(di Stefania Giorgi)
Tolkien: Fin da bambino mi hanno sempre affascinato le lingue, ne ho inventata una!
Edith: Tu hai inventato un intero linguaggio?!
Tolkien: Sì, ho creato storie, leggende!
Edith: Raccontami una storia, in qualsiasi lingua tu voglia!
Tolkien: Parla di viaggi, quelli che facciamo per metterci alla prova. Parla di avventure. Parla di magia che va oltre ogni emozione già provata, di cosa significa amare ed essere amati!
Robert Gilson: Questa è più di una semplice amicizia, è un’alleanza, un’invincibile alleanza!
Tolkien: È una compagnia!

Ricostruire al cinema la vita di un autore famoso è una faccenda delicata. Sempre. Come riuscire a rendere tutte le sfumature di una vita quando poi le opere di quell’autore sono capolavori che ne oscurano la biografia? Opere che hanno segnato il Novecento con un immaginario talmente potente e ricco da aver “creato” un intero genere letterario e aver influenzato la narrativa epica e lo stile di innumerevoli scrittori dopo di lui? Inevitabilmente le vicende biografiche impallidiscono al confronto. Eppure, nel biopic dedicato alla figura di J.R.R. Tolkien, regista e sceneggiatore riescono fortunatamente a far trasparire le tematiche fondamentali che attraversano le sue storie: amicizia, lealtà, coraggio, sacrificio, bellezza, speranza. Salvo poi dimenticarsi di dire dove Tolkien avesse imparato ad amarle.
Una sfida cinematografica
Portare al cinema la vita di un gigante come Tolkien (autore de Lo Hobbit e de Il Signore degli anelli), è stata un’impresa preclusa per decenni a numerosi cineasti, prima di tutto per l’opposizione severa degli eredi che vigilano in maniera inflessibile su qualsiasi aspetto del loro congiunto possa essere manipolato, travisato, o semplicemente sfruttato impropriamente. Anche in questo caso infatti non hanno concesso il loro benestare, ma l’interesse del regista ha consentito lo stesso di portare a termine il progetto. La sfida stilistica invece, che sembra proibitiva a tutti coloro che tentano di descrivere un personaggio di grande calibro, resta quella di raccontare come gli eventi della vita privata dello scrittore hanno dato forma all’universo fantastico, ai personaggi e alle storie raccontate nei suoi capolavori letterari.
Non ci si deve però aspettare riferimenti espliciti al mondo abitato da hobbit, elfi e orchi che era ancora di là da venire (una decisione molto appropriata da parte del regista) ed è invece molto affascinante il modo in cui nel film si scopre che tutto ha origine nella passione per il linguaggio, e che leggende e fiabe facevano già parte dell’immaginario dell’autore.
Il regista, il finlandese Dome Karukoski, fan dichiarato di Tolkien, ci consegna quindi un film che illustra le esperienze fondamentali che hanno segnato la giovinezza dello scrittore, tralasciando purtroppo alcuni fatti non proprio marginali avvenuti nella sua infanzia e adolescenza, sulle quali infatti non si sofferma molto: la conversione della madre al cattolicesimo e la sua conseguente emarginazione da parte della famiglia di origine, avvenimento che lo segnerà per sempre conducendolo ad abbracciare la fede cattolica con convinzione e trasporto.
Pur citando brevemente la madre con la sua devozione per i figli, e la sua morte improvvisa che li lascia completamente orfani, il focus del film è piuttosto sulla nascita delle amicizie di John Ronald durante il periodo del college, e soprattutto sull’esperienza della guerra, sapientemente messa in scena in un montaggio alternato a flashback che la rende ancora più intensa e angosciosa, scandita da suggestioni che legano la realtà spaventosa del campo di battaglia con alcuni elementi fantastici di cui i fan coglieranno subito il nesso.
A parte queste scene, il regista ha fatto sicuramente una scelta azzeccata quando ha deciso di non introdurre troppi riferimenti al mondo fantastico che lo scrittore avrebbe creato in seguito, proprio per tenersi distante dall’enorme pressione che le immagini di Peter Jackson hanno ormai sugli spettatori di ieri e di oggi. Si è concentrato invece nel farci immergere nel realismo dell’Inghilterra post-vittoriana sull’orlo della Prima Guerra Mondiale, con l’attenzione ai dettagli di costume e atmosfera a cui un po’ siamo ormai abituati, grazie ai period-movie così di successo da tempo anche in Italia (vedi Orgoglio e pregiudizio, ma anche Downton Abbey, ecc.).
Un’infanzia drammatica, una giovinezza ricca di amicizia
Il film, abbastanza debole nella parte dell’infanzia, come abbiamo detto, comincia a diventare molto più interessante quando Tolkien incontra i primi compagni di università: giovani di buone famiglie, con grandi talenti e grandi entusiasmi, sulla soglia di cambiamenti sociali di cui cominciavano ad avvertire il profumo. Nonostante le differenze economiche e di casta, questi giovani vivevano, senza i pregiudizi della generazione precedente, un’epoca di grande fervore culturale e di libertà di pensiero, visto che l’era vittoriana si era appena conclusa: pensavano di poter cambiare il mondo attraverso la poesia, la letteratura, la musica. Tolkien ebbe la fortuna di incontrare veri amici con cui condividere le proprie passioni, da cui ricevere sostegno e critiche in un clima di reciproco aiuto e sprone.
