Intervista al prof. Pierpaolo Donati

(a cura di Giorgio Sciumé)

«Che cosa v’è di più importante per me che trovare un amico nella vita? Un amico è una persona che non pensa solo a se stessa, ma anche a me; uno cui sta a cuore che le cose mi vadano per il verso giusto. Quindi un amico è una realtà grande e preziosa ». Sono parole di Romano Guardini (La Santa Notte. Dall’Avvento all’Epifania , Morcelliana) che restituiscono all’amicizia, nella loro semplicità, l’autenticità e la tenerezza. Il grande teologo continua così: «Ma io me lo posso creare da solo? Certo no! Posso andare a prendermelo da qualche parte? In verità, allo stesso modo, no». Un amico esiste, dunque, al di fuori di ciò in cui, tanto spesso, coscientemente o meno, circoscriviamo il nostro intero universo conoscitivo: l’io. Ecco come si conclude il brano: «Io posso essere ricettivo e vigile, al fine di notare quando mi si avvicina una persona che può divenire importante per me — ma è necessario che venga! Venga verso di me dallo spazio a perdita d’occhio della vita umana ». In questa intervista con il professor Pierpaolo Donati, ordinario di Sociologia presso l’Università di Bologna — e che nelle sue opere ha definito il nuovo paradigma scientifico della “Sociologia relazionale” o “Teoria relazionale della società” — vogliamo verificare quale sia il valore sociale dell’amicizia.

Che cos’è l’amicizia come fatto sociale?

L’amicizia come fatto sociale è una relazione. Il che significa che non è un sentimento, un feeling soggettivo, una disposizione psicologica individuale di qualche tipo. Non è uno stato d’animo, un “sentire”, come molti la intendono.

Non si è amici da soli, cioè unilateralmente. Io posso sentirmi amico di Tizio, ma ciò non significa che fra me e Tizio ci sia amicizia. In quanto relazione sociale interpersonale, presuppone certamente delle disposizioni soggettive reciproche da parte di chi sta in quella relazione, ma ha una sua oggettività, ha una sua realtà propria, è un certo bene in sé. Come relazione sui generis, presuppone dei soggetti che si orientano reciprocamente ad essa in un certo modo che è quello dell’esserci l’uno per l’altro intenzionalmente e volontariamente.

La puoi sperimentare solo se esci da te stesso e fai questo con una riflessività relazionale, cioè applicando la tua riflessività interiore alla relazione come tale, che include la presenza dell’“altro come altro” in un dono reciproco. Per questo è la più bella delle relazioni umane, e può essere solo umana.

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In che senso si può parlare di relazioni d’amicizia come di un bene sociale?

L’amicizia è un bene sociale in molti sensi. Innanzitutto perché non appartiene agli amici, anche se è creata da loro. È una prassi, un modello, un esempio di vita che ridonda a beneficio di tutti, rafforza la coesione sociale ed evita l’esclusione. In quanto tale, la relazione di amicizia è “sovra–funzionale”, perché non risponde a questa o quella funzione specifica, ma è potenzialmente aperta ad essere agìta per qualunque cosa possa servire al mutuo scambio di beni. Lo scambio è simbolico, non utilitaristico (non è un do ut des). Simbolico vuol dire che io aiuto te nel momento in cui ne hai bisogno non già perché tu mi dai qualcosa in cambio, ma lo faccio gratuitamente, sapendo che quando io avrò bisogno tu farai lo stesso. Questo è l’aiuto di amicizia. Dal mio punto di vista sociologico, l’amicizia è un “fatto sociale totale”, perché investe la totalità della vita di relazione (s’intende, nelle cose buone). Nell’amicizia più profonda e vera gli amici si confidano tutto, hanno fiducia reciproca senza riserve, vogliono il bene dell’Altro.

