di un cristiano. Molti vanno in Chiesa come si va a uno spettacolo a teatro, come a un momento di convivialità, di fraternità, e così non ci si stupisce più che durante la Liturgia Dio si dà a noi. Si racconta che una volta un missionario cattolico e un Imam dialogassero tra loro: ogni tanto il musulmano spiegava al missionario che cosa fosse l’Islam e viceversa. Quando un giorno il missionario disse all’amico che i cristiani hanno Dio con loro presente nell’Eucaristia, l’Imam reagì dicendo: «Se questo è vero, dovete avvicinarvi all’Eucaristia procedendo in ginocchio». Oggi chi si inginocchia davanti a questo con stupore? Il più grande miracolo è il quotidiano miracolo dell’Eucaristia. Ho voluto, con questo e con gli altri miei libri, dare il mio contributo per aiutare i cristiani a riscoprire questo dono immenso dei Sacramenti, perché se perdiamo questo, perdiamo tutto. Oggi viviamo una crisi terribile, in cui nessuno sembra sapere cosa fare. Ad iniziare da noi sacerdoti che non dobbiamo dimenticare che siamo servitori, amministratori dei misteri di Dio, umilmente. La mia preoccupazione è di aiutare a non sprecare questi doni così preziosi. Nessuna religione ha i Sacramenti, dei quali anche noi sacerdoti dobbiamo recuperare il grandissimo valore. Dobbiamo essere d’esempio per i cristiani. La crisi principale oggi è la crisi sacerdotale.
Abbiamo visto che il suo motto episcopale è “Sufficit tibi Gratia mea”: qual è il suo significato e cosa sta dietro alla sua scelta?
Quando sono stato ordinato Vescovo, il mio predecessore era in prigione da 9 anni. La situazione politica del mio Paese, la Guinea, e i rapporti tra la Chiesa e lo Stato erano difficilissimi: un regime comunista opprimeva il Paese e la Chiesa. Io avevo 33 anni e venni raggiunto dalla notizia che Papa Giovanni Paolo II mi voleva nominare Vescovo. Ed io pensai: “È impossibile! Perché non è stato scelto un altro sacerdote più anziano e più esperto di me?”. E la risposta che mi venne fornita fu che era il Papa a nominarmi ed era il Signore che mi chiamava. Mi hanno dato tre giorni per riflettere, da solo; non potevo parlarne con nessuno, e poi avrei dovuto decidere e rispondere per iscritto. Ho detto: “Signore come è possibile rifiutare? Siccome qualcuno deve portare la croce, io, con la tua Grazia, rispondo con il mio sì”. Per questo ho scelto questa frase di S. Paolo: “ti basta la mia Grazia”.
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 24, NUMERO 1, Aprile 2023
Robert Sarah è nato in un piccolo centro della Guinea ed ha maturato la sua vocazione in un periodo storico postcoloniale molto difficile e complesso per il suo Paese, dominato da un regime autocratico e repressivo, che lo ha costretto a completare la sua formazione in Francia e poi in Italia, a Roma. Viene nominato giovane vescovo da S. Giovanni Paolo II, e da subito è strenuo difensore dei diritti del suo popolo africano, ma anche severo e critico verso coloro che lo svendono per interesse. Nel 2001 è nominato Segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Nel 2010 papa Benedetto XVI lo crea cardinale. Dal 2014 è Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Ha scritto numerosi testi sulla fede e sulla vita spirituale. L’ultima sua opera ha per titolo Catechismo della vita spirituale.