(di Angelo e Fernanda con Gioele Maria e Sofia Maria)
Ci è stata posta la seguente domanda: la vostra famiglia come ha vissuto la vacanza a Passo Cereda? Noi cercheremo di rispondere, ma chi l’ha formulata dovrà alla fine ricredersi, perché è nostro intento dimostrare quanto sia stata mal posta. Ci sarebbero tante cose da dire, ma ci limiteremo a condividere con voi una doverosa precisazione, una constatazione apparentemente scortese, ma necessaria: noi non abbiamo vissuta una “vacanza”.
Se per “vacanza” si intende un “periodo di riposo”, noi non ci siamo affatto riposati, anzi abbiamo faticato più che altrove ed anche prima di giungere a Passo Cereda. Per nulla avvezzi alla montagna (siamo cresciuti cullati dal mare del Salento) è stata per noi una vera e propria avventura già semplicemente giungervi; sin dal mese prima, in preda ai ferventi preparativi, abbiamo corso ed allertato amici nel tentativo di procurarci il vestiario adeguato, raccogliendo vagonate di indumenti anche di taglie improbabili; il giorno prima della partenza eravamo addirittura smarriti nei corridoi del più vicino Decathlon alla ricerca di quegli scarponcini “adatti” per le camminate in montagna quando non è innevata (non avevamo neanche finito di ringraziare chi ci aveva portato i doposci che una telefonata ci informava della mancanza di neve…). Abbiamo affrontato un viaggio, per noi inusuale, per giunta allungato a causa della mia refrattarietà a munirmi di un “tomtom”, perché sempre pronto, da buon meridionale, a chiedere cortesi indicazioni a passanti, fiorai, barman, signore anziane, i cui dialetti ho capito essere derivanti dall’aramaico e i cui gesti ho tentato di interpretare manco fossi un sinergologo…
Abbiamo percorso strade mai battute con la nostra auto, pendii e tornanti di alte montagne, buona parte al buio… Alla fine, dopo circa quattro ore, siamo giunti alla meta, accolti da un P. Enzo “fievolmente” in pensiero per il nostro ritardo… Presa subito la stanza assegnata, neanche il tempo di sistemare i bagagli che una voce ferma proveniente dall’interfono ci ha avvisato dell’inizio della Santa Messa serale.
Ogni mattina siamo stati svegliati alle 7.45, da inaspettate colonne sonore sparate a bruciapelo in filodiffusione, intimati a far colazione e recita delle lodi subito dopo, ad eseguire una vestizione cautelativa dei pargoli, ad effettuare un attraversamento stradale in totale sicurezza per giungere finalmente al luogo indicato, non per sedersi, ma per correre su e giù lungo l’unico pendio discretamente innevato (la neve era caduta giusto la notte prima), di adeguata e smisurata pendenza, per circa venti volte ogni due ore, nella traumatica impresa di istruire gli intrepidi figli all’arte del “bobbare” (il termine non esiste, ma lascia intendere perfettamente il nostro senso di smarrimento!). Loro, in due nanosecondi, hanno capito benissimo come fare, mentre io alla mia prima discesa, ho distrutto il loro mezzo, rischiando di rovinare la vacanza già il primo giorno; sotto gli occhi puntati della moglie, sono stato invitato a noleggiarne uno subito dopo. Verso mezzogiorno veniva servito il pranzo, ma dopo, ahimè, non c’era neanche il tempo per una sana pennichella poiché già nel primo pomeriggio, i piccoli insistevano nel ritornare sullo stesso pendio.