In sostanza, l’amicizia è un bene sociale perché alimenta non solo le virtù individuali delle persone coinvolte, ma genera anche un bene che è diffusivum sui, che si diffonde agli altri intorno. I sociologi lo chiamano capitale sociale, senza cui una società non può reggersi. L’amicizia è il grande rimedio alla solitudine del nostro tempo, alle difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo. Tanti filosofi e intellettuali hanno abbracciato la filosofia di Heidegger che definisce l’esistenza umana come un “esserci” (Dasaien) solipsistico, di colui che si sente buttato in un mondo senza senso.

Chi vive l’esperienza dell’amicizia sa che la vera vita è “esserci l’uno per l’altro”. Esistiamo veramente quando ci sentiamo e “siamo realmente qui uno per l’altro” (propongo l’espressione Dasein Eins füreinander), altrimenti la nostra esistenza è un inferno, alla ricerca di qualcosa che possa soddisfare il nostro Io. La condizione essenziale perché l’amicizia esista e si diffonda è l’appartenenza ad una cultura che aiuta a vedere, apprezzare e trattare le relazioni interpersonali. Gli ostacoli oggi sono tanti, perché la cultura dominante ci “immunizza” dalle relazioni umane, fa di tutto per sostituirle con artifici tecnologici. La relazione viene sostituita dalla “connessione” tecnologica. Ma non c’è vera amicizia su Facebook, con i robots o una qualunque intelligenza artificiale.

Quali esperienze emblematiche nella società contemporanea potrebbe iscrivere nella sua idea di amicizia?

Di “emblematico” dell’amicizia nella società contemporanea mi pare ci sia molto poco, perché la nostra società emargina l’amicizia o la sostituisce con dei surrogati.

Viviamo in una società che promuove l’individualizzazione degli individui, quindi relazioni frammentate, instabili, narcisistiche, e così via. Per questa ragione l’amicizia la si può trovare solo nelle piccole comunità che possono alimentare le relazioni interpersonali più profonde.

Queste comunità sono necessariamente marginali rispetto alla società in generale, perché vivono secondo altre logiche, altri valori, altre dinamiche, altre forme organizzative, che né lo Stato né il mercato possono capire. Io ho chiamato “privato sociale” queste forme di vita, che sono associazioni di gruppi creativi, di varie dimensioni, dove la logica dell’esserci l’uno per l’altro è praticata in piena autonomia e in funzione di scopi pro–sociali, non degli interessi individuali. Sono portatori di valori non particolaristici, ma universali, e fermentano una nuova società civile, da cui può nascere una nuova civiltà.

Quali cambiamenti si registrano nella società contemporanea rispetto alla possibilità di vivere esperienze di amicizia e comunitarie?

L’individualismo libertario dell’Occidente, assieme alle dinamiche dei mercati orientati a massimizzare consumi e profitti, ha frammentato la società al punto che si sta facendo strada un nuovo bisogno di comunità. La gente si rende conto di vivere una vita ‘“liquida”, piena di stress, in continua tensione, incertezza, rischio, senso di insicurezza. Dunque si parla di una “voglia di comunità”. La qual cosa significa desiderio di relazioni di amicizia. Ma queste relazioni richiedono una libertà responsabile che non è favorita dalle dinamiche delle istituzioni e dalle tecnostrutture, che operano in modo da passivizzare le persone piuttosto che alimentare una friendly society. Autentiche esperienze di amicizia possono emergere solo laddove le relazioni primarie fra le persone si caricano di una forza carismatica. In sintesi, le esperienze di amicizia sono possibili dove un gruppo di persone si lega con una relazione primaria che dà loro una identità di “vero amico” il che avviene dove c’è senso di trascendenza e dunque richiede un riferimento religioso che abbia una matrice simbolica relazionale (come ho scritto ne La matrice teologica della società, Rubettino, 2010).

C’è un aspetto che ci interessa particolarmente, quello della reciprocità. Secondo Tommaso D’Aquino, l’amicizia aggiunge all’amare un riamarsi scambievole, poiché un amico è amico per l’amico: “amicus est amico amicus” (Summa Theologiae, II-II, q. 23, a.1, resp. ad 3). Qual è il rapporto tra amore e amicizia?