Centrale è poi il momento in cui, incontrando quasi per caso un professore di filologia, Tolkien capisce quale sia davvero il campo di studio che lo coinvolge e lo stimola di più: l’origine e il significato delle parole, perfino il loro suono, che lo incanta e apre nella sua mente orizzonti creativi.
Questo ottimo ritratto d’epoca è una bella riflessione sulla forza propulsiva della cultura, che per il giovane John Ronald e i suoi amici della Tea Club Barrovian Society era lo strumento per compiere una rivoluzione, ma è anche il momento centrale della storia. Sono questi quattro ragazzi infatti, o meglio l’amicizia che li unisce, il cuore pulsante del film, e la ragione della continua esaltazione di questo sentimento nelle opere dell’autore, nonché l’origine di quella “anomalia letteraria” nella struttura tradizionale della quest (la cerca del tesoro) che è la Compagnia dell’Anello.
Un gruppo eterogeneo di individui con diverse idee e storie che sanno superare pregiudizi e incomprensioni, diventare amici anche di fronte alla sofferenza e alla morte per difendere l’ultimo barlume di civiltà e bellezza che ci rende umani.
L’amore cambia tutto
La storia d’amore con l’orfana Edith, ospite della sua stessa pensione, più vecchia di lui di qualche anno e protestante, non poteva non essere descritta essendo un punto di svolta non solo personale. Edith sarà fonte di ispirazione per le figure femminili delle sue opere, ma anche simbolo di tutto quanto c’è di bello e magico nel mondo, quello per cui vale la pena vivere e morire.
Le vicissitudini del loro innamoramento, gli ostacoli che dovettero superare sono tutti reali: la loro non era la situazione ideale per tanti motivi a partire dalla differenza di età, tra difficoltà economiche (lui diventerà professore e farà carriera solo dopo la guerra) e giudizi negativi del tutore di Tolkien, Padre Francis, che non vedeva di buon occhio la ragazza né per le sue origini sconosciute, né per la distrazione dagli studi che comportava, né soprattutto per la religione diversa. Non sono scontate però le scene tra i due innamorati perchè Edith si rivela una donna curiosa e interessata, talentuosa e piena di coraggio che in seguito dovrà mettere da parte molti dei suoi interessi per adeguarsi e seguire la carriera del marito e la crescita della famiglia.
Il film comunque ci fa percepire tutta la dolcezza che Edith ha rappresentato per Tolkien, un ritorno all’equilibrio degli affetti dopo tanta sofferenza e solitudine per la perdita della madre, e una compagna che non considerava le sue fantasie un’inutile evasione dalla realtà.
La guerra e poi la speranza
Poi però arriva, inevitabile, l’orrore della Prima Guerra Mondiale, che Tolkien visse sulla propria pelle e su quella di amici carissimi purtroppo più sfortunati di lui. Ed ecco allora che, immerso nella follia e nel dolore del conflitto, l’uomo inizia a scorgere le ombre terrificanti che abbiamo imparato ad amare nei suoi scritti. E dove ci sono entità malefiche ci sono anche eroi pronti a sfidarle. È in questo momento che il biopic di Karukoski esplode in tutta la sua potenza evocativa, anche perché il regista si dimostra molto accurato nel suggerire invece di esplicitare, lasciando che sia l’emozione a riempire lo spazio lasciato sapientemente a disposizione dall’immagine. La seconda parte di Tolkien in questo modo prende vita, immergendo lo spettatore in un turbine emozionale a tratti sinceramente coinvolgente.
Largamente ispirata al saggio “Tolkien e la Grande Guerra. La soglia della Terra di mezzo” (John Garth – Marietti 1820 – 2007), questa interpretazione dell’esperienza bellica dello scrittore rende ragione di tante tematiche che i lettori ritrovano ancora oggi nel Signore degli Anelli. Non passerà inosservato, ad esempio, nemmeno il dettaglio del semplice aiutante di campo del sottotenente Tolkien, che di nome fa proprio Sam, e che lo aiuta nella ricerca spasmodica, tra fango, fuliggine ed esplosioni, del suo amico e poeta Geoffrey Smith.
Del gruppo di amici solo Tolkien e un altro sopravvivranno. Ma oltre al dolore per la giovinezza e i sogni spezzati dei suoi amici, il nostro autore farà tesoro delle esperienze vissute, belle e brutte, sul campo: l’assurdità della guerra e il suo carico di odio e sofferenza, ma anche l’eroismo vero di giovani capaci di sacrificarsi per i propri compagni.
Mentre quasi tutti gli autori europei di quel periodo si incamminano verso una letteratura senza speranza, fiaccati dal dolore e dalla mancanza di senso del conflitto, Tolkien reagisce cominciando a scrivere di un mondo dove si è ancora capaci di speranza se si rimane uniti.
Il regista ci regala un omaggio a un grande uomo e scrittore celebrando quello che ha rappresentato e continua a rappresentare per tanti: qualità come l’amore per la scoperta, il desiderio di sacrificarsi per gli altri e la fiducia che il bene vinca sul male.
Resta l’amarezza di vedere censurato ciò che è all’origine delle sue storie che, se riescono ancora oggi a commuovere ed entusiasmare tutti i lettori che si imbattono in esse, è perchè attingono alla solida fede che lo animava e attraverso cui leggeva la realtà. La speranza allora è che il frutto della visione del film sia una rinnovata curiosità per conoscere più a fondo chi era Tolkien e scoprire come ha potuto creare tanta bellezza.
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 20, NUMERO 3, Settembre 2019