Col sopraggiungere della sera, cresceva la speranza di poter finalmente risposare, ma non prima di aver fatto rientrare in camera, per la completa svestizione, gli avventurieri ovunque dispersi, conteggiato i traumi giornalieri per assegnare il premio al più audace, lavato almeno le zone ascellari, partecipato alla Messa, consumato la cena ed essere sopravvissuti al dopocena, un momento quest’ultimo variamente organizzato con giochi per grandi e piccini, proiezione di cartoni, rappresentazioni pseudoteatrali… Per i più resistenti, i veterani e gli irriducibili, era prevista, ogni sera, una sorta di dopo-dopocena con degustazione di vini pregiati selezionati (almeno così ricordo i primi che mi sono stati amichevolmente versati…) e frutta secca. In particolare una sera ormai deciso a rientrare in camera, sono stato adescato sulle scale e convinto abilmente ad un’uscita notturna, a -6 gradi (forse una sorta di prova iniziatica…), ancora più in alto, a mirar le stelle ed intonare qualche preghiera, avvolti da un insolito ed ovattato silenzio… Insomma cinque giorni faticosissimi! Nel frattempo, però, andavo notando sui volti altrui un “sorriso” quasi alieno, non so se dettato da insensatezza o finta apparenza…
Se per “vacanza” si intende un “essere privi di compiti”, noi, come tanti altri, ne abbiamo avuti diversi, alcuni anche di impellenti e da svolgere a favore dell’intera compagnia; compiti complessivamente ben distribuiti ma su base volontaria, tutti rigorosamente segnati su di un cartellone riepilogativo, fissato ad una parete ben visibile a beneficio delle memorie più volatili. Apparecchiare le tavole per circa 90 commensali (di cui almeno 40 sotto i 15 anni), distribuire le pietanze preparate dai cuochi, raccogliere le stoviglie e lavarle, pulire i tavoli, spazzare per terra nelle sale, erano impegni tutti assunti dagli altri, con il solito “sorriso” e celere disponibilità proprie di chi corre a ritirare un premio…
Se per “vacanza” si intende un “rimanere vacante”, “vuoto”, “vacuo”, “sgombro”, per noi non è stato affatto così, perché non ci siamo di certo alleggeriti, svuotati, ma abbiamo preso consistenza, volume, spessore, anche qualche chilo e non solo perché abbiamo vestito, a più strati, i panni in prestito dei nostri amici ma anche perché, per affrontare la fatica e colmare la fame che l’aria di montagna pare aumentare, siamo stati sostenuti, riempiti e deliziati da abbondanti colazioni, pranzi e cene, preparati da quattro instancabili ed “ispirati” cuochi “sorridenti”… Almeno, dopo le defatiganti “bobbate” non mancavano delle sicure e ricostituenti “poppate”!!!
Se per “vacanza” si intende “non avere un titolare”, “un capo ufficio”, “una caposala” noi non ci siamo affatto sentiti senza “titolare”, non appartenenti a chicchessia, perché l’assenza di chi “d’ufficio” poteva indicarci cosa fare e come farlo è stata colmata dalla presenza “di fatto”, costante e discreta, del “sorridente” Silvano…
Se per “vacanza” si intende “essere distratti”, noi non lo siamo stati, neanche per poco, perché siamo rimasti necessariamente attenti ad ogni cosa… A dire il vero, abbiamo avuto come l’impressione di essere stati attratti da tutto, meglio dal Tutto. Sia nei momenti di preghiera,di adorazione, che nei giochi e durante i pasti, abbiamo avvertito un senso di appartenenza, una conduzione ad unità, come membra di un unico corpo, che rende possibile e quasi scontata la confidenza, la complicità, l’amicizia… Abbiamo incontrato uomini e donne, intere famiglie, capaci di riflettere Colui al quale noi tutti realmente apparteniamo e per il quale lavoriamo, viviamo, amiamo…
Nonostante le fatiche, i contrattempi e gli inevitabili piccoli incidenti, quegli strani “sorrisi” stampati sui volti di chi ci è venuto incontro, sono stati il segno carnale, evidente, di una felicità e di una forza sempre rinnovabili perché costantemente vicini alla loro sorgente!
Abbiamo ammirato esterrefatti quanto tutta la complessa organizzazione di questa vacanza è stata tenuta su da splendide famiglie, in particolare da alcune, rodate più di altre – sicuramente più della nostra – nell’accoglienza, nell’ascolto, nella comunione fraterna, proprio perché capaci di mantenersi vicino a Cristo, alla Sua Chiesa, al Carmelo.
Adulti pronti a farsi strumenti nelle mani di un Re Bambino, suoi amici di gioco, suoi compagni d’avventura, tanto docili da attrarre e proporre nuove amicizie, quanto solidi da reggere e curare quelle incrinate.
Ci siamo sentiti custoditi come nel grembo di una madre, accolti per ciò che siamo ed indirizzati ad essere ciò che ci è chiesto di diventare, educati in questo dalle parole paterne di P. Antonio, dalla presenza premurosa di P. Enzo e dal contagioso umorismo di P. Mauro.
Infinitamente grati non possiamo non ringraziarvi e rendere gloria a Dio Padre per questi giorni trascorsi insieme; ci avete permesso, pur in vacanza, di non distogliere il nostro sguardo da Cristo, ogni giorno; avete incessantemente favorito la nostra attenzione verso l’unico vero fuoco, che nonostante il freddo, ha riscaldato i cuori di tutti noi quasi fondendoli al Suo.
Il vostro modo di vivere, di divertirvi, la vostra umile e semplice testimonianza provocano in chi vi incontra una domanda spontanea: come fate ad essere una così grande famiglia? Una famiglia di famiglie? La risposta non tarda a venire: siete promemoria di Cristo risorto!
Anche noi vorremmo esserlo come voi!
Pertanto uniti e ricolmi di questa speranza, ribadiamo di non aver vissuto una “vacanza” ma la “pienezza”!!!
Grazie!
©Dialoghi Carmelitani, ANNO 17, NUMERO 1, Marzo 2016