La domanda così posta, a mio avviso, richiede una precisazione. L’amicizia ha la stessa radice etimologica di “amore”, è una forma di amore, o, detto in altri termini, vivere l’amicizia è vivere l’amore. Per San Tommaso l’amicizia è (consiste nel) mutuo scambio di beni. È un volersi bene non con i sentimenti e i sorrisi (almeno non solamente), ma con il volere il bene oggettivo

dell’altro. Sta nel dire “com’è bello che tu esisti” anche quando ciò è difficile, perché magari la persona che ci sta davanti ci crea delle difficoltà, ci mette in imbarazzo, dice o fa cose che non ci piacciono. Insisto: l’amore non è una relazione a senso unico, altrimenti lo si identifica con la buona volontà individuale; l’amore è volere il bene della relazione con l’altro, anche quando l’altro non ci corrisponde nei sentimenti, opinioni, modi di sentire.

L’amicizia è il “bene relazionale” più essenziale, senza cui la vita non può essere felice (lo diceva Aristotele, ma il concetto odierno di bene relazionale lo approfondisce e lo articola nel presente: vedi Donati e Solci, I beni relazionali, Bollati Boringhieri, 2011).

Sant’Agostino diceva «Amando il prossimo e interessandoti di lui, tu camminerai. Quale cammino farai, se non quello che conduce al Signore Iddio, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente?» (Commento al Vangelo di San Giovanni, 17, 9). In modo simile si esprimeva Santa Teresa d’Avila: «È una specie di umiltà non f idarsi di sé e credere che il Signore ci aiuterà mediante la compagnia dei buoni» (Vita, 7, 22). L’amicizia non può che essere, in un certo senso, interessata, se si riconosce come buona compagnia. La dimensione dell’amicizia, cioè, non soffoca ma dilata le funzioni dell’interiorità. Esiste, in una prospettiva sociologica, una valutazione dell’utilità dell’amicizia?

Parlare dell’utilità dell’amicizia è una faccenda delicata. L’utilità non può entrare negli scopi intenzionali dell’amicizia, però può essere, e di fatto è, un effetto indiretto. L’utilità è la constatazione che l’amicizia serve a raggiungere finalità buone, è un mezzo che genera altri beni, come appunto mantenere il cammino dell’amore e godere dei suoi frutti, fruire della compagnia dei buoni. D’altra parte questo è il suo valore sociale, di cui ho già detto.

Prima di concludere vorremmo provare a capire un ultimo aspetto. Partendo ancora da una citazione: «le parole gentili, per quanto brevi e facili da pronunciare, possiedono un’eco davvero infinita» diceva Madre Teresa di Calcutta (Un cuore infinito, Edizioni Piemme). Qui ci interessa la compresenza di parole apparentemente contrarie: brevi e facili ed eco infinita. L’energia di queste parole colpisce, la coesistenza del presente e dell’eterno nel presente. Nell’amicizia le parole non sono illusioni verbali. Nell’epoca della chiacchiera, dell’equivoco, della curiosità, esiste ancora la parola sostanziale?

Il tempo dell’amicizia è relazionale. L’amicizia vive di momenti istantanei, di “eventi”, ma questi ultimi sono inscritti nel tempo simbolico che non è soggetto al tempo storico, perché è il tempo senza tempo, l’essere compagni di fronte all’eternità, il tempo del legame “per sempre”. L’amicizia si concretizza in scambi di mutuo affetto, gratitudine, aiuto concreto — anche solo nel pensiero e nella preghiera interiore — che sono bensì “istantanei”, ma si inscrivono in una storia. Questa storia è la “relazione vivente” fra gli amici, che persiste anche se non si vedono per lunghi periodi di tempo cronologico. Perché il tempo dell’amicizia, come la relazione, non ha confini, è intrinsecamente aperto.

Quanto alle parole dell’amicizia, esse hanno qualcosa del sacro, di ciò che merita il nostro più profondo rispetto. Se fossero dette in modo superficiale, o addirittura con ipocrisia o falsità, ucciderebbero la relazione. Hanno un valore che non è contingente, perché la relazione di amicizia si dispiega nella contingenza ma appartiene al tempo di ciò che è intangibile nella sua bellezza, purezza e verità. Si inscrive nell’orizzonte di ciò che è incondizionato, altrimenti non è vera amicizia, è un’altra cosa. L’amicizia, quando è vera, è il luogo delle parole vere, delle confidenze più intime (confidare è avere fiducia nell’a/Altro, è la stessa sostanza della fede), non può essere un flatus vocis o un “like” su Facebook. Per me, dire che le parole dell’amicizia sono “brevi e facili ed eco infinita” significa che, se da un lato non richiedono tante spiegazioni e giustificazioni da parte dell’amico che ti parla, perché parlano della sua stessa verità di esistere per me, d’altro lato il loro contenuto prende significato nell’orizzonte del tempo simbolico senza tempo, sono testimoni della nostra relazione di comunione profonda, fuori del tempo. Quando diciamo a qualcuno “sei un amico”, se lo diciamo con il cuore sincero, c’è forse bisogno di spiegarlo con delle parole? Basta quella parola, corta e succinta, che risuona con un valore a–temporale, perché non ti sono amico solo in quel momento, ma vivo (in) un momento di eternità. Questa è propriamente l’amicizia spirituale (vedi Aelredo di Rievaulx, L’amicizia spirituale, Ed. Paoline, 1996).

Concludiamo rimanendo nel “paesaggio a perdita d’occhio” con il quale abbiamo iniziato. La venuta dell’amico, infatti, facilita l’attraversamento della vita. C’è una splendida immagine ne La terra desolata di Eliot: «Chi è il terzo che sempre ti cammina accanto? / Se conto, siamo soltanto tu ed io insieme / Ma quando guardo innanzi a me lungo la strada bianca / C’è sempre un Altro che ti cammina accanto / Che scivola ravvolto in un ammanto bruno, incappucciato / Io non so se sia un uomo o una donna / — Ma chi è che ti sta sull’altro fianco?». Il riferimento del poeta non è a Emmaus, ma ne sentiamo l’eco nei passi dei viandanti. Tra la parola e il silenzio l’esperienza dell’amicizia diviene il presagio di una Presenza, quando ne riconosciamo il dono, quando mettiamo in gioco tutta la nostra verità. 

 

©Dialoghi Carmelitani, ANNO 18, NUMERO 2, Giugno 2017

 

Pierpaolo Donati è Professore ordinario di Sociologia presso Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. È stato Presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia (1995–98), ha diretto l’Osservatorio nazionale sulla famiglia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (2004–2012). Nelle sue opere, ha proposto e poi sviluppato — sia a livello teorico sia a livello di ricerca empirica — un nuovo paradigma scientifi co, che è internazionalmente noto come “Sociologia relazionale” o “Teoria relazionale della società” (si veda: Building a Relational Theory of Society: A Sociological Journey, in Mathieu Defl em ed., Sociologists in a Global Age. Ashgate, Aldershot, 2007).

Al suo attivo ha oltre 800 pubblicazioni, inclusi 112 volumi (monografi e personali, curatele e rapporti di ricerca). Vari volumi e saggi sono stati tradotti in lingue straniere. Tra le pubblicazioni più recenti: Relational Sociology : A New Paradigm for the Social Sciences , Routledge, London and New York, 2011; Sociologia della relazione , Il Mulino, Bologna, 2013; The Relational Subject , con M.S. Archer, Cambridge University Press, Cambridge, 2015; L’enigma della relazione , Mimesis, Milano–Udine, 2